Singolare è la posizione del Tomismo, a causa della decisa caratteristica delle sue dottrine e della novità del suo orientamento speculativo, nello sviluppo complessivo della Scolastica. Tale singolarità è stata riconosciuta, come si è accennato, dalla Chiesa stessa, la quale ha scelto e raccomanda il Tomismo con particolare insistenza. Il significato di questo riconoscimento non può essere dubbio, ossia esso attinge il momento qualitativo e non quello puramente quantitativo; si tratta cioè di un ritorno al Tomismo come tale anzi al pensiero proprio di s. Tommaso e non anzitutto a quello della Scuola tomista come tale – qualora questo non risultasse fedele interprete di quello. Non si può quindi trattare di un semplice appello ad una ripresa di una Scolastica generica ridotta ai principi, alle tesi, alle conclusioni… generiche e comuni a tutte le Scuole. Questo atteggiamento minimistico non solo toglierebbe all’intervento pontificio ogni vigore e ragione d’essere perchè non spiegherebbe l’insistenza per la scelta esplicita del pensiero di s. Tommaso e la decisione nel mettere in rilievo pronuntiata maiora della sintesi tomistica: voler interpretare tali pronuntiata maiora per le «tesi comuni» a tutte le scuole, significa misconoscere i risultati acquisiti sull’originalità speculativa del Tomismo e le aspre controversie che ne hanno ostacolato l’affermazione nella Chiesa fino ai nostri giorni. I pronuntiata maiora raccomandati da s. Pio X indicano i punti dottrinali costitutivi del Tomismo nel suo ulteriore sviluppo – nel senso delle 24 Tesi raccomandate dalla S. C. degli Studi1. Alcuni brevi cenni sulla natura e sullo sviluppo della| Scolastica non possono che confermare questa ovvia ed elementare diagnosi.
1. Nozione generale della Scolastica
Nella sua accezione più ampia il termine «Scolastica» indica la «filosofia medievale» e, in un senso più preciso, quel movimento dottrinale che si propone una concezione sistematica del mondo e dell’uomo in accordo con la Rivelazione e la fede. Nel suo primo significato cronologico la Scolastica abbraccia quel complesso di dottrine che si affermano nelle scuole cristiane dell’Europa nei secoli tra la fine dell’Epoca patristica e l’inizio del Rinascimento: quando questo s’intenda come una reazione alla Scolastica e l’inizio dell’epoca moderna. Quanto al suo contenuto, la Scolastica rappresenta l’affermarsi vittorioso del cristianesimo nel campo della cultura umana: anzitutto in quanto nelle scuole superiori, che sono promosse dalla Chiesa, entrano tutte le branche dello scibile coltivate dall’antichità classica, sviluppate e trasmesse all’Occidente in particolare dalla fiorente cultura araba dell’Oriente e del Mediterraneo; poi, in quanto tutto il complesso edificio del sapere è orientato in funzione della concezione trascendente della verità e della vita e prepara una sempre maggiore penetrazione o sviluppo della verità teologica. Di conseguenza, quanto al metodo, la Scolastica si afferma da una parte, in filosofia, per una maggiore e più diretta adesione alla realtà nella natura e all’esercizio della riflessione speculativa come tale, e dall’altra, in teologia, con un’assunzione positiva dei principi e dei risultati stessi della speculazione per la presentazione, formulazione e difesa del dogma rivelato. Pertanto, rispetto al pensiero classico che si sviluppò fuori della fede e quindi restò prigioniero dell’immanenza della ragione umana, come riguardo all’epoca patristica intenta soprattutto a custodire l’integrità del dogma dagli| attacchi delle eresie, la Scolastica rappresenta un momento terminale positivo della «riconciliazione» della ragione con la fede.
È quest’armonia delle due sfere della natura e della Grazia, della ragione e della fede, che tiene in tensione la coscienza dell’uomo nella situazione storica creata dalla Rivelazione, ciò che costituisce la caratteristica o il risultato della cultura medievale. Quest’armonia è in buona parte preparata dalla patristica e perciò Patristica e Scolastica sono i due momenti complementari e continui della medesima coscienza cristiana in cammino verso una più intima consapevolezza della verità divina (tale armonia viene invece spesso infranta e perduta nel Rinascimento, per essere poi osteggiata e variamente mistificata dal pensiero moderno). In questo senso il nucleo metodico della Scolastica è quindi nella «positività» del rapporto di ragione e fede e questo in doppio senso: anzitutto in quanto la ragione può «portare» alla fede, può cioè preparare l’adesione dell’uomo all’oggetto di fede e chiarire il significato dei termini dell’oggetto stesso, e poi in quanto a sua volta la fede aiuta la ragione nei momenti più ardui, ne colma le lacune, ne esplica le esigenze, ne soddisfa le aspirazioni ch’essa non è in grado di attuare. È in questo senso che la Scolastica ha cercato di realizzare, sia pure con i limiti inevitabili di ogni opera umana, la forma più compiuta del sapere cristiano. L’accusa lanciata alla Scolastica dagli umanisti e dai protestanti di «tenebra»2 è stata smentita dalla moderna storiografia che ha ritrovato anche in quell’epoca periodi di autentico umanesimo (sec. XII) e tale è stato riconosciuto lo stesso tomismo per la sua difesa della consistenza ontologica del finito e in particolare dell’intelligenza e della libertà umana.
2. Divisione e caratteri
Sul fondamento del criterio metodico principale, ch’è l’armonia tra ragione e fede, si può distinguere nella Scolastica medievale una triplice fase:
a) la preparazione (prossima) che comprende il laborioso periodo dei secc. VII-XII;
b) l’apogeo con i grandi sistemi del sec. XIII;
c) la decadenza che si compie nei secc. XIV-XV.
Seguono le due riprese della Scolastica:|
d) prima, nell’età barocca, soprattutto per merito dell’Italia e della Spagna;
e) poi, verso la fine del sec. XIX, in seguito anche all’incitamento di Leone XIII che mise fine al caos dottrinale in cui si dibatteva molta parte delle scuole cattoliche.
Se pertanto il termine di Scolastica può sembrare assai vago e convenzionale, in quanto abbraccia, come è chiaro, una grande varietà di scuole, esso esprime tuttavia una realtà innegabile nella storia della cultura umana e indica l’epoca decisiva della maturità della coscienza cristiana. Ciò non esclude che si possa parlare anche di una Scolastica giudaica e di una Scolastica araba: difatti anche in questi due mondi culturali si verificò un fenomeno storico analogo di una ricerca similare dell’armonia tra filosofia e religione i cui risultati prepararono ed entrarono, almeno in parte, nella più matura sintesi medievale. Tuttavia per una restrizione legittima, perchè giustificata dalla vitalità storica e dalla stessa sopravvivenza della Scolastica cristiana, si riserva il termine di Scolastica al pensiero cristiano medievale e a quello che al medesimo in qualche modo ancor oggi sopravvive e ad esso si ricongiunge. La restrizione è tanto più giustificata perchè sia l’islamismo, che si limita al monoteismo della religione naturale, come il giudaismo, che parimente si attiene al rigido monoteismo biblico e non accetta il «compimento» della fede trinitaria e della Redenzione in Cristo, o non hanno sentito affatto la tensione tra ragione e fede (restando quindi nell’immanenza della natura come tale) o l’hanno appena avvertita come problema dell’incontro (o conflitto) tra la personalità di Dio e la personalità dell’uomo. Pur ammettendo allora l’indipendenza che nella Scolastica la ragione ottiene nella sua sfera, il significato definitivo di tale indipendenza è solidale con la consapevolezza del proprio «limite» e questo limite è precisamente avvertito in modo definitivo rispetto alla Rivelazione cristiana. Perciò il «momento teologico» costituisce nella Scolastica il punto culminante, verso il quale convergono a loro modo, ma con un preciso significato, i momenti e i problemi della scienza e della filosofia, non però il momento esclusivo, come pretende lo Hegel3 che non s’accorge della rivoluzione operata dall’ingresso di Aristotele con il suo nuovo concetto di scienza. Così il motto caratteristico della| Scolastica della «philosophia ancilla theologiae» esprime, quando sia ben compreso, con esattezza la situazione spirituale di questa che si è affermata come la corrente dottrinale principale del cristianesimo; purchè si tenga presente che l’equilibrio o l’armonia tra filosofia e teologia, non sono qualcosa di fisso e di determinato una volta per sempre, ma si trovano nelle varie scuole e nei diversi secoli soggetti a continue crisi e oscillazioni e ricevono di conseguenza diverse e alle volte opposte soluzioni. In conclusione il concetto di Scolastica, se ha anzitutto un significato prevalentemente storico-culturale, si rapporta alla fine a un nucleo dottrinale (l’armonia tra ragione e fede) che la domina e serve precisamente di criterio per il differenziarsi delle epoche e delle scuole.
In particolare, volendo precisare l’importanza di questa caratteristica della Scolastica, può dirsi ch’essa comporta tre momenti i quali corrispondono alla propria natura della filosofia (e della conoscenza naturale in genere), della teologia come tale e del loro rapporto in cui si compie l’ideale dell’uomo medievale, com’era per la civiltà greca il qeorhtiko,j bi,oj e il kalokavgaqo,j l’ideale dell’uomo greco. Il De Wulf indica per i primi due momenti i seguenti caratteri:
a) In filosofia: l’esigenza di «rigore scientifico» nell’ordinamento dei vari campi e oggetti dello scibile, nella determinazione dei metodi propri a ciascuna scienza e nella sistemazione adeguata del sapere così ottenuto. Il momento decisivo e il «punto critico» a questo riguardo nello sviluppo della Scolastica è stata la scoperta di Aristotele con l’assunzione delle sue dottrine nella logica, nella fisica, nella metafisica, nella morale.
b) In teologia: come conseguenza del progresso ottenuto in filosofia, anche la teologia gradualmente tende a presentarsi in forma scientifica secondo una distribuzione logica e coordinata dei vari trattati, seguendo un procedimento razionale appropriato agli argomenti mediante la forma sillogistica rigorosa e la divisione della materia in parti, questioni e articoli che mettono i singoli problemi alla prova dell’evidenza per chiarirli nella rispettiva trasparenza concettuale4.
c) Nell’uomo infine la Scolastica compie, a prezzo di aspre lotte, la «conciliazione» per l’appunto della ragione e della fede;| è stato particolare merito del card. Ehrle di aver còlto questo momento conclusivo e di averlo descritto nei suoi punti fondamentali che sono la rispettiva indipendenza, ciascuna nel proprio campo, della ragione e della fede (filosofia e Rivelazione) e del mutuo incontro che ha portato a un’espansione dottrinale di ambedue i campi5.
Sotto questo aspetto, decisivo dal punto di vista del metodo e quindi del risultato stesso, la Scolastica svolge un ciclo completo di sviluppo che la patristica – che non comportava dal punto di vista sia filosofico che teologico una concezione sistematica – non poteva avere: Abelardo, s. Anselmo, Ugo di S. Vittore già nel sec. XI-XII conoscono il magistero dell’uso della ragione in teologia che il sec. XIII porterà alla perfezione, e ciò costituisce l’incremento positivo, non l’insidia, della dottrina cristiana (come pretende Fr. Overbeck, Vorgesch. und Jugend der mittelalterlichen Scholastik, ed. C. A. Bernouilli, Basilea 1917, specialmente p. 226 sgg.).
Nel pensiero moderno, al contrario – dalle prime scosse dell’Umanesimo e del Rinascimento laico che presero corpo con l’immanenza assoluta dell’Illuminismo e dell’Idealismo fino agli epigoni del marxismo e dell’esistenzialismo ateo contemporaneo – la ragione assorbe la teologia e la Rivelazione. Il pensiero moderno, nello sviluppo eterodosso che l’ha dominato, conosce il cristianesimo e la Rivelazione ma interpreta l’uno e l’altra «dentro» il proprio sviluppo e come adombramento o come grado (imperfetto, s’intende) di tale sviluppo che ha ormai assolto la sua funzione storica. Da una parte quindi il pensiero moderno ha un rapporto diretto alla Scolastica e al pensiero cristiano in generale, in quanto concepisce il rapporto dell’uomo a Dio in forma positiva6; dall’altra parte ne è, nelle sue posizioni fondamentali, l’antitesi esplicita per la dissoluzione che fa dell’infinito come totalità dello sviluppo dialettico del finito. Ciò comporta la negazione di quella sfera trascendente della fede alla quale secondo la Scolastica la ragione avvia come propedeutica, mentre per il razionalismo idealista la fede e la religione sono uno stadio preliminare e imperfetto, proprio del volgo e del pensiero immaginativo, rispetto al dominio assoluto della| ragione che si esplica nella filosofia (cf. Hegel, op. cit., intr.; ed. cit., p. 7 sgg.).
3. La Scolastica medievale
Si può ammettere che il rapido sviluppo e l’incontrastato dominio della Scolastica nell’Europa medievale sono state anche la causa dei suoi principali difetti che si fanno più evidenti a partire dal sec. XIV: la barbarie quasi ricercata del linguaggio, per l’abbandono dello studio dei classici, la moltiplicazione di questioni inutili e insulse, l’invasione delle sottigliezze logiche nella riflessione metafisica, la mancanza di senso storico-critico nell’uso dei testi… Ciò ha favorito il pullulare delle scuole che si battagliarono per secoli su questioni spesso di scarso o nessun rilievo dottrinale così che la Scolastica prima non s’accorse della rivoluzione che veniva proclamata dalla filosofia moderna e poi, esausta com’era, non fu in grado di comprenderla e di contenerne l’impeto. Tuttavia ogni ricercatore oggettivo deve anche convenire che quando si considera la Scolastica nelle sue figure più salienti come s. Bonaventura, s. Alberto M., s. Tommaso d’Aquino e, per l’indirizzo eterodosso, Sigieri di Brabante…, essa è da porsi fra le attuazioni storiche più consistenti dell’universalità della verità cristiana, e costituisce nei suoi principi e nella stessa varietà degli indirizzi un valido punto di riferimento per ogni ricerca circa il problema fondamentale dell’esistenza umana, ch’è appunto l’accordo fra fede e ragione, ed offre una fonte non ancora esaurita d’ispirazione per spingere l’uomo a scrutare il problema dell’essere ed a chiarire l’enigma dell’ultimo suo destino.
Gli storici convengono, nel suddividere la Scolastica medievale, in tre periodi: la preparazione o «prima Scolastica» (Frühscholastik), l’attuazione o «alta Scolastica» (Hochscholastik) e infine il tramonto o «tarda Scolastica» (Spätscholastik): la divisione ha una propria ragione tanto dal punto di vista metodologico come critico e dottrinale.
La preparazione o prima Scolastica. – Questo periodo abbraccia lo spazio di tempo che corre dalla fine del mondo antico (secc. V-VI) al sec. XIII. Dall’epoca patristica emergono come «maestri» della Scolastica s. Agostino, lo ps. Dionigi e Boezio come fonti ecclesiastiche; ma si fanno valere anche le fonti dottrinali strettamente filosofiche quali alcuni dialoghi platonici (Fedone, Menone, i frammenti del Timeo con il grande Commento al medesimo dia|logo di Calcidio), specialmente l’Organon di Aristotele nella versione e nei commentari di Boezio, e altre fonti minori come Mario Vittorino neoplatonico, Porfirio, Macrobio e Apuleio7. Da questa indicazione emerge il carattere di questa prima Scolastica che si può indicare nella prevalenza del platonismo (o neoplatonismo) quanto al contenuto e nella tendenza al procedimento dialettico delle suddivisioni e distinzioni quanto al metodo. Evidentemente il processo è lungo e faticoso e soggetto a crisi dottrinali spesso assai gravi che hanno ripercussioni dirette sul dogma stesso (controversie sulla predestinazione, sulla Trinità, sull’Incarnazione, sui Sacramenti, specialmente l’Eucaristia) che provocano l’intervento ecclesiastico. Nel sec. IX si stacca quasi d’improvviso come un blocco a se stante la speculazione neoplatonica (ispirata allo ps. Dionigi) di G. Scoto Eriugena che viene in sospetto di monismo panteista ed è condannato per la dottrina della predestinazione (Denz-U, 320 sgg.). Nel sec. XI s’incontra Berengario di Tours il quale confidando troppo nel gioco della dialettica compromette la dottrina della transustanziazione eucaristica incorrendo nella condanna di vari Concili (Vercelli 1050, Roma 1059, Poitiers 1074 e Bordeaux 1080: Denz-U, 355). La dialettica prende la mano anche a Roscellino e suscita gli sdegni di s. Pier Damiani. La figura più notevole di questo periodo è s. Anselmo di Aosta il quale è il primo teologo sistematico che movendo dai dati della Scrittura e del magistero ecclesiastico procede alla riflessione e contemplazione teologica a sfondo platonico-agostiniano secondo il motto ch’è nel titolo del Proslogion (ed è del cap. 1: PL 158, 227 BC: … «Credo ut intelligam») rimasto per tutta la Scolastica ortodossa: Fides quaerens intellectum. Il sec. XII è noto per il fiorire delle scuole di grammatica e logica ed è caratterizzato da uno sviluppo insospettato e improvviso delle arti e delle lettere del Trivium e del Quadrivium in cui emerge la Scuola di Chartres con Clarembaldo d’Arras, Guglielmo di Conches, Bernardo e Teodorico di Chartres e Bernardo di Tours, contemporaneo di Teodorico, detto anche Silvestris; Guglielmo di Champeaux, G. di Salisbury, Gilberto de la Porrée agitano la controversia degli universali; infine Abelardo (m. nel 1142) presenta la prima metodologia scientifica della teologia cristiana, fortemente osteggiato dal mistico s. Bernardo. Contemporaneamente nel monastero parigino| di s. Vittore si delineano i primi trattati di teologia e di mistica sistematica (Riccardo e Ugo di S. Vittore). La fine del secolo presenta un fervore di traduzioni di testi greci e arabi specie a Toledo, Palermo, Napoli che dànno i fondamenti e i materiali per il gran balzo del secolo seguente.
L’attuazione o alta Scolastica. – Nel sec. XIII la sintesi di ragione e fede raggiunge la sua forma compiuta e definitiva nel pensiero cristiano; la prima metà del secolo è caratterizzata dall’ingresso in Occidente, nelle traduzioni latine, di Avicenna, Averroè, Avicebron e soprattutto degli scritti di filosofia naturale e di metafisica di Aristotele.
L’entrata di Aristotele ha provocato la più importante rivoluzione del pensiero cristiano in Occidente specialmente per opera di s. Tommaso, ma i suoi inizi furono assai contrastati. Il Concilio di Parigi del 1210 alla condanna del panteismo di Amalrico di Bena e di David di Dinant aggiunge la proibizione di leggere le nuove opere di Aristotele: «Nec libri Aristotelis de naturali philosophia nec commenta legantur Parisiis publice vel secreto, et hoc sub poena excommunicationis inhibemus». La proibizione ritorna negli Statuti dell’Università di Parigi del 1215 redatti da Roberto di Courçon, legato pontificio, che distingue espressamente fra i libri di logica del filosofo, permessi, e quelli recentemente introdotti, proibiti ma senza menzione di scomunica: «Non legantur libri Aristotelis de metaphysica et de naturali philosophia nec summe de eisdem»8. Una fase ancor più importante è nell’intervento personale di Gregorio IX il quale, mentre in due lettere (7 luglio 1228, 13 aprile 1231) aveva rinnovato le precedenti proibizioni, dieci giorni più tardi (23 aprile) istituisce una commissione di tre membri teologici (Gugliemo di Auxerre, Stefano di Provino e Simone de Alteis) per purgare dagli errori i libri incriminati: «… et libris illis naturalibus qui ex certa causa in Concilio Provinciali prohibiti fuere, Parisiis non utantur, quousque examinati fuerint et ab omni errorum suspicione purgati». Ma la Commissione per varie cause, specialmente per la morte del suo capo G. di Auxerre (3 novembre 1231) e per la complessità stessa del lavoro, non sembra sia arrivata ad alcun risultato. Nel frattempo la situazione sembra| assestarsi da sè; da molti indizi si rileva che i nuovi libri di Aristotele sono studiati e commentati un po’ dappertutto, senza particolari limitazioni. Ciò è testimoniato, verso la seconda metà del secolo, negli Statuta artistarum nationis Anglicanae de artibus e dalla raccolta più completa dello Statutum della Facoltà delle arti del 19 marzo 1255 dove si trovano elencati senza alcuna riserva fra i libri di studio i seguenti: «… physica, metaphysica, liber de animalibus, liber coeli et mundi, liber primus methereorum, liber de anima, liber de generatione, liber de sensu et sensato, liber de memoria et reminiscentia», oltre, s’intende, i libri di logica e l’«Ethica quantum ad quattuor libros» cioè la Ethica nova e la Ethica vetus9. Il Grabmann non ebbe tempo di completare le sue ricerche e forse l’unica soluzione finora plausibile del contrasto fra i divieti e gli Statuta resta quella del card. Ehrle, secondo la quale l’atteggiamento dell’autorità ecclesiastica in questi divieti fu quello di una «prudente attesa»: le proibizioni ecclesiastiche cessarono e perdettero il loro valore per desuetudine, essendo cessato lo scopo di esse e la situazione alla quale la legge si riferiva10.
Le scuole principali dell’alta Scolastica. – L’ingresso di Aristotele nella cristianità occidentale provocò reazioni di diversa natura. Alcuni, soprattutto nel campo dei teologi e non solo nell’Ordine francescano ma anche nella prima scuola domenicana, timorosi di ogni novità, continuano ad attenersi alla tradizione e non intendono distaccarsi dalla dottrina di s. Agostino; altri invece procedono risoluti sulla nuova strada ed accolgono la visione del mondo di Aristotele nella sintesi cristiana. Per comodità di nomenclatura si è convenuto, dopo gli studi di Fr. Ehrle e di P. Mandonnet, di indicare i due indirizzi contrastanti con i termini di agostinismo e aristotelismo.
L’agostinismo. – In quest’indirizzo s. Agostino resta il principale maestro, ma non la fonte esclusiva (va insieme notato ch’egli è la fonte comune anche degli altri maestri di questo periodo, soltanto che le sue dottrine sono incorporate in tipi di metafisica di diversa| ispirazione). La metafisica dell’indirizzo agostinista procede piuttosto e certamente si è potuta consolidare dal realismo esagerato di tipo neoplatonico, ed ha per sua fonte principale il grande dialogo metafisico Fons vitae del filosofo arabo-giudeo Avicebron, tradotto alla fine del sec. XII dall’arcidiacono toledano Domenico Gundisalvi il quale ne diffuse le dottrine negli opuscoli De Anima, De divisione philosophiae, De immortalitate animae, De processione mundi, ecc.11. Quest’indirizzo dottrinale è già ben visibile nei primi maestri francescani, p. es., Alessandro di Hales, ma esso si consolida specialmente per opera di s. Bonaventura e nei suoi discepoli (Matteo di Aquasparta, Vitale di Four, Pietro G. Olivi). Dalle lettere di Giovanni Pecham, suo discepolo ed emulo di s. Tommaso a Parigi, è nota la vivacità dell’opposizione fra i due indirizzi e quali erano i principali punti controversi: in una lettera del 1o giugno 1285 sono nominate le dottrine di s. Agostino («… quidquid docet Augustinus de regulis aeternis et luce incommutabili [o dottrina dell’illuminazione], de potentiis anime [identità di anima e facoltà], de rationibus seminalibus inditis materie et consimilibus innumeris»); in un’altra lettera del 7 dicembre del 1284 è toccata la tesi che fece più scalpore nella polemica antitomista scatenata da questa scuola, cioè l’unità della forma sostanziale dell’uomo: «In homine existere tantummodo formam unam…», mentre la dottrina tradizionale stava saldamente per la pluralità delle forme che sembrava necessaria a spiegare la condizione del Corpo di Cristo nel sepolcro e la diversità delle varie operazioni dell’uomo12. La vera origine metafisica di quest’ultima dottrina era invece la tesi, presa di peso da Avicebron, dell’ilemorfismo universale secondo la quale ogni creatura, perchè finita nel suo essere, è composta di materia e forma: i corpi di «materia corporale» e gli spiriti di «materia spirituale»13. La seconda scuola francescana, guidata da Duns Scoto, resta fedele allo spirito dell’agostinismo ma elabora i problemi metafisici con maggiore aderenza al testo aristotelico ch’è interpretato di preferenza nella linea di Avicenna (la grande edizione critica delle opere,| diretta dal p. C. Baliæ [Roma 1950 ss., finora 5 voll.], permetterà di sceverare il genuino pensiero del «Doctor subtilis» dalle aggiunte o deduzioni dei discepoli).
L’aristotelismo tomista. – La fortuna di Aristotele in Occidente è legata principalmente all’ardimento e alla autorità di Alberto Magno e alla penetrazione del suo discepolo s. Tommaso d’Aquino. L’Angelico venne ben presto a contatto diretto con l’opera del filosofo nella sua prima gioventù all’Università di Napoli con i maestri Pietro d’Irlanda e Martino di Dacia, ma l’approfondimento del testo egli continuò per tutta la vita valendosi dell’opera di traduttore del confratello Guglielmo di Moerbeke prima per il testo stesso di Aristotele e poi per alcuni importanti commenti di Alessandro di Afrodisia, Simplicio, Ammonio, Porfirio, Temistio e della Elementatio theologica di Proclo. Mentre Alberto permane spesso oscillante nella determinazione ultima delle dottrine di Aristotele e resta sotto l’influsso del neoplatonismo che a sua volta trasmette ai diretti discepoli (Ulrico di Strasburgo, Bertoldo di Mosburg, ecc.), s. Tommaso scava i principi aristotelici nelle loro genuine virtualità e li assume senza incertezza nell’interpretazione della struttura del reale e nell’elaborazione della verità teologica. I più recenti studi sull’essenza del tomismo hanno però posto in guardia contro l’interpretazione semplicistica che s. Tommaso si sia ridotto a optare per l’aristotelismo contro il platonismo e il neoplatonismo classico e patristico: in realtà l’Angelico ha prodotto una sintesi nuova in cui la nozione platonica di partecipazione sembra costituire la chiave per la soluzione dei problemi fondamentali come la creazione, la causalità, la composizione dell’ente finito, l’analogia. Verso la fine della vita s. Tommaso poteva proclamare, mediante un’esegesi unica in tutto il medioevo e che rappresenta il punto di vista superiore da lui raggiunto, che in questa prospettiva della partecipazione Platone ed Aristotele si trovano d’accordo14.
L’aristotelismo averroista. – La pretesa di una fedeltà assoluta al testo aristotelico è stata certamente il programma del «Commentatore» per antonomasia com’è stato chiamato Averroé e da lui| è passata nella seconda metà del sec. XIII a un gruppo di valenti maestri della Facoltà delle arti di Parigi i quali, con il pretesto d’interpretare Aristotele, destarono gravi preoccupazioni per l’ortodossia cattolica. Questa Scuola ebbe il nome di «averroismo» (Averroyci, secta Averroyca) e la sua fortuna dipese in gran parte dall’aver avuto a capo un forte pensatore come Sigieri di Brabante. Il principale e diretto antagonista dell’averroismo fu lo stesso s. Tommaso nell’opuscolo De unitate intellectus contra Averroistas (del 1270); egli non teme di qualificare Averroé come corruttore del pensiero aristotelico: «… qui non tam fuit Peripateticus, quam philosophiae peripateticae depravator» (ed. L. W. Keeler, Roma 1936, p. 38). L’episodio culminante è, come abbiamo accennato, la condanna ripetuta dal vescovo di Parigi, Stefano Tempier, il 7 marzo 1277 di ben 219 tesi (cf. il testo in M.-H. Laurent, Fontes…, ed. cit., pp. 598-614), ispirate la maggior parte alla nuova filosofia i cui fautori però si professavano credenti in quanto nell’àmbito della fede si sottomettevano alla dottrina rivelata anche se appariva contraria a ciò che la ragione dimostrava (teoria della «doppia verità»). La comparsa esplicita dell’averroismo non sembra anteriore al 1265, l’anno in cui s’iniziano le reazioni polemiche; la sua storia si prolunga per tutto il medioevo fino al Rinascimento dove il filone averroista si mostra particolarmente visibile e rappresenta con l’ingombrante bagaglio delle sue distinzioni la Scolastica più ostica e decadente (B. Nardi ha individuato non pochi esponenti di questa ripresa dell’averroismo; lo stesso Pico della Mirandola, Alessandro Achillini, Tiberio Bacilieri, Antonio Mirandolano, il Tagliapietra…). Il successore di Sigieri nella direzione del movimento, Giovanni di Jandun, si accostò in metafisica alla scuola francescana15. Nella filosofia politica, Marsilio di Padova nel Defensor pacis sostenne la separazione tra Chiesa e Stato: a questo modo si conchiudeva un lungo processo di corrosione del principio dell’unità spirituale dell’Europa che aveva dominato nel medioevo per opera della Scolastica e s’iniziava la dottrina dello Stato moderno.
La decadenza o ultima Scolastica. – Questa denominazione dal punto di vista storico è impropria perchè la Scolastica signoreggia| ancora durante i sec. XIV e XV: per la maggior parte essa è nella polemica antitomista condotta dai maestri secolari come Enrico di Gand ma specialmente dall’Ordine francescano nel quale declina la vecchia scuola agostinista e sorge la nuova con Duns Scoto che segue i passi di detto Enrico16. Questa lotta di Enrico e di Scoto contro il tomismo era stata preparata dal Correctorium fratris Thomae di G. de la Mare che aveva suscitato da parte dei Domenicani la ricca letteratura dei Correctoria corruptorii… che prendono il titolo dalla prima parola: «Quare», «Circa», ecc. Lo stesso Egidio Romano, che passò per difensore dell’Angelico, lo attaccò in molti punti specialmente in teologia17. Ma sembra che la ragione di questa vasta opposizione al tomismo, più che in motivi di rivalità contingente, sia da trovare nella natura innovatrice delle dottrine dell’Angelico di fronte alle quali si sentiva l’obbligo di un ritorno alla sostanza delle posizioni tradizionali: perciò non sembra inopportuno indicare la corrente che fa capo alla posizione di Enrico e di Scoto con il termine di «neo-agostinismo». Il termine di «decadenza» si applica al nominalismo con le medesime riserve, cioè rispetto all’abbandono della sintesi tomista di ragione e fede, di fisica e metafisica…, a vantaggio del predominio della soggettività o esperienza intuitiva tanto nella conoscenza naturale come in quella soprannaturale. In particolare, non solo G. Occam ma molti fra i teologi e filosofi, tra cui Pietro d’Ally e specialmente Niccolò di Ultricuria, negano il valore probativo del principio di causalità. Questo Niccolò abbandonò l’aristotelismo anche in filosofia naturale, piegando espressamente verso l’atomismo di Democrito, come risulta dalla recente edizione della sua opera principale (cf. J. Reginald O’Donnell, N. of Autricourt, in Mediaeval studies, I, Nuova York-Londra 1939, p. 222 sgg.; id., The philos. of N. d’A. and his appraisal of Aristotle, ibid., IV, ivi 1942, p. 97 sgg.). Lo scetticismo causale del d’Ailly fu oggetto, come quello dell’Ultricuria, della censura ecclesiastica (cf. Denz-U, 553-70). Il nominalismo ebbe presto partita vinta penetrando quasi dovunque, anche fra gli Ordini religiosi, p. es., in quello agostiniano (Gregorio da Rimini; fra i Domenicani stessi sono indicati R. Hol|kot e Durando di S. Porciano). C’era quindi in questi secoli nella Chiesa ampia libertà negli indirizzi dottrinali: nelle grandi Università, accanto alla «cathedra Thomae» c’era con pari diritto la cattedra di Scoto, di Gregorio da Rimini, di Durando. Il tomismo come tale non ebbe mai il sopravvento.
Una conseguenza benefica della ricerca della concretezza da parte della «via moderna» nominalista (ma già presente nella Scolastica precedente, p. es., in R. Kilwardby18) è stata il fermento da essa suscitato per l’indagine scientifica: vanno ricordati G. Buridano, N. Oresme e Alberto di Sassonia. Se l’osservazione e il calcolo nel senso moderno, cioè galileiano, sono ancora lontani, tuttavia si studia il moto dal punto di vista strettamente fisico e si dà parte importante alla trattazione quantitativa delle qualità. La realtà fisica è vista come soggetta al trattamento della misura così si scorgono i primi accenni del calcolo infinitesimale e algebrico, come quando l’Oresme enunzia il principio: «Omnis res mensurabilis imaginatur ad modum quantitatis continuae» (De uniformitate, Parigi, Bibliothèque nationale, cod. lat. 7371, fol. 18 a, presso M. De Gandillac, Le mouvement doctrinal du IX au XIV siècle, Parigi 1951, p. 461). Accurate investigazioni in questo campo suscitate specialmente per merito di P. Duhem, hanno mostrato che il sec. XIV conosce ormai i concetti di «volume» e di «massa», sia pure con incertezze e fluttuazioni; il «movimento» è considerato come una magnitudo intensiva o «grandezza variabile» e N. Oresme ne tenta una esposizione grafica la quale, se non può dirsi ancora la geometria analitica di Cartesio, costituisce in qualche modo un sorprendente anticipo e stimolo a distanza; in Buridano poi si trova una nozione di «tempo assoluto e matematico» cioè svincolato da ogni dipendenza dal moto e dalla coscienza pensante, come quattro secoli più tardi si troverà esplicitamente definito dal Newton19. Lo stesso concetto di «funzione», non certamente nella sua formulazione moderna ch’è soltanto della fine del sec. XVII, è chiaramente delineato, p. es., nel Tractatus proportionis del 1322 di T. Bradwardine e dai suoi seguaci20. Per questo si è potuto| con ragione presentare Buridano e la sua scuola come «precursori di Galileo» anche se si deve riconoscere che questa Scolastica, tutta penetrata dal fervore per la conoscenza della realtà d’esperienza, resta imbrigliata nella colluvie delle conoscenze singole, senza assurgere mediante l’induzione alle leggi generali. La conseguenza fu che i risultati, certamente notevoli, ottenuti da questi scolastici caddero in dimenticanza senz’alcun influsso diretto con la nuova fisica del sec. XVI la quale li riscoprì di nuovo per suo conto21. In ogni modo il cammino percorso fu notevole: quei risultati, che mettevano in discredito la fisica aristotelica, fermentarono indubbiamente l’inquietudine che spinse la scienza dell’età moderna sul nuovo cammino.
Infine un altro titolo di merito di questa Scolastica tardiva, che la riscatta non poco dall’appellativo di «decadente», è lo sviluppo eccezionale che nei secc. XIV-XV ottiene la mistica nei paesi del nord, specialmente nei Paesi Bassi e in Germania: non diversamente dalla flessione verso la conoscenza fisico-matematica, a cui si è accennato, anche lo sviluppo della mistica è causato dalla stanchezza delle esasperanti discussioni dialettiche che mettevano in lizza le varie scuole, suscitando rivalità e scissione anche nella vita esterna della cristianità. La corrente mistica si delinea in tutte le scuole della Scolastica. L’Ordine francescano ebbe il suo maestro nello stesso s. Bonaventura che diede consistenza nelle sue opere mistiche all’aspirazione tumultuaria che s’era manifestata nella sua famiglia religiosa dopo la morte di s. Francesco: in armonia con la tradizione teologica, la mistica francescana è in prevalenza affettiva e orienta la sua devozione verso la Passione di Cristo. Il frutto più saporito della mistica medievale, il De imitatione Christi, sembra resistere a ogni ricerca per scoprirne l’autore e si mantiene al di fuori di ogni scuola. La mistica domenicana si sviluppa specialmente in Germania con il Maestro Eccardo e i suoi discepoli G. Taulero e il B. Enrico Susone e lo stesso Niccolò di Cusa che formano la cosiddetta «scuola renana»; essa ha nella sua scia il grande Ruysbroek e forse anche l’anonimo autore della Theologia deutsch che si dice di Francoforte («der Frankfurter»), tanto cara a Lutero. In questa mistica prevale l’elemento intuitivo e contemplativo di evidente derivazione neoplatonica (Proclo e| Pseudo-Dionigi) nella aspirazione di penetrare nel mare sconfinato della divina sapienza: la dottrina caratteristica è quella della «scintilla animae» (die Füncklein der Seele)22. È nota la polemica suscitata, non tanto dagli scritti teologici quanto dalla predicazione di Eckhart che portò l’oratore davanti al tribunale ecclesiastico dal quale fu poi condannato con la bolla In agro dominico del 27 marzo 132923. Ma il problema dell’ortodossia di Eccardo è ben lungi dalla soluzione; e se la riduzione fatta dal Denifle del pensiero eccardiano al puro tomismo non potrà completamente soddisfare, perchè il tomismo a quell’epoca aveva ormai tante sfumature, anche la pretesa di fare di Eckhart un fondatore del panteismo moderno deve dirsi anacronistica ed esagerata e non basta la citazione di Hegel24 per avvalorarla, anche perchè Hegel non mostra di conoscere più in là il pensiero del domenicano (la detta citazione sembra presa da Fr. v. Baader!). Anche se si mostrasse l’esistenza di una continuità di motivi nella spiritualità germanica da Eckhart e la sua scuola alla mistica eterodossa di Sebastian Franck, Valentin Weigel, Jakob Böhme e per essi al panteismo idealista25 ciò al più attesta un clima di vaga affinità spirituale e non dimostra ancora la rigorosa derivazione delle dottrine.
4. La seconda Scolastica
Anche questa denominazione, che vuol indicare la Scolastica dei secc. XVI-XVII, è convenzionale: l’Umanesimo e il Rinascimento non spengono la Scolastica ma la limitano e la restringono per lo più alle scuole ecclesiastiche e specialmente teologiche, senza dire che l’uno e l’altro restano per molti fili attaccati ai problemi e agli interessi spirituali che alimentavano sempre, sia pure nella diversità degli indirizzi, i vari sistemi (o viae) della Scolastica.
Lo sgretolamento della Scolastica arrivò nel periodo della decadenza ad un vero caos di cui gli scritti dell’epoca, che le biblioteche hanno fatto conoscere per l’indagine dei più esperti specialisti| (Denifle, Ehrle, Mandonnet, Grabmann, Glorieux, Pelster, Gilson, Pelzer…), sono un impressionante documento. Tale smarrimento va senza dubbio collegato alla lotta fatta al tomismo; le sue tesi più caratteristiche quali il realismo moderato nella questione degli universali con la dottrina dell’intelletto agente e della astrazione, il concetto di potenza, la distinzione fra essenza ed atto di essere furono le prime ad essere abbandonate; si negò il valore probativo delle dimostrazioni dell’unione sostanziale dell’anima e del corpo, dell’immortalità dell’anima, dell’esistenza di Dio per farne esclusivo oggetto di fede. Nessuna forza interna potè arrestare il declino: soltanto con l’uragano della Riforma, la cui connessione con il nominalismo dopo gli studi del Denifle è generalmente ammessa26, si comprese l’importanza di una unificazione delle forze spirituali della cristianità.
Il significato di questa «rinascita» veramente provvidenziale della Scolastica è soprattutto nella posizione di guida che comincia a prendere il pensiero di s. Tommaso per le scuole cattoliche. Artefice principale di questo tardo quanto doveroso riconoscimento dell’opera dottrinale dell’Angelico è stato l’Ordine domenicano; ma si deve insieme ricordare l’iniziale indirizzo dottrinale della Compagnia di Gesù (allora fondata con il preciso scopo di ribattere l’eresia) la quale mandava alle Università di Parigi e di Salamanca molti fra i suoi migliori allievi per sentire i più celebrati maestri domenicani. È attorno a questi fulcri che si muove la nuova primavera cristiana, i cui frutti maturarono nel Concilio di Trento (1545-63).
La scuola domenicana. – Si può dire che, dopo alcune fasi d’incertezza, che si riscontrano nelle ardenti polemiche fra i Domenicani e il doppio fronte degli scotisti e dei nominalisti nel sec. XIV, la sintesi dottrinale dell’Angelico è affermata nel suo Ordine con maggiore aderenza alla sua ispirazione originaria. Nella prima metà del sec. XV compaiono le già ricordate monumentali Defensiones theologicae D. Thomae Aquinatis del tolosano G. Capreolo: il valore peculiare dell’opera è nella conoscenza che vi si dimostra di quasi tutti gli scritti dell’Angelico e nella fermezza della polemica, contro la legione degli avversari del tomismo (v. l’elenco nel t. I della nuova ed. a cura di C. Paban-T. Pègues, Tours 1900, pp. XXIII-XXV).| Nella seconda metà del secolo emerge Domenicano di Fiandra per il suo gran commento alla metafisica (Quaestiones metaphysicales: c’è un’edizione di Bologna 1570); in esse emergono le qualità del Capreolo (che vi è citato) con una spiccata simpatia per s. Alberto Magno, ciò che ha fatto pensare a un contatto con la cosiddetta «scuola albertista», fiorita per iniziativa di maestri secolari, nella prima metà del secolo27 che però non ebbe sèguito. Più chiara sembra la dipendenza di Domenico dal maestro secolare Giovanni Versor o Versorius che nei suoi commenti ad Aristotele si mostra assai favorevole alla dottrina di s. Tommaso28. La grande ripresa del tomismo ha due centri di espansione, l’Italia e la Spagna; i maggiori tomisti italiani vengono considerati il card. Gaetano, Francesco Silvestro da Ferrara, detto appunto Ferrariensis, e uno spirito profondo ma che sta a sè, C. Javelli, i quali lottano non solo contro lo Scoto e la sua scuola ma anche contro il Pomponazzi (specialmente Javelli). La scuola scotista era forte in Italia con A. Andrea (m. nel 1320) e il Trombeta (avversario diretto del Gaetano a Padova), mentre la scuola agostiniana si era sollevata nel sec. XV con Egidio da Viterbo e nella prima metà del sec. XVI con il grande Seripando che ebbe tanta parte nel Concilio di Trento. Ma sembra che la parte più vasta di questa rinascita della Scolastica appartenga alla Spagna per merito dei maestri domenicani che illustrano Salamanca, come Fr. de Vitoria, Mancio, Pietro e Domenico Soto, D. Bañez e Giovanni di S. Tommaso; la teologia positiva ebbe il suo maestro in Melchior Cano con il suo trattato divenuto classico De locis theologicis. Una particolare menzione merita (per la Spagna) l’opera data alla rinascita della Scolastica nella direzione tomista dall’Ordine carmelitano: mentre nei sec. XIV e XV aveva seguito un indirizzo eclettico scegliendo il proprio maestro nell’inglese Giovanni di Bacontorp, creduto di tendenze averroiste, nel sec. XVI adottò il tomismo integrale producendo due amplissimi Cursus di filosofia e di teologia (Salmanticenses) che rispecchiano forse meglio di qualsiasi altra opera del tempo il carattere di questa «seconda Scolastica».|
La scuola gesuitica. – Se ai Domenicani rimase il compito d’indagare le dottrine tomiste nel complesso della loro sintesi, i maestri della Compagnia di Gesù furono i principali artefici della diffusione della Scolastica nel sec. XVI nelle principali università di Europa. Il fondatore s. Ignazio nella sua solida, anche se tarda formazione teologica, aveva compreso che la dottrina di s. Tommaso costituiva la barriera più forte contro l’errore della Riforma e perciò che nell’Ordine si seguissero fedelmente le dottrine dell’Angelico: «In theologia legatur Vetus et Novum Testamentum et doctrina scholastica divi Thomae» (Const., parte 4a, cap. 5). Nel Decreto del generale Acquaviva ritorna l’ingiunzione: «Nostri omnino s. Thomam ut proprium doctorem habeant eumque in scholastica theologia teneant»; ma essa è seguita da una dichiarazione che avrà conseguenze decisive per l’orientamento dottrinale della Compagnia: «Non sic tamen s. Thomae adstricti esse debere intelligantur, ut nulla prorsus in re ab eo recedere liceat, cum illi ipsi, qui se thomistas maxime profitentur, aliquando ab eo recedant»29. I maestri gesuiti che più s’imposero e la cui dottrina è ormai legata a ogni discussione che interessi i problemi della Scolastica sono il Toledo, il Pereira, il Fonseca, il Molina, il Vasquez, l’Arriaga, il Suárez, il Bellarmino e il Mariana. Ha un posto notevole il Cursus Conimbricensium dei Gesuiti di Coimbra, redatto sotto la direzione di p. Fonseca, nel quale si osserva la novità (adottata dal Fonseca per suo conto nel grande commento che scrisse sulla Metafisica) del testo greco di Aristotele posto in apertura al commento stesso. Se si può qualificare l’indirizzo dei Gesuiti di «tomismo moderato» non è difficile di volta in volta segnalare come nelle tesi-chiave della teoria della conoscenza, della metafisica, della psicologia…, questi maestri della Compagnia abbandonano s. Tommaso per aderire a posizioni già note dei suoi avversari agostinisti, scotisti o nominalisti. Così se non può negarsi in Suárez un grande rispetto a s. Tommaso profonde sono le sue divergenze della metafisica tomista. Ciò per cui si è distinta la corrente gesuita è specialmente il campo giuridico dove il Suárez, il Bellarmino e il Mariana portarono contributi che stanno alla base del diritto moderno. La celebre controversia De auxiliis divinae gratiae suscitata dal Molina con la| Concordia liberi arbitrii cum gratiae donis (1595), che mise in aspra contesa l’Ordine domenicano e la Compagnia, è di per sè un indice evidente dell’indirizzo eclettico e indipendente assunto dalla nuova scuola. Un altro merito della Ratio studiorum gesuitica è stato il ritorno allo studio dei classici greci e latini che ha giovato efficacemente non solo per la rinascita dell’«umanesimo cristiano», ma anche per l’efficacia e la precisione nell’esposizione delle dottrine.
La Scolastica protestante dei secc. XVII-XVIII. – Se Lutero esce spesso in invettive contro il tomismo e la Scolastica che s’ispira ad Aristotele, accanto a lui Melantone difende la necessità dell’uso della filosofia nella difesa della verità cristiana e il vantaggio dello stesso ricorso ad Aristotele; e benchè egli mettesse Cicerone quasi sullo stesso piano del Filosofo, non c’è dubbio che la sua filosofia può dirsi un vero «aristotelismo»30. Accanto a Melantone possono dirsi fautori della Scolastica E. Sarzern (1501-59), Giorgio Major (1502-74), Giacomo Camerario (1500-74), Jodocus Willich (1501-55)…, ma predomina ancora la tendenza umanistica. È precisamente nel secolo seguente che la Scolastica protestante si dispiega con insospettata ricchezza come risulta dalle più recenti ricerche di Max Wundt e di H. E. Weber: in un primo tempo, p. es., in Cornelio Martini, che dal 1592 è professore in Halmsted, si osserva un’aderenza fedele al testo aristotelico con evidenti influssi tomistici, mentre nel sec. XVIII si fa visibile, specialmente in metafisica, l’influsso delle Disputationes metaphysicae di Suárez31. Analogo movimento si verificava fra i teologi riformati luterani: anche per essi, come per la Scolastica cattolica ortodossa, la volontà è preceduta dall’intelligenza e il movimento dell’amore dalla conoscenza dell’essere per cui c’è una conoscenza speculativa di Dio (la Theologia naturalis) ch’è prerequisita alla conoscenza della «volontà salvifica» di Dio che ci è data dalla Rivelazione. Il limite che s’impone, evidentemente, nella conoscenza naturale di Dio è espresso da questi teologi protestanti come nella Scolastica cattolica, mediante la dottrina dell’analogia32. Questa tematica ispirata alla| Scolastica non è stata senza influsso sulla filosofia moderna, su Cartesio anzitutto come ha dimostrato il Gilson, e poi anche su Spinoza, Locke e più ampiamente sul grande Leibniz e nella scuola wolfiana. Uno studio metodico della filosofia moderna mostrerebbe com’essa spesso è variamente contenuta e stimolata da temi e concetti che derivano dalla Scolastica nei suoi principali indirizzi ma specialmente quelli del nominalismo e della mistica.
Nel periodo che va dalla fine del sec. XVIII a tutta la prima metà del sec. XIX le scuole cattoliche corrono uno dei pericoli più gravi: in Francia ed in Italia si è infiltrato a seconda dei gusti il cartesianesimo, il dinamismo leibniziano e perfino il sensismo lockiano. In Germania il romanticismo aveva, contro l’illuminismo, riscoperto l’universalità dell’arte e della religiosità medievale (F. Schlegel). Novalis esaltava nel medioevo cattolico il trionfo dell’unità spirituale dell’Europa auspicando, contro la scissione protestante, il «rinnovamento di un’unica cristianità e di una Chiesa, visibile supernazionale»33. Ma le scuole cattoliche non seguivano una direzione dottrinale precisa; il grande A. Möhler di Tubinga iniziava il ritorno alle fonti patristiche, lo Staudenmaier s’impegnava a fondo nella critica al panlogismo hegeliano: ma da varie parti si pronunziavano giudizi espliciti negativi sulla Scolastica; mentre si facevano preoccupanti concessioni alla filosofia moderna da parte, p. es., di Frohschammer, Hermes, Günther, Bolzano, del romantico Deutinger34. Questo smarrimento portò alla condanna da parte della Chiesa di una serie ininterrotta di errori teologici e filosofici da parte di Gregorio XVI e Pio IX: il lamennesianesimo, il tradizionalismo, l’ontologismo, con tutte le sfumature del laicismo e del liberalismo. Fra i primi studi di testi scolastici vanno ricordati gli studi e l’edizione di Abelardo fatti dal Cousin e la monografia sulle traduzioni latine di Aristotele di A. Jourdain (Parigi 1819; 2a ed. 1843).
Se l’inizio ufficiale della neoscolastica è da vedere nell’enciclica Aeterni Patris di Leone XIII che ha aperto una nuova epoca nella vita della Chiesa, questa decisione rappresenta la maturazione di sforzi molteplici e ardui.|
Si può infatti affermare ormai con certezza che l’opera dei canonici piacentini Vincenzo Buzzetti (1777-1824) e Angelo Testa (1788-1873) – i quali intesero espressamente la restaurazione della scolastica come un ritorno al tomismo – non segnò ai primi decenni del sec. XIX l’inizio della neoscolastica, ma piuttosto manifestò quel movimento neoscolastico che era già in atto a Piacenza da più di mezzo secolo. Le origini del tomismo del Buzzetti e del Testa sono da cercare più vicino di quanto fino a pochi anni fa non si era pensato. È noto infatti come il Buzzetti dal 1793 alla fine del 1798, il Testa dal 1805 al 1814 e Serafino Sordi dal 1811 al 1814 studiarono filosofia, e i primi due anche teologia, nel rinomato Collegio Alberoni, retto dai Preti della Missione, nel quale, per gloriosa e ininterrotta tradizione, gli studi sono tenuti in grande onore. Si sa che prima della metà del sec. XIX penetrarono all’Alberoni le controversie sui sistemi di Gioberti e specialmente di Rosmini: ma già da quasi un secolo vi era in atto un movimento esplicito di ripresa e di ritorno al tomismo, o meglio al pensiero genuino del Maestro Angelico, al di là delle opposizioni di scuola35.
Quando il Buzzetti, nel 1793, venne all’Alberoni, questo indirizzo tomistico era tuttora vivo; e allo studio di s. Tommaso – in filosofia e in teologia – il Buzzetti fu iniziato alle scuole dei Preti della Missione36. Come testo di scuola di filosofia il Buzzetti, il Testa, e più tardi Serafino Sordi usarono le Institutiones Philosophiae del gesuita Gaspare Sagner nell’edizione alberoniana del 1767-68, ricca di citazioni di s. Tommaso e di rimandi alle sue opere, rimandi che lasciano supporre che gli scritti dell’Angelico Dottore fossero a disposizione degli alunni. Il maestro che insegnò filosofia al Buzzetti e al Testa, fu quel Bartolomeo Bianchi, C. M.37, che «fin dai primi mesi» di scuola alimentava nei suoi discepoli filosofi «l’amore a s. Tommaso», e che nelle dispute, per troncare la discussione, faceva la sua chiara professione di tomismo, appellandosi alla sua stima per l’Angelico, ben nota ai propri alunni: «Sentire mehercle malo cum s. Thoma, quem tu [arguens], quanti faciam, nosti…» (Ms. Alberon., Bianchi H., p. 284).|
Divenuto professore nel Seminario Piacentino, il Buzzetti, prima in filosofia (1806-1808) e poi in teologia (1808-1824), diede al suo insegnamento una decisa base tomistica. Ma le Institutiones philosophicae iuxta D. Thomae et Aristotelis inconcussa dogmata a Vincentio Buzzetti comparatae necnon a D. Angelo Testa… adauctae et traditae (ediz. Masnovo, Piacenza, 2 voll. 1940-41)38 ci hanno trasmesso il tomismo del Buzzetti già elaborato dal Testa. Del Buzzetti solo inizialmente e parzialmente sono quelle Institutiones, che furono poi «adauctae et traditae», per una decina di anni, dal suo non immediato successore, il Testa. Esse presentano un tomismo che già il Masnovo riconobbe troppo maturo per poter essere ritenuto incipiente, un tomismo che non deriva nè da un ipotetico occasionale contatto del Buzzetti con i Preti Romani esiliati a Piacenza, nè dalla Scuola Piacentina di s. Pietro che il Buzzetti non potè frequentare, nè da un suo studio unicamente personale di s. Tommaso; ma dallo sviluppo di quel movimento filosofico che i Preti della Missione avevano iniziato a Piacenza dall’apertura del Collegio Alberoni. L’originalità delle Institutiones, nella parte finora pubblicata, è nel particolare vigore speculativo nei problemi metafisici – superiore alle volte a quello della stessa Summa Philosophica del domenicano Roselli che il Buzzetti poté conoscere all’Alberoni – come si rileva nella difesa esplicita della distinzione reale fra essenza ed esse (assente negli Alberoniani) mediante la nozione di partecipazione39. La Scuola Alberoniana, ritenuta influenzata da Condillac e agganciata a Locke, storicamente risulta la prima fonte del tomismo di Luigi Dodici, di Vincenzo Buzzetti, di Filippo Giriodi, di Angelo Testa, di Vincenzo Fioruzzi, di Serafino Sordi, di Antonio Ranza, ecc.
Allievi del Buzzetti in teologia furono i fratelli Domenico e Serafino Sordi. Essi, entrati poi nella risorta Compagnia di Gesù, attirarono al nuovo indirizzo il P. Taparelli d’Azeglio ed alcuni altri giovani suscitando, specialmente nello Scolasticato di Napoli, vivo entusiasmo tra i giovani per il ritorno all’osservanza delle Costituzioni ignaziane primitive: ma tutto fu stroncato per ordine| superiore e il Collegio Romano a Roma, dove dominavano il Tongiorgi, il Dmowski, il Palmieri e il Secchi dinamisti, si oppose inesorabilmente e a lungo al nuovo indirizzo. Il primo tomismo nella Compagnia si affermò con passi guardinghi solo nella seconda metà del secolo per merito della «Civiltà Cattolica» fondata dal celebre polemista P. Curci (le cui Memorie sono una fonte preziosa di questa lotta condotta nella Compagnia dai «giovani tomisti») e dall’Aloisanum, o scuola superiore della provincia lombardo-veneta, che ebbe nel P. Mauri il principale scrittore del Cursus Forojuliensis di filosofia; in questa seconda metà del secolo va posta anche l’intensa attività di P. Matteo Liberatore, che, passato dall’eclettismo al tomismo40, con le rielaborazioni delle sue Institutiones logicae et metaphysicae (a cui seguirono importanti studi sul problema della conoscenza e sul composto umano), assieme alla sua attività di scrittore della «Civiltà Cattolica», molto giovò all’affermazione del tomismo in quelli ambienti romani (come il Collegio Romano) che si mostravano particolarmente restii.
Ma il principe di questa rinascita è indubbiamente il canonico napoletano Gaetano Sanseverino: una volta afferrata l’importanza vitale del tomismo, anche per merito del barone Vincenzo di Grazia, egli progetta un completo piano di lavoro che comprende la fondazione di un’accademia tomistica (1846; divenne nel 1874 la Accademia di s. Tommaso) che teneva le adunanze regolari nell’Università di Napoli, la pubblicazione delle dispute dell’Accademia e di studi originali nella rivista Scienza e fede (da lui fondata nel 1840), dove scrivevano anche i gesuiti Sordi, Liberatore e altri, e di una collezione di opere moderne, la Biblioteca cattolica. Soprattutto raccolse attorno a sè nella scuola del Seminario di Napoli un largo stuolo di valenti animosi giovani che lo coadiuvarono nell’ardita impresa e ne continuarono l’opera fino ai primi decenni del nostro secolo come N. Signoriello, S. Calvanese, G. Portenova, G. Prisco e S. Talamo. Frutto principale di questo incomparabile organizzatore è stata la Philosophia christiana cum antiqua et nova comparata di cui uscirono (a partire dal 1852) sette ampi volumi che rappresentano appena metà dell’opera progettata (il Signoriello pubblicò un pregevole compendio [3 voll.] dell’opera intera che fu tradotta in varie lingue). L’opera che costituisce il frutto di venti| anni d’instancabile preparazione, non ha alcun riscontro con la produzione buzzettiana, per la chiarezza e profondità della discussione, l’informazione storica tanto per l’antichità, quanto per la Scolastica cristiana e della stessa filosofia moderna con ricchezza di riferimenti nelle lingue moderne originali. Giustamente il Pelzer osserva che «elle n’a pas encore été réfaite dans la néo-scolastique contemporaine»41. Stupisce in quest’uomo la vasta e diretta conoscenza della filosofia moderna inglese, francese e tedesca. A p. 132 sgg. del I vol. è esposto l’idealismo di Kant, Fichte, Schelling, Hegel (di questo ultimo si citano la grande Logica e l’Enciclopedia nel testo originale). Conosce anche, ma sembra di seconda mano, la sinistra hegeliana di Fr. Strauss, B. Bauer, L. Feuerbach e la destra francese di Michelet, Leroux, Quinet… (op. cit., p. 147). Il Sanseverino elogia l’opera iniziata da La civiltà cattolica in difesa della Scolastica e si compiace che anche in Germania vengano abbandonate le accuse contro la Scolastica e sorgano uomini i quali difendono a viso aperto «philosophiam scholasticam, eo praesertim modo quo ab Aquinate exornata atque ad sacras disciplinas accomodata fuit» (op. cit., p. 155), come il p. Giuseppe Kleutgen, Giulio Stahl e Giacomo Clemens. L’opera del Sanseverino fu salutata dal Liberatore come il «trionfo della causa della Scolastica» (op. cit., p. 18). La fiamma era ormai accesa e non doveva spegnersi più. Oltre ai Gesuiti di La civiltà cattolica in cui ha parte notevole il p. Cornoldi (1822-92) per la lotta contro il Rosmini, la Scolastica ispirata a un buon tomismo è difesa a Udine dal prof. Di Giorgio, a Torino di G. Audisio, a Perugia da G. Pecci (fratello di Leone XIII), a Bologna dal prof. Battaglini, in Francia da uomini come Chieco, Possé, Grandelande, Sauvé e Thuault; in Germania, con il Kleutgen, s’imponeva per la mole e la diligenza delle ricerche storiche e dottrinali l’opera di Alberto Stöckl.
Anche a Roma l’indirizzo voluto dalla Aeterni Patris vinse le ultime resistenze negli istituti ecclesiastici. Il Collegio Romano annovera fra i fautori più attivi della neoscolastica, oltre il Cornoldi, M. de Maria e V. Remer (1843-1910), P. De Mandato, P. Geny, autori di pregevoli manuali d’indirizzo tomista, mentre lo spagnolo G. Urraburu (1844-1904) scrisse una monumentale sintesi di filosofia ispirandosi a Suárez; hanno dato grande impulso ai problemi speculativi L. Billot e G. Mattiussi, il cui tomismo ha influito sull’in|dirizzo dottrinale della Pont. Univ. Gregoriana (organo il Gregorianum, 1920 sgg.). All’Apollinare, divenuto poi Pontificio Ateneo Lateranense, la neo-scolastica incontrò vivace opposizione in Francesco Segna (poi cardinale), ma fu decisamente seguìta dai teologi P. R. Tabarelli (m. nel 1909) e L. Buonpensiere (m. nel 1929). Un vigoroso impulso ebbe la neo-scolastica nell’Ateneo Urbano di Propaganda Fide in teologia con Fr. Satolli, A. Lepicier, e in filosofia con B. Lorenzelli (1853-1915), poi cardinale. La rivista Euntes docete è l’organo delle Facoltà di teologia, filosofia e missionologia (1948 sgg.). Il Collegio di s. Tommaso alla Minerva, fondato nel 1577, divenuto nel 1909 il Pontificio Istituto Angelicum, si fece promotore, come avanguardia della missione dottrinale dell’Ordine domenicano nell’Urbe, del tomismo tradizionale nel quale si distinsero il card. T. Zigliara, A. Lepidi, T. Pègues, E. Hugon, A. Zacchi, R. Garrigou-Lagrange (n. nel 1877), M. Cordovani (1883-1950). L’Ateneo domenicano ha per organo la rivista Angelicum (1923 sgg.).
Centri attivi di studio della neo-scolastica sono ancora lo Aloisianum di Gallarate e il Pont. Ateneo Salesiano di Torino e Roma con le Facoltà di teologia, filosofia e pedagogia (pubblica il Salesianum, 1941 sgg.). Va segnalato in particolare il Collegio Alberoni di Piacenza che cura la pubblicazione del Divus Thomas (3a serie, 1924 sgg.) ch’è stata la prima rivista a patrocinare la neo-scolastica.|
Note
1 Il Generale della Compagnia di Gesù, p. V. Ledochowski, il 9 marzo 1915 ottenne da Benedetto XV che la tesi della distinzione reale fra essenza ed atto di| essere fosse lasciata libera nella Compagna (cf. i documenti in: F. Ehrle, La Scolastica e i suoi compiti odierni, trad. it., Torino 1935, p. 108 sgg.). Tuttavia è fuori dubbio ormai, dopo la più matura conoscenza dell’ambiente storico e della formazione del pensiero di s. Tommaso, che la detta tesi appartiene all’essenza del tomismo e costituisce il vertice e il momento cruciale di quei «pronuntiata maiora» dai quali il S. Pio X nel (motu proprio Doctoris Angelici del 29 giugno 1914) ammoniva essere pericoloso discostarsi. La pubblicazione delle 24 Tesi segna l’alto livello teoretico raggiunto dal tomismo contemporaneo a cui tocca rifarsi per ogni approfondimento storico-critico delle dottrine.
2 L. Varga, Das Schlagwort vom «finsteren Mittelalter», Baden-Vienna-Lipsia-Brünn 1932.
3 Geschichte der Philosophie, Werke, XV, ed. C. L. Michelet, Berlino 1844, p. 123 sgg.
4 M. De Wulf, Histoire de la philosophie médiévale, 6a ed., Lovanio 1938 sgg.; introd., trad. it. di V. Miano, II, Firenze 1944, p. 11 sgg.
5 Fr. Ehrle, Die Scholastik und ihre Aufgaben in unserer Zeit, Friburgo in Br. 1933, trad. it. Torino 1935, p. 25 sgg.
6 L’elogio di Hegel ai teologi cattolici contro il fideismo protestante in Philos. der Religion, ed. G. Lasson, Lipsia 1925, p. 256 sgg.
7 Cf. M. De Wulf, op. cit., § 28: la trattazione è dovuta ad A. Pelzer.
8 Chartularium Univ. Paris., ed. Denifle-Chatelain, Parigi 1889, t. I, n. 20, p. 78 sgg.
9 Per la questione dei divieti conciliari, riapparsi in una lettera di papa Urbano IV all’Univ. di Parigi del 13 gennaio 1263, e del rapporto con essi degli Statuta citati, M. Grabmann, I divieti ecclesiastici di Aristotele sotto Innocenzo III e Gregorio IX, Roma 1941, pp. 7 sgg., 113 sgg. e 132.
10 Fr. Ehrle, L’agostinismo e l’aristotelismo nella Scolastica del sec. XIII, in Xenia Thomistica, III, Roma 1925, pp. 521 e 538.
11 Cf. le osservazioni sostanziali di E. Gilson, in Mediaeval Studies, II, 1940, pp. 23-27.
12 V. per il testo completo della lettera: M.-H. Laurent, Fontes vitae s. Thomae Aq., fasc. VI, S. Massimino Var 1937, p. 639 sgg., spec. p. 644 sgg.
13 E. Kleineidam, Das Problem der hylomorphen Zusammensetzung der geistigen Substanzen im 13. Jahrh. behandelt bis Thomas von Aquin, Lilienthal 1930, p. 7 sgg.
14 V. l’opuscolo De substantiis separatis seu de angelorum natura, cap. 3; ed. J. Perrier, Opuscola philosophica, I, Parigi 1949, p. 133 sgg.
15 Per la dottrina della pluralità delle forme sostanziali: cf. In ll. XII Metaph. Quaestiones acutissimae, Venezia 1560, II, q. X, col. 152.
16 V. Io. Duns Scoto, Opera omnia, I, Roma 1950, Disquisitio historico-critica, p. 160* sgg.
17 G. Bruni, Egidio Romano e la sua polemica antitomista, in Riv. di filos. neosc., 26 (1934), p. 239 sgg.
18 Cf. M.-D. Chenu, Aux origines de la science moderne, in Rev. des sciences philos. et théol., 29 (1940), p. 206 sgg.
19 A. Maier, Scholastische Diskussionen über die Wesensbestimmung der Zeit, in Scholastik, 26 (1951), p. 554.
20 A. Maier, Der Funktionsbegriff in der Physik des 14. Jahrh., in Divus Thomas (Frib., 24 [1946], p. 147 sgg.).
21 A. Maier, Das Problem des Kontinuums in der Philos. des 13. und 14. Jahrh., in Antonianum, 20 (1945), p. 368.
22 H. Willms, De scintilla animae, in Angelicum, 14 (1937), p. 194 sgg. V. anche: H. Hof, Scintilla animae…, Lund-Bonn 1952.
23 V. Denzinger-Umberg, Ench. Symbolorum, nn. 501-29. L’ed. crit. in: M. H. Laurent, Autour du procès de Maître Eckhart, in Divus Thomas (Piacenza), 39 (1936), pp. 435-44.
24 Philosophie der Religion, ed. G. Lasson, Lipsia 1923, I, p. 257.
25 È la tesi di G. Della Volpe, Eckhart o della filosofia mistica, Roma 1952, p. 232 sgg.
26 Cf. F. Vignaux, Luther commentateur des Sentences, Parigi 1935.
27 G. Meersseman, Geschichte des Albertismus, fasc. I: Die Pariser Anfänge des Kölner Albertismus, Parigi 1933; fasc. II: Die ersten Kölner Kontroversen, Roma 1935.
28 L. Mahieu, Dominique de Flandre. Sa métaphysique, Parigi 1942, p. 23 sgg.
29 Fr. Ehrle, Die Scholastik…, trad. it., Torino 1935, p. 47, n. Sulla posizione di s. Ignazio rispetto a s. Tommaso cf. P. Mandonnet, Sur le thomisme des premiers temps de la Compagnie de Jesus, in Rev. thomiste, 22 (1914), p. 667.
30 P. Petersen, Geschichte der aristotelischen Philosophie im protestantischen Deutschland, Lipsia 1921, p. 106.
31 M. Wundt, Die deutsche Schulmetaphysik des 17. Jahrh., Tubinga 1939, specialmente p. 171 sgg.
32 H. E. Weber, Reformation, Orthodoxie und Rationalismus, Gütersloh 1951, p. 19 sgg.
33 Cf. Die Christenheit oder Europa, in Ges. Werke, V, ed. C. Seelig, Zurigo 1945, p. 34.
34 J. Fellerer, Die Stellung Martin Deutingers in der Geistesgesch. des 19. Jahrh. als Grundlegung f. seine Auffassung vom Verhältnis von Philos. und Theol., Bonn 1940.
35 Per uno sviluppo di questi accenni, v. C. Fabro, Storia della filosofia (in collab.), II ed., Roma 1959, t. II, p. 919 sgg.
36 Vedi ora: G. F. Rossi, C. M., La formazione tomistica di Vincenzo Buzzetti nel Collegio Alberoni, in «Div. Thom.», 1957, pp. 314-332.
37 Vedi ancora: G. F. Rossi, C. M., Bartolomeo Bianchi maestro di filosofia del Buzzetti, in «Div. Thom.», 1957, pp. 430-452.
38 L’ed. abbraccia soltanto la Logica, l’Ontologia (mancante però inizialmente [prima del 1821] del testo della questione sulla distinzione fra l’essenza e l’esse) e la Psicologia.
39 Cf. C. Fabro, Prefazione allo studio di G. F. Rossi: «La filosofia nel Collegio Alberoni e il neotomismo», Piacenza 1959, p. XV ss.
40 Cf. P. Naddeo, Le origini del Neo-Tomismo e la scuola napoletana di G. Sanseverino, Salerno 1940, p. 11 sgg.
41 Pelzer A., Les initiateurs du néo-tomisme contemp., estratto, Lovanio 1911.
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Comments 1
Falta el gran neo tomista italiano, Padre Cornelio Fabro!