VIII. Tomismo e pensiero moderno

Manca ancora un adeguato confronto fra l’autentico pensiero tomista ed il pensiero moderno, tanto rispetto all’orientamento generale dei problemi quanto riguardo ai diversi sistemi di pensiero sorti in opposizione alla tradizione scolastica. Di solito l’opera di s. Tommaso è coinvolta nelle condanne generiche contro la Scolastica da parte della cultura moderna, stimolata prima dalla ostilità diffusa dalla Riforma e poi dal nuovo «principio dell’immanenza». I maggiori contrasti contro la ripresa del tomismo vennero in Francia dal tradizionalismo e dall’ontologismo e in Germania dal gruppo di tendenza idealista di Hermes, Günther, Frohschammer1. P. es., il tradizionalista Bautain scriveva al decano della Facoltà teologica di Tubinga chiedendo appoggio nella lotta contro il razionalismo e la vecchia Scolastica per difendere la sacra causa della fede contro la ragione; al quale rispondeva però con energia il grande Moehler che «s. Tommaso… e in generale i teologi scolastici avevano ragione quando affermavano che le verità di ragione che Dio esiste e la considerazione razionale che Cristo merita fede, sono “preambula fidei” e non “articula (sic!) fidei”, ma che ciò non contrasta con la posizione di s. Anselmo, di s. Gregorio Nazianzeno quando questi dicono che la fede è il fondamento del conoscere»2.

La ripresa del Tomismo nelle scuole cattoliche, voluta da Leone XIII, ebbe l’effetto immediato di diffidare ogni sintesi diretta fra fede cristiana e pensiero moderno: in particolare s’insiste nel presentare il pensiero di s. Tommaso come la sua antitesi esplicita, grazie alla netta distinzione dei rapporti fra ragione e fede e all’assunzione del realismo ontologico aristotelico sia per la struttura dell’essere come del conoscere. L’hegeliano L. Feuerbach scelse la speculazione tomista come il tipo del teologismo metafisico che, mascherato da Hegel, toccava eliminare per riavere l’uomo naturale nella sua autenticità3: il Feuerbach dà molti testi tradotti direttamente dalle opere maggiori di s. Tommaso. L’opposizione fra tomismo e pensiero moderno fu dichiarata recentemente da R. Eucken, L. Rougier, G. Saitta e, nel campo cattolico, da Io. Hessen.

Indichiamo, a titolo di esemplificazione, tre attacchi tipici alla rinascita del Tomismo provenienti dalla Germania, dalla Francia e dall’Italia in opposizione al programma della Aeterni Patris.

a) R. Eucken ossia l’attacco da parte del Neo-kantismo4

La tesi principale è d’indole storicistica: non ha senso in pieno sec. XIX, nel trionfo del pensiero moderno, il rifarsi ad un pensiero medievale come quello tomista, legato quindi ad una concezione di vita completamente superata: il mondo di s. Tommaso non è e non può essere il mondo dell’uomo moderno. La formula è: «Intima inconciliabilità di Aristotele con il Cristianesimo, così come l’impossibilità da parte del Tomismo di assumere in sè il contenuto della cultura moderna» (II, 48. È il Nachwort alla II ed. dove l’A. risponde alla critica del cattolico Dr. Dittrich, Die Philosophie und Kultur der Neuzeit und die Philosophie des h. Thomas von Aquino, Köln 1887).

È vero che s. Tommaso ha riconosciuto al sapere un proprio campo (ein selbstständiges Gebiet) – e quindi l’opera sua ha segnato un progresso nel cammino verso la libertà – ma sempre sul presupposto della subordinazione della ragione alla fede, e quindi della negazione della libera ricerca all’autorità. Tommaso più che agli spiriti creativi, come Platone e Kant, appartiene a quelli che mettono ordine nel materiale che hanno a disposizione: il suo scopo era di mostrare l’accordo stretto fra il Cristianesimo e il mondo naturale (I, 2-5; II, 6-9; cf. anche I, 25; II, 24)5.

In particolare il progetto di s. T. di voler fare l’alleanza di Aristotele con il Cristianesimo, della natura con la grazia, della ragione con la rivelazione, sul principio che «la grazia non distrugge ma perfeziona la natura» e di ordinare il tutto alla «gloria» (Herrlichkeit) della vita futura: una mistura contradditoria di elementi inconciliabili che non poteva avere alcun esito (I, 6-9; II, 9-13)6. Se non che Aristotele e il Cristianesimo stanno in completa opposizione, l’uomo non può essere più considerato come un pezzo qualsiasi ma sta al centro del mondo, e così s. Tommaso ha svisato tanto il mondo della natura come quello della grazia (I, 10-24; II, 14-21).

Attacca ancora l’A. la dottrina tomistica dei rapporti fra l’individuo e la società come fra Chiesa e Stato che fa i principi soggetti al Papa e lo Stato soggetto alla Chiesa, giustificando gli orrori e le violenze dell’Inquisizione (I, 38-42; II, 34-38).

La conclusione che si delineava fin da principio, è doppia:

a) S. Tommaso non si può affatto presentare come il tipo del filosofo cristiano per la «frattura» (Bruch) ch’egli ha introdotta in tutti i campi, spezzando l’unità della vita spirituale, precipitando nell’irrazionalismo e subordinando la personalità all’oggettività dell’autorità (I, p. 43). b) Non esiste quindi, nè può esistere più, un tomismo: il tomismo di oggi significa altra cosa che nel Medioevo, ed anche se molti oggi credono di essere tomisti, tomisti nel senso di s. Tommaso non esistono più (I, 43-53; II, 38-46).| Aut-Aut: o si vuol essere tomisti e allora si torni al Medioevo con quel che ciò significa; o si vuol essere moderni, e allora un ritorno a s. Tommaso non ha nessun senso e tocca convenire che il Tomismo ha fatto il suo tempo (I, 53; II, 46).

Il Saggio Thomas von Aquino und Kant del 1901 riprende questa conclusione per mostrare come il tomismo resta estraneo al concetto moderno d’interiorità e libertà portato da Kant, all’elaborazione della «sostanza spirituale» che garantisce la ricerca della verità (p. 8 sgg.). Il realismo immediato di Aristotele, la sua antiquata concezione della natura, l’astrattismo delle idee e dei principi universali mostrano l’intima contraddizione nell’aristotelismo d’idealismo e naturalismo, non meno che l’impossibilità di una connessione dell’Aristotelismo con qualsiasi religione e tanto meno con il Cristianesimo (p. 33 sgg.). Il tentativo di s. Tommaso di fare la sintesi di Aristotele con il Cristianesimo è un semplice episodio storico che deve restare al suo posto, come fallimento completo ai danni dello stesso Cristianesimo (p. 37 sgg.). Tocca ai moderni seguaci di Kant «rivendicare la vera sostanza della vita per la liberazione, chiarificazione, interiorizzazione del mondo spirituale»… senza lasciarsi impressionare dall’accusa d’incredulità e di soggettivismo ch’è lanciata dal Tomismo (p. 42 sgg.)7.

b) Il razionalismo di L. Rougier8

Si tratta di una vasta compilazione di pretesa storica-critica circa i risultati sulle indagini della formazione del Tomismo in seno alla Scolastica, fatta con criteri completamente opposti a quelli dell’Eucken. Lo scopo è dichiarato subito nella prefazione: «Cet ouvrage est consacré à l’étude historique du problème dont la Scolastique a discuté par excellence, celui de l’accord de la raison et de la foi, et à l’examen critique de la solution qu’en a proposée le Thomisme et que le Magistère ecclésiastique a sollennellement adoptée» (p. XVII).|

La posizione del Tomismo nella Scolastica rivendica di aver superato ambedue gli scogli a cui va incontro ogni tentativo di conciliare fede e ragione, il razionalismo e il fideismo, le intemperanze dei dialettici e il soggettismo degli Occamisti: «En partant des principes de philosophie naturelle posés par Aristote, on peut établir démonstrativement les fondements de la foi, l’existence de Dieu, le monothèisme, etc.; on peut, pareillement, réfuter victorieusement les objections des hérétiques contre les mystères de la religion qui, tout en étant suprarationnels, ne sont pas pour cela antirationnels». Per realizzare questa impresa s. Tommaso abbandonò il Platone dei Padri e dei primi Scolastici, per volgersi ad Aristotele fautore di un realismo immanentista inconciliabile con i dogmi fondamentali del Cristianesimo e propugnatore di una filosofia della natura ch’è stata demolita pezzo per pezzo a cominciare dalla scuola nominalista di Parigi del sec. XIV e poi dalla fisica moderna: «On se demande alors pourquoi l’Aristotélisme, qui a si complètement échoué dans sa destination originelle, a pu si complètement triompher dans ce domaine de hasard, auquel il n’était nullement prédestiné: la justification rationelle du dogme révélé» (p. XXI).

La risposta a quest’interrogazione, ed è l’aspetto originale della critica dell’A., si ha dalla profonda modificazione o trasformazione che s. Tommaso ha introdotto nell’Aristotelismo, ossia la trasformazione della distinzione logica che Aristotele poneva fra le due questioni: quid sit e an sit nella distinzione reale dell’essenza e dell’esistenza. Secondo l’A. – e non saremo noi a dargli torto – questa distinzione è decisiva per tutta la metafisica tomistica ed è indispensabile per la retta intelligenza della natura di Dio e del significato di tutti i dogmi del Cristianesimo (creazione, Trinità, Incarnazione, immortalità degli Angeli e delle anime umane (p. XXII sgg.).

La conclusione dell’A. è presa dal Duhem e consiste nella dichiarazione del fallimento completo della sintesi tomistica: «La vaste composition élaborée par Thomas d’Aquin se montre à nous comme une marqueterie où se juxtaposent, nettement reconnaissables et distinctes les unes des autres, une multitude de pièces empruntées à toutes les philosophies du Paganisme hellénique, du Christianisme patristique, de l’Islamisme et du Judaisme. Le Thomisme n’est pas une doctrine, il est une aspiration et une tendance; il n’est pas une synthèse, mais un désir de synthèse» (p. XXVIII).|

Ma non si tratta, insiste per suo conto l’A., soltanto di fallimento, bensì di un succedersi di continue contraddizioni sia rispetto al pensiero di Aristotele, sia per riguardo del significato delle verità del Cristianesimo. Ma c’è un’altra contraddizione, avverte l’A., e questa sta nell’atteggiamento ambiguo verso il tomismo nell’interno stesso della Chiesa: poichè al tomismo teologizzante dei domenicani, si contrappone il tomismo antropologico di Suarez e Molina… «qui représentent la façon d’équivoquer des Jésuites» (p. XXXII). «Il problema presentato da s. Tommaso non è soltanto un problema mal risolto, esso è anzitutto e soprattutto un problema mal posto» (p. XXXVI). Tale l’obiettivo del prolisso volume che ha trovato nel campo tomista la più decisa opposizione, ma ch’è sintomatico come rappresentante di un atteggiamento che non è raro neppure in certi ambienti cattolici.

c) L’antitomismo attualistico di G. Saitta9

«Il nostro proposito, come vedranno i lettori, è stato quello di dimostrare il significato politico della filosofia tomistica, la quale nel suo eclettismo è tutta indirizzata a porre saldamente le basi della concezione teocratica della vita» (p. 7).

L’errore metodologico del Tomismo è già presente nella Patristica, quello cioè di razionalizzare il dogma, di assimilare la filosofia greca al contenuto della rivelazione… arrivando ad una sintesi soltanto apparente: una sintesi comunque indispensabile alla Chiesa per i suoi fini pratici. Infatti: «La Chiesa aveva giustamente dal suo punto di vista intuito che lo sviluppo di tutti gli elementi politici, sociali, scientifici dell’antichità rappresentava un pericolo permanente alla sua esistenza, ed una Europa la quale esperta dall’esperienza cristiana ricreasse con crescente originalità il pensiero greco-romano, era un’Europa perduta per sempre alla sua azione» (p. 12).

Si può riconoscere che nelle successive analisi l’A. mostra spesso una conoscenza diretta dei testi tomisti e della struttura della speculazione tomista. Ma la conclusione è quella del Rougier e del Duhem: «Tutta la sua [di s. Tommaso] attività è, invece, dominata dall’anelito profondo di accumulare il sapere del suo tempo, di riordinarlo e di chiarirlo, perchè servisse ai fini religiosi e politici| di quella teocrazia che ai suoi occhi era il fondamento stabile e visibile della religione alla quale s’era votato. Invano si ricercano in lui intuizioni nuove filosofiche: il suo còmpito fu certo grandioso e cercò di assolverlo, ma esso, che riuscì a saldare comunque elementi eterogenei e in sè contrastanti, fu privo di quella luce superiore, che rivela il genio filosofico. Tommaso fu il più grande summista medievale, ma non fu per nulla un filosofo originale» (p. 22).

Tutto il suo procedere è viziato in radice, proclama l’A., dalla subordinazione della ragione alla fede: anche se s. Tommaso concede a parole una certa autonomia della ragione rispetto alla rivelazione. In particolare la preferenza data ad Aristotele… «non si spiega affatto con motivi di ordine speculativo, bensì con motivi di ordine puramente religioso o apologetico, cioè, in sostanza, di ordine politico»: della necessità cioè di assoggettarsi alla Chiesa, nel quadro della gerarchia cattolica, il cui apice è il Papato (p. 24).

L’A. passa successivamente a verificare questa sua tesi in 5 capitoli: teologia e filosofia, immortalità dell’anima e conoscenza umana, la Teodicea, libertà umana e grazia, teocrazia. Segnaliamo al riguardo alcune affermazioni o conclusioni: le dimostrazioni della spiritualità e immortalità dell’anima individuale non approdano a nulla (p. 29); la distinzione di intelletto agente e intelletto possibile dipende da «… esigenze religiose» (p. 37); nessun delle 5 vie per l’esistenza di Dio riesce a concludere (p. 55 sgg.); sia per il loro «esteriorismo» fondato sull’idea di un governo di Dio ab extra da cui poi il passaggio alla teocrazia papale! (p. 64), sia perchè «il principio di causalità – come ha dimostrato Kant – è applicabile soltanto al mondo dei fenomeni» (p. 67). In particolare il sospendere l’attualità di ogni realtà, come fa s. Tommaso, alla volontà divina, tanto nel mondo della natura come in quello della grazia, tradisce lo scopo evidente di subordinare la moralità e la politica alla prassi ecclesiastica (p. 80); la necessità dei Sacramenti per la vita della grazia mette i fedeli in completa soggezione alla gerarchia così che tutti i dogmi si risolvono «nell’unico dogma dell’autoritarismo soprannaturale rappresentato dal Papa, Vicario di Cristo, che assomma in sè tutta l’autorità spirituale, giuridica e politica» – la papolatria come di paladino della «teocrazia papale». (Il giudizio ultimo su s. Tommaso è a p. 137 sgg.).|

d) L’opposizione al Tomismo da parte di Johannes Hessen10

L’appello dell’Eucken di rivolta al ritorno a s. Tommaso, proclamato dalla Aeterni Patris, è stato raccolto con l’impegno di tutta la vita – per strano che possa sembrare – proprio da parte cattolica con una insistenza ed ostinazione che suggerisce riflessioni e constatazioni piuttosto amare e dolorose per l’orientamento contemporaneo della filosofia cristiana: si può dire con ogni obiettività, mi sembra, che Hessen non ha fatto altro che raccogliere i giudizi più negativi sul pensiero tomista dimenticando da una parte ogni contributo positivo e la formidabile originalità ed energia di quel pensiero rispetto ai suoi contemporanei, per esasperare dall’altra parte le lacune o deficienze che ci si potrebbero riscontrare. In confronto con l’Eucken, che sa mantenere la sua opposizione ad un livello di sobrietà e signorilità, qui l’attacco manifesta una coscienza torbida e turbata che sa di muoversi sul terreno minato del pensiero moderno condannato dalla Chiesa.

Prendendo lo spunto dall’Eucken, l’A. proclama come dovere di «giustizia» (Gerechtigkeit) la necessità di contrastare l’appello di Leone XIII, di S. Pio X e di Benedetto XV del «ritorno a s. Tommaso» e irride ai cattolici che l’hanno promosso (Erhle, Manser, Grabmann, ecc.): plaude invece a quanti, specialmente in Germania, in questa prima metà del secolo hanno cercato d’indebolirlo (Erhard, Baeumker, Mitterer, Santeler, Wittmann, Winter… studioso e seguace, quest’ultimo, dell’antitomista Frohschammer). Con il Winter egli conclude soddisfatto che «il grande commentatore di s. Tommaso nel sec. XX, dev’essere antitomista» e che «nei circoli scientifici del Cattolicesimo di oggi è respinta ogni assolutizzazione del sistema tomista» (p. 14 sgg.; corsivo dell’A.).|

L’attacco alle dottrine tomistiche è condotto con metodico accanimento. Dominato dallo spirito del sistema, manca a s. Tommaso, ogni contatto con la realtà più che a qualsiasi altro scolastico, eccettuato lo Scoto (p. 24 sgg.): ma il «sistema» che costituisce lo scopo del Tomismo non è sul piano filosofico, bensì su quello teologico. La Sua opera che sembra così imponente non è che una elaborazione riflessa: è una «filosofia di prescrizione ecclesiastica» (eine kirchlich gebundene Philosophie) secondo una stretta «dipendenza della filosofia dalla Teologia» e perciò una «filosofia di autorità» (p. 82 sgg.). Colpisce perciò nel grandioso edificio tomistico il «procedere acritico» ed in particolare l’identificazione ossia il continuo scambio (o parallelismo: H. Meyer) dell’ordine logico con l’ordine ontologico come si può vedere in ogni momento del sistema (la dottrina degli universali, la composizione di materia e forma come anche di essenza ed esse, la dottrina del male e della moralità…): di qui la fondatezza dell’attacco alla diffusione del Tomismo da parte delle altre Scuole della Scolastica (p. 92 sgg.). L’errore fondamentale poi è – secondo l’A. – la confusione che s. Tommaso fa di filosofia e religione in quanto egli proclama la loro «parziale» identità, ciò che rivela (nientemeno!) che un «misconoscimento dell’essenza della religione» (eine Verkennung des Wesens der Religion) come ne fa fede Fr. Heiler con l’esplicita accusa d’intellettualismo (p. 106 sgg.). Meglio hanno fatto Kant, Schleiermacher, Ritschl e i loro seguaci, a distinguere accuratamente le due sfere! Ciò ha portato ovviamente ad un fraintendimento sia della religione come della filosofia11.

Il pericolo, il tarlo intrinseco all’edificio tomistico, è pertanto doppio e reciproco: di trasferire la filosofia nell’ambito della fede assolutizzandola e di abbassare la fede nella sfera della filosofia relativizzandola ossia storicizzandola; allora come il primo errore di metodo è stato lo scambio diretto dell’ordine logico con l’onto|logico, così il secondo errore altrettanto grave è quest’identità di filosofia ossia metafisica e religione (p. 111 sgg.).

La radice di tutta questa «flessione» teoretica, che angustia l’articolarsi tanto della filosofia come della religione, è da vedere nell’assunzione diretta ed integrale dell’Aristotelismo che s. Tommaso ha proclamata come fondamento e strumento esclusivo dell’elaborazione della verità cristiana patrocinando quindi un «Aristotelismo cristiano» (p. 8 sgg., 112 sgg.) che le prescrizioni pontificie vorrebbero rimettere in onore. Ma nulla è più contrario al pensiero cristiano della concezione aristotelica del reale ch’è immanentismo, naturalismo puro, dualismo in ogni parte… in netto contrasto con la tradizione patristica tutta concentrata sul testo biblico e che ammetteva al più l’accostamento a Platone come ha fatto s. Agostino (p. 125 sgg.).

Ma quel che l’A. concede a s. Agostino, di aver cioè trasformato, elevandolo ad un livello superiore della verità cristiana, il dualismo platonico con i suoi inconvenienti tutt’altro che lievi, non lo vuol concedere a s. Tommaso nei riguardi di Aristotele, non conosce o non vuol riconoscere la superiore sintesi esplicita di aristotelismo e platonismo che il tomismo esprime anche secondo la più recente storiografia. Si tratta che con Kant e col pensiero moderno è stata fatta giustizia per sempre della Scolastica ed in particolare del Tomismo12: ogni «ritorno a s. Tommaso» è quindi un controsenso, il suo sistema non è affatto da prendere come un’espressione adeguata del mondo ideale cristiano (p. 131). Nulla perciò è più sfasato e controproducente del cosidetto «Neotomismo» che si propone il compito di accordare la dottrina tomista col pensiero moderno.

e) Gli accostamenti positivi

Tuttavia in diverse riprese è stato tentato un avvicinamento in «senso positivo» fra s. T. e Kant: il problema che ha polarizzato il maggior sforzo di questo primo secolo del ritorno alla scolastica è quello suscitato da Kant del fondamento dell’oggettività della conoscenza, che sembrava compromessa in radice dall’apriorismo kantiano. Il valore oggettivo del conoscere umano nella filosofia aristotelico-tomista è fondato mediante l’intenzionalità ovvero il riferimento essenziale che l’atto del conoscere – e con l’atto le «specie» o medi soggettivi del conoscere – hanno con la realtà| che rappresentano. Secondo un’interpretazione recente, il p. Sertillanges ha messo in rilievo le affinità fra le concezioni metafisiche e morali di Kant e s. T.: l’impossibilità di un «regressus in infinitum» nelle cause (II via) ha riscontro nel principio kantiano della II antinomia che «dato il condizionato, è data anche la serie intiera delle condizioni e quindi lo stesso Incondizionato». Parimenti circa l’eternità del mondo, la concezione della «libertà noumenale» e il «regno dei fini» Kant esprimerebbe con altri termini la stessa concezione tomista13. S. T. e Kant costituirebbero due momenti analoghi e complementari della coscienza occidentale: come s. T. ha rivoluzionato la teologia cattolica con la distinzione netta fra ragione e fede, così con Kant la filosofia moderna ha distinto la conoscenza della realtà com’è oggetto della scienza e della metafisica. La distinzione kantiana fra fenomeno e noumeno, fra scienza e filosofia pura (metafisica), secondo altri si riconnette all’antica distinzione del pensiero greco di natura (fu,sij) e convenzione (no,moj), essa è conservata in un piano superiore da s. T. nel clima spirituale del sec. XIII come elemento essenziale della «philosophia perennis» con la netta distinzione fra ragione e fede. Il significato della speculazione kantiana è nell’aver dato il vero concetto della scienza moderna nella quale l’uomo – con le sue «ipotesi», progetti, anticipazioni… – non è più passivo ma attivo: questo nucleo fondamentale (basic) del kantismo è valido in sè, prescindendo dalla complessa costruzione filosofica che Kant vi ha aggiunto e si può accordare bene con il realismo tomista14. In Italia ha avvicinato più decisamente il problema teoretico A. Carlini, il quale vede in Kant colui la cui posizione è al di là di ogni razionalismo e fideismo puro: anche per l’Angelico fede e ragione sono distinte chiaramente, ma non separate; lo «intellectus», nonostante le apparenze, non è più il Nous aristotelico e si apre a problemi nuovi ignoti ad Aristotele, ed alla fine vuol essere l’anima intera in ciò che ha di più spirituale; così che la posizione tomista, come quella kantiana, non rientra a rigore nè nell’intellettualismo nè nel volontarismo15. Il Carlini poi è d’avviso che s. T. non dà carattere perentorio, cioè dimostra|tivo nel senso rigoroso, alle famose 5 vie: una volta che si mette al centro del kantismo il problema gnoseologico e non lo si risolve in puro soggettivismo, come poi fece l’idealismo, le due posizioni si corrispondono (ibid., pp. 124 sgg., 171 sgg.). In particolare il Carlini, come il Sertillanges, ha messo in rilievo l’enorme importanza che ha in s. Tommaso l’argomento della creazione in quanto lo ha purificato da ogni intrusione di una «causalità naturalisticamente intesa» e s. Tommaso avrebbe accennato per primo alle celebri antinomie su cui farà leva la critica moderna (ibid., p. 101 sgg.). In questo riferimento infine va ricordata anche la teoria tomista della libertà la quale va intesa come valida non solo nel campo dell’azione ma anche nella sfera del pensiero come attributo fondamentale della spiritualità (ibid., p. 123).

In una prospettiva più limitata G. Zamboni, interpretando lo Ich denke kantiano psicologicamente come l’atto della coscienza, passava ad elaborare con espliciti riferimenti tomisti una «gnoseologia dell’atto» secondo la quale è soltanto nell’autocoscienza dell’io, nell’esperienza interna, che l’uomo percepisce direttamente l’atto di essere che in un secondo tempo estende anche alle «superfici qualificate» dell’esperienza esterna16. Non è difficile scorgere nelle due precedenti interpretazioni l’influsso, del resto esplicitamente dichiarato, del Rosmini.

Ha seguito invece più da vicino il metodo trascendentale kantiano il gesuita belga G. Maréchal, al quale si deve una teoria sul «dinamismo intellettuale della conoscenza oggettiva» che dovrebbe soddisfare all’esigenza dello «Io trascendentale» di Kant17. L’intelletto umano che non è creativo come quello divino nè intuitivo come l’angelico, ma discorsivo, deve cercare il reale e oggettivarlo – affermarlo come reale – mediante l’atto del giudizio; ora poichè la relazione fra il nostro conoscere e l’oggetto non può essere quella di causa ed effetto (riservata a Dio), sarà necessariamente quella di «tendenza attiva» della facoltà all’oggetto come al suo fine. L’affermazione del Reale assoluto è per lo spirito finito dell’uomo la condizione necessaria a priori dell’oggettività della conoscenza stessa. I due momenti allora sono:  a) la tendenza attiva,| naturale e necessaria per l’intelligenza verso il reale, contiene l’affermazione implicita di Dio (che prende perciò il posto del vuoto «Io penso» kantiano); b) tale tendenza attiva dell’intelligenza verso la visione di Dio è il solo mezzo per spiegare l’oggettività cioè il riferimento al reale del contenuto del nostro pensiero. Qualche discepolo del Maréchal ha spiegato questo dinamismo trascendentale della coscienza umana attribuendo al movimento o influsso della «volontà» sull’intelligenza la funzione intenzionale del conoscere (Hayen). Tuttavia si deve osservare che per s. Tommaso il conoscere non si risolve in una relazione, ma è un «modo di essere» ed una perfezione positiva del soggetto che ha il suo termine reale nella «species» immanente ed è mediante e dentro la «species-similitudo» che si compie il riferimento intenzionale ovvero l’oggettivazione: nel tomismo il processo fondamentale che permette il riferimento dal pensiero al reale è la «reflexio», la quale si compie mediante la «conversio ad phantasmata» e allora la dottrina kantiana corrispondente è piuttosto la teoria dello «schematismo trascendentale» (sviluppata in questo senso, con tacito richiamo ad Aristotele, da M. Heidegger18). La posizione del Maréchal riflette la preoccupazione principale della neoscolastica di voler «giustificare» l’esistenza del mondo esterno (problema del «ponte») e di arrivare a fondare l’esistenza della cosa in sè (sostanza, causa…), ch’era lo scoglio del dualismo kantiano di fenomeno e noumeno di cui la filosofia postkantiana, e specialmente Hegel, si sono sbarazzati affermando la priorità dell’essere assoluto (di coscienza) sull’atto di conoscere e dimostrando così la contraddittorietà della nozione del conoscere come «mezzo o strumento» rispetto all’essere e quindi l’insussistenza del cosiddetto «problema critico» come introduzione all’essere19.

La possibilità di un accostamento critico del tomismo alla metafisica dell’idealismo trascendentale sembra piuttosto suggerita «a distanza» dal comune principio del primato della teoria sulla prassi, dal comune orientamento verso la metafisica dell’atto aristotelico, interpretato secondo la dialettica ternaria di Proclo, e dalla co|mune affermazione dell’immanenza ovvero «presenza» dell’Infinito nel finito così che il finito è tutto «contenuto» dall’Assoluto come dal vero Essere «senza predicati», in armonia con la nozione biblica di Dio dell’Esodo (3, 14: «Sum, qui sum») e del discorso di s. Paolo all’Areopago (Act. 17, 28) che può richiamare lo e;stin ga.r ei=nai di Parmenide (B 6; Diels I, 232, 21). In questo senso ha interpretato il tomismo G. Siewerth mediante l’esigenza della «partecipazione» ontologica la quale assicura «l’identità esemplare» fra l’essere finito e l’Infinito che si trovano nell’unità analogica dell’unico concetto dell’essere con la quale si evita l’assurda negazione hegeliana della positività del finito. Se non che la partecipazione, com’è qui considerata, si svolge al di qua dell’analogia tomistica e lascia perciò molto perplessi. In questi o simili tentativi del Maréchal e del Siewerth si tratta di valorizzare elementi agostiniani certamente presenti nel tomismo, ma che non ne costituiscono il lato più originale, ch’è dato precisamente da un concetto integrale aristotelico della positività del finito sia nell’ordine predicamentale dell’essere (sostanza e accidenti, materia e forma) come in quello trascendentale (essenza ed esse, causalità increata ma creante e conservante di Dio) nella direzione metafisica del procliano De Causis20. Se si vuol infatti cogliere il significato della «partecipazione» tomista e chiarire nel suo aspetto positivo e negativo il confronto con la «filosofia dell’identità» di Hegel, occorre approfondire il significato metafisico della distinzione reale tomista fra essenza ed esse partecipato, alla quale consegue la comprensione della «totale» dipendenza della creatura da Dio, e non è senza importanza che, per la sua concezione dell’essere, Hegel si richiami al domenicano Eckhart21. È in questi motivi profondi del rapporto fra finito e infinito, della causalità e dell’analogia dentro la nozione di partecipazione che si possono prospettare i rapporti fra s. Tommaso ed Hegel22: una semplice ripresa del dualismo ari|stotelico dell’atto e della potenza23 rinnoverebbe le innumerevoli e sorpassate discussioni scolastiche sul concetto di potenza. In particolare il problema dell’analogia sembra mettere a fuoco l’interesse del confronto fra s. T., Kant e Hegel in quanto l’analogia esprime la dialettica del rapporto che ha l’intelletto finito all’Assoluto (cf. E. K. Specht, in Kantstudien, 66 [Colonia 1952], p. 10 sgg.).

La trascendenza teoretica del tomismo risulta anche dal fatto che si può prospettare un accostamento a distanza anche con la filosofia recentissima dell’esistenzialismo – avversario dell’idealismo – nei seguenti punti principali: 1. posizione iniziale di realismo integrale mediante il concetto di «situazione» (In-der-Welt-sein di Heidegger). 2. La concezione dell’intelletto umano come «pura potenza» così da essere in «apertura essenziale» verso il reale ch’esso afferma come struttura intelligibile dell’esperienza (la «conversio ad phantasmata»: Sum. Theol., la, 84, 7). 3. La nozione del singolo concreto che si afferma nell’esistenza come realtà mediante la libertà e quindi ancora in ultima radice mediante la distinzione reale di essenza ed esse24. L’accostamento del tomismo alla Fenomenologia husserliana ha mostrato l’affinità dottrinale dell’assimilazione delle essenze mediante l’astrazione alla quale corrisponde la riduzione fenomenologica25 in forma sistematica, all’interno la metafisica tomista dell’atto espressa con la dottrina dell’analogia dell’essere, ha potuto E. Stein mostrare il punto d’«incontro» (Anknüpfung) delle due filosofie come pura teoreticità del problema dell’essere26.

È chiaro che in tutti questi tentativi si parla di «accostamenti a distanza», perchè è fuori causa la diversità sistematica fra i due tipi di pensiero messi al confronto: il principio sistematico dell’a priori kantiano (Ich denke überhaupt) sta agli antipodi della metafisica tomista del conoscere che suppone la positività dell’espe|rienza immediata e la sua strutturazione iniziale nella stessa sfera sensibile come fondamento della conoscenza dell’intelligibile. Parimenti la dialettica hegeliana, che assume per punto di partenza il principio spinoziano del «non-essere» del finito e annulla la distinzione dei due ordini predicamentale e trascendentale, porta alla negazione del concetto di creatura e di libertà personale. Così ancora incerto è il confronto del tomismo con l’esistenzialismo a causa dell’ambiguità problematica della nuova filosofia: ma già si notano alcuni tentativi di accostamento in senso positivo, anzitutto grazie all’orientamento decisamente realista dell’esistenzialismo nella priorità dell’essere sul pensiero e nella struttura della libertà personale in cui si manifestano i due momenti della trascendenza. In K. Jaspers il richiamo al tomismo è stato indicato nella teoria della «fede filosofica» in quanto la «ragione» (Vernunft) non esaurisce il significato dell’essere dell’esistenza che resta l’oggetto della «libertà» e si attua quindi mediante la fede27. (Il Welte rimanda in particolare a De Verit., q. 24, a. 7). In M. Heidegger invece il confronto interessa la struttura dell’esistente ch’è l’uomo come «apertura» radicale verso l’«essere stesso» (Sein selbst) che qualche interprete indica come Dio stesso28.

Più fruttuoso potrà riuscire, per una valutazione critica di tali confronti, uno studio comparato della teologia della fede nel tomismo e nel fondatore dell’esistenzialismo S. Kierkegaard, in quanto egli resta fedele ai principi del realismo aristotelico e della rivelazione cristiana29. Fin quando però resta legato al principio dell’immanenza e dell’interiorità protestante, il nuovo concetto esistenziale di «libertà» sconfina in una «possibilità della possibilità», sospesa tra il nulla e l’essere, che sottrae l’atto umano ad ogni struttura metafisica e alla dipendenza dell’Assoluto.

Un punto solido per il superamento positivo del soggettivismo idealista dovrebbe essere l’approfondimento della metafisica tomista dell’essere spirituale: secondo s. T. le sostanze spirituali,| perchè assolutamente semplici e incorruttibili, vanno riconosciute «necessarie» (necesse esse) in senso ontologico positivo, pur restando creature e quindi causate (ab alio), perchè la contingenza in senso rigoroso è legata alla corruttibilità che proviene dalla materia (cf. i testi decisivi C. G., II, 30; De Pot., q. V, a. 3; In II Physic., lect. 12-15; Sum. Theol., la, q. 2, a. 3; III via; De Spir. cr. a. 5 ad 4)30. La neoscolastica invece (e anche il neotomismo) ha accolto la tesi opposta che identifica la contingenza senz’altro con il carattere di creatura, quale fu difesa dall’agostinismo e dal nominalismo secondo una cruda espressione di Enrico di Harclay (m. nel 1327): «Omnis creatura potest non esse et nulla, quantum est ex parte sui, est necesse esse nec determinat sibi esse. Dico ulterius quod omnis creatura aequaliter et aeque potest non esse. Ita Angelus sicut rana»31. Il punto in questione costituì anche uno dei pezzi maestri della disputa parigina, già ricordata, di G. da Montesono32, ma poi scomparve gradualmente dalla scuola tomista a favore della nozione wolfiana di contingenza. Su tale nozione si era già fondata e si fonda tuttora l’estrinsecismo formalista suareziano che col suo vuoto metafisico ha una parte di responsabilità nell’aver stimolato (sia pur sempre «a distanza») il soggettivismo moderno, così come il nominalismo aveva prima provocato la dottrina della giustificazione estrinseca da parte della Riforma.

Se la filosofia moderna ha potuto turbare radicalmente la vita spirituale dell’Occidente, avviandola sulla china del monismo panteistico prima e poi chiarendosi definitivamente nel suo autentico nucleo di antropologismo ateo quale si attesta nella filosofia contemporanea (neopositivismo, marxismo, esistenzialismo…), ciò si deve soprattutto al fascino che porta in sè il «principio dell’atto» dal quale essa partiva (il principio della coscienza come fondamento dell’essere). La risposta in sede teoretica a questa situazione ed istanza ad un tempo di fallimento o tramonto della civiltà cristiana, non si vede come possa venire dalla ripresa di una Scolastica scialba e generica che la filosofia moderna ha ben conosciuta| e direttamente fronteggiata da Cartesio, a Leibniz fino a Schopenhauer… (buoni conoscitori fra l’altro p. es. di Suarez!), secondo la quale l’ente si esprime nell’essenza possibile o reale e l’esistenza nel fatto empirico riferito dai sensi. Tale risposta può invece essere chiesta al pensiero di s. Tommaso a cui la Scolastica, nelle varie sue direzioni, non cessò di resistere e di opporsi nelle posizioni fondamentali e soprattutto nella concezione dell’atto di essere e delle implicazioni fondamentali: svuotatasi dell’essere come atto, la speculazione occidentale si esaurì nel gioco astratto delle determinazioni formali attirandosi l’accusa di «oblìo dell’essere» (Vergessenheit des Seins) con la quale Heidegger caratterizza lo sviluppo o piuttosto l’involuzione del pensiero occidentale a partire da Platone. Aristotele fino ad Hegel, Nietzsche e allo stesso Sartre… in quanto al potente richiamo per la verità dell’essere come «presenza del presente», apparso con Parmenide ed Eraclito, è stato sostituito il principio della «forma» quale «contenuto di rappresentazione» che doveva portare inesorabilmente all’idealismo ed alle conseguenze nichilistiche della filosofia contemporanea.

A quell’accusa ed a questa deprecata nemesi sfugge la concezione tomistica che addita nell’esse l’atto di ogni atto ed abbassa perciò l’essenza e la forma a mera potenza determinativa e recettiva dell’esse: a questo modo il pensiero fa inizio con la presenza dell’atto, ch’è l’apprensione dello ens, ed avanza mediante la tensione di essentia ed esse che l’ens richiama nella sua costituzione originaria. Questo capovolgimento tomista dell’orizzonte speculativo ristabilisce da una parte il contatto del biblico Sum, qui sum (Exod. 3, 14) con lo e;sti ga.r ei=nai di Parmenide e s’incontra dall’altra parte con il principio moderno dell’atto e con le esigenze per le quali esso è sorto ed oggi viene rivendicato da Heidegger. Mostrare la realtà e la forma di quel che si potrebbe chiamare il «parmenideismo tomistico» e dell’incontro fra l’atto tomistico dell’esse e l’atto moderno dell’autocoscienza, è il preciso compito di un tomismo consapevole della propria forza e originalità come della gravità della situazione del pensiero contemporaneo il quale, per la sua espulsione definitiva (in senso positivo e costitutivo!) del sacro e del trascendente, non ha alcun riscontro nella storia della civiltà occidentale.

Una volta che si riconosca, come si deve, la derivazione e deviazione teologica della metafisica dell’immanenza con le sue varie propaggini, il compito del tomismo del futuro sembra debba essere| quello di penetrare l’esigenza di quella proclamata immanenza traendola dentro il problema essenziale del pensiero, ch’è la fondazione del finito nell’Infinito: chiarendo così i propri principi della «metafisica dell’atto», non come una figura culturale isolata, ma come la sostanza perenne dell’umano filosofare in cui si dileguano le manchevolezze e le deviazioni dei sistemi. Ed è al tomismo pertanto, più che a qualsiasi altra scuola di pensiero cristiano, che si addice tale missione di unificazione dell’umana coscienza, dai frammenti del suo divenire storico, nella sua struttura teoretica universale.

Note

1 Frohschammer J., Die Philosophie des hl. Thomas von Aquin kritisch ge­würdigt, Leipzig 1889. Nella Pref. l’A. dichiara espressamente di aver scritto l’opera­ per ostacolare la ripresa del tomismo qual’è progettata nella Aeterni Patris di Leone XIII.

2 Lett. del 26 febbraio 1835, in J. A. Moehler, Ges. Aktenstücke u. Briefe, I, München 1928, p. 308.

3 Cf. le ampie citazioni tomiste in: Das Wesen des Christentums, Erläuterun­gen…, in «Sämtl. Werke», ed. Bolin-Jodl, VI, Stuttgart, 1903, p. 336 sgg.

4 R. Eucken, Die Philosophie des Thomas von Aquino und die Kultur der Neuzeit, I ed. H. Haacke, Leipzig 1886; II ed. Bad Sachsa, 1910. Il vol. è una rac­colta di articoli pubblicati nel 1882 nella Allgemeine Zeitung, come replica all’Enci­clica Aeterni Patris. Cito ambedue le edizioni con I e II; Thomas Aquinas und Kant, ein Kampf zweier Welten, Berlin, Reuther u. Reichard, 1901 (Saggio già pubblicato in «Kantstudien» 1901, pp. 1-18) come risposta all’Enc. di Leone XIII all’episco­pato e al clero di Francia dell’8 settembre 1899, nella quale il Pontefice – contro il dilagare del soggettivismo moderno – richiamava alle prescrizioni della Aeterni Patris.

5 Cf. anche: Thomas von Aquino und Kant, p. 27.

6 L’A. riconosce in questo la grande differenza fra s. Tommaso e Lutero nei rapporti fra fede e ragione: «Wissen und Glauben geraten nicht miteinander in Wi­derspruch. So verhalten sich Vernunft und Offenbarung weit freundlicher zueinander als z. B. bei Luther, der sich nicht genug darin tun kann, den schroffen Gegensatz von Natur und Gnade hervorzukehren» (I, 8; II, 12: dò il testo della II ed., quello della I è un po’ più ampio).

7 Nell’appendice (Nachwort) aggiunta al Die Philosophie des Thomas v. Aquino, II ed., l’A. – pur non modificando la sostanza della sua tesi – prende atto delle critiche del Dittrich e riconosce ampiamente i singolari meriti dell’opera e della spe­culazione tomistica che antepone al fideismo protestante (II, 49 sgg.).

8 La Scolastique et le Thomisme, Gauthier-Villars, Paris 1925 di pp. 811. L’ope­ra sembra voglia essere una risposta al celebre saggio del tomista napoletano e primo Segretario della Pont. Accademia Romana di s. Tommaso, S. Talamo: L’Aristotelismo della Scolastica nella storia della filosofia, III ed., Siena 1881, ch’è citato dall’A. a p. XXVII.

9 Il carattere della filosofia tomistica, Firenze, Sansoni, 1934. Pubblicato prima in articoli nel «Giornale critico della filosofia italiana», 1932, diretto da G. Gentile.

10 È sacerdote cattolico, prof. all’Università di Colonia. La sua avversione al Tomismo circola in tutte le sue opere: spec. in Erkenntnistheorie, Berlin u. Bonn 1926 e in Das Kausalprinzip, Augsburg 1928. Essa è stata esposta in forma sistematica nel Thomas von Aquin und Wir (E. Reinhardt, München-Basel 1955) ch’è la II ed. del Die Weltanschauung des Thomas von Aquin del 1926 (Strecker u. Schröder, Stutt­gart): la I e II parte sono pressochè intatte, mentre la Einleitung: Thomas heute (pp. 7-16) e la III parte con la Conclusione (Was können wir von Thomas lernen?) sono state aggiornate e quasi completamente rielaborate. Le citazioni rimandano all’ed. 1955, quando le due ed. coincidono le indichiamo entrambi.

L’ispiratore diretto da parte cattolica dell’antitomismo dello H., a giudicare dalle frequenti citazioni, sembra J. Frohschammer, Die Philosophie des hl. Thomas von Aquino, kritisch gewürdigt, Leipzig, Brockhaus, 1889, il quale prende lo spunto pre­cisamente dalla Aeterni Patris di Leone XIII (cf. pp. VI, XII, XVII e passim).

11 Qui l’A. attacca in modo speciale il principio di causa che sta a fondamento delle 5 vie per la dimostrazione dell’esistenza di Dio (p. 109 sgg.). In particolare la nozione aristotelica di Dio è quanto di più contrario si possa concepire contro la Bibbia e il Nuovo Testamento (p. 128 sgg.). Cf. spec. anche: Erkenntnistheorie, Berlin u. Bonn 1926, p. 132 sgg. e Das Kausalprinzip spec. p. 50 sgg., 219 sgg. Sulle pole­miche suscitate dal vol., vedi ora il riassunto fatto dallo stesso H. nella II ed., E. Reinhardt, München 1958 e nell’Autobiografia: Geistige Kämpfe der Zeit im Spiegel eines Lebens, Glock u. Lutz, Nürnberg, s. d. (ma 1959), pp. 76-83.

12 Cf. p. 86 sgg.: Die Ueberwindung der Scholastik durch das neuzeitliche Denken (questo § è un’aggiunta della II ed.).

13 S. Thomas d’Aquin, IV ed. Paris, 1925, t. I, p. 149, 281; t. II, pp. 284, 300 sgg., 311, 314.

14 G. Ardley, Aquinas and Kant, The Foundations of Modern Sciences, Londra 1950, pp. 3 sgg., 71 sgg.

15 S. Tommaso d’Aquino, Ragione e fede, Bari 1949, pp. 49, 149, 162 sgg., 219 sgg.

16 Zamboni G., La gnoseologia di s. Tommaso d’Aquino, Verona 1934.

17 Maréchal J., Le point de départ de la métaphysique, cahier V: Le thom. de­vant la philos. critique, Lovanio-Parigi 1926. Per un’esposizione programmatica, v. Le dynam. intellect. dans la connaiss. object., in Rev. néosc. de philos., 28 (1927), p. 137 sgg.

18 Heidegger M., Kant u. das Problem der Metaphysik, 2a ed. Francoforte su M. 1950.

19 Cf. Hegel, Phän. d. Geistes, Einleitung: Von der Erfahrung des Bewusstseins, ed. Jo. Hoffmeister, Lipsia 1937, p. 63 sgg.

20 Un tentativo in questo senso è il saggio di J. Möller, Der Geist und das Abso­lute. Zur Grundlegung einer Religionsphilosophie in Begegnung mit Hegels Dialektik, Paderbon 1951.

21 Cf. Vorlesungen über die Philosophie der Religion, ed. G. Lasson, I, Lipsia 1925, p. 257; v. ora H. Hof, Scintilla Animae…, Lund-Bonn 1952.

22 Przywara E., Thomas oder Hegel?, in Logos, 15 (1926), pp. 1-20; Id., in Humanitas, Norimberga 1952, p. 735 sgg. V. anche: C. Fabro, Dall’essere all’esi­stente, Brescia 1957, p. 37 ss.

23 Jansen B., Dialektische oder Akt-Potenz-Metaphysik: Hegelrenaissance oder Hegelkritik, in Aufstiege z. Metaphysik, Friburgo in Br. 1933, p. 365 sgg.­

24 C. Fabro, L’Assoluto nel tomismo e nell’esistenzialismo, in Salesianum, 13 (1951), p. 185 sgg.

25 Stein E., Husserls Phänomenologie u. die Philos. des hl. Th. v. A., in Festschr. Husserl. z. 70. Geburtstag, Halle a. S. 1929, p. 315 sgg.

26 V. il postumo Endliches und ewiges Sein, Versuch eines Aufstiegs zum Sinn des Seins, Lovanio-Friburgo in Br. 1950, p. VIII sgg.

27 Cf. Welte B., Der philos. Glaube bei K. Jaspers u. die Möglichkeit, seiner Deu­tung durch die thom. Philos., in Symposion, Jahrb. f. Philos., 2 (1949), spec. p. 72 sgg.

28 Müller M., Existenzphilosophie im geist. Leben der Gegenwart, Heidelberg 1949, spec. p. 71 sgg. Cf. Id., Sein und Geist. Systemat. Untersuch. über Grundpro­blem und Aufbau mittelalt. Ontologie, Tubinga 1940, p. 58 sgg.

29 C. Fabro, Raison et foi dans l’oeuvre de Kierkegaard, in Rev. des sc. philos. et théol., 23 (1949), p. 169 sgg.; Id., Introd. alla trad. it. del Diario, I, Brescia 1948, p. LXXXVIII sgg.

30 C. Fabro, Intorno alla nozione tomista di contingenza, in Riv. filos. neosc. (1938), p. 132 sgg.

31 Apud: Pelster F., H. von Harclay, Kanzler von Oxford und seine Quaest., in Misc. F. Ehrle, I, Roma 1924, p. 342.

32 Chart. Univ. Paris., t. III, n. 1557, prop. VI-VIII, p. 494; il materiale del­l’ardente controversia si trova nel Cod. Burgh. 102 della Bibl. Vat. cf. A. Maier, Cod. Burghes. Bibl. Vat. (Studi e testi, 170), p. 133 sgg.

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