V. Linee di sviluppo storico

Il contrasto suscitato dalle innovazioni dottrinali dell’aristotelismo tomista, lungi dal disarmare, dopo la morte del Santo, gli esponenti più rappresentativi della scuola agostiniana dell’Università di Parigi, francescani e secolari, si acuì e si pensò di rinnovare con maggiore ampiezza la condanna dell’averroismo (già colpito nel 1270, grazie specialmente alla critica definitiva fatta da s. T.) includendo alcune tesi tomiste. La condanna fu fatta, ancora ad opera del vescovo Tempier, il 7 marzo 1277 (cf. Chart. Unirv. Paris., t. I, n. 473, pp. 543-55) e comprende ben 219 proposizioni fra le quali sono state riconosciute per tomiste quelle riguardanti l’unità del mondo (aa. 34, 77), l’individuazione delle sostanze materiali e immateriali (aa. 27, 82, 96, 191), la localizzazione delle sostanze separate (aa. 69, 218, 219). Il Cod. E. 5532 della Bibl. naz. di Firenze, ff. 128r, 128v, considera tomisti anche i nn. 124, 129, 156, 163, 173, 187, 212, 2181.

Però bisogna riconoscere che tali articoli incriminati trattano di punti dottrinali piuttosto secondari del tomismo e vi manca la formulazione esplicita della stessa tesi dell’unità della forma sostanziale su cui si accanì la disputa pubblica parigina del 1270 e che fu al centro delle aspre controversie che seguirono alla morte del Santo: detta censura fu tolta il 14 febbraio 1325, dopo la canonizzazione del Santo, dal vescovo di Parigi Stefano Bourret che,| nell’occasione, fece l’elogio di s. Tommaso (Chart. Un. Paris., II, n. 838, p. 280 sgg.). All’annunzio della condanna del 1277 s. Alberto M., noncurante del peso degli anni, si presentò a Parigi per difendere il suo grande alunno (cf. l’ampia e commossa testimonianza di Bartolomeo di Capua nel Processo di Can. di s. T., ed. M. H. Laurent, n. 82, in Fontes… fasc. IV, p. 382 sgg.).

Subito dopo la condanna del 1277, la Curia Romana però ordinò al vescovo di Parigi di soprassedere sugli effetti di quella condanna e di fare un’inchiesta precisa sugli autori delle singole proposizioni e sul loro senso esatto2. La condanna parigina ebbe l’effetto di stringere le forze dell’Ordine domenicano attorno alla dottrina di s. T. che viene ben presto proclamata dottrina ufficiale dell’Ordine. Già il Capitolo generale di Milano (giugno 1278) e quello di Parigi (giugno 1279: Chart. Univ. Paris, t. I, n. 481, p. 566 sgg.) raccomandavano ai provinciali, visitatori e priori di punire severamente (acriter) i frati che si permettessero di criticare la dottrina e gli scritti di s. T. Nell’imperversare della polemica prima il Capitolo generale di Parigi (giugno 1286) e poi quello di Saragozza del 1309 ordinarono espressamente ai superiori di adoperarsi con tutte le forze che tutti i frati insegnanti insegnassero o almeno difendessero la dottrina di s. T. e di castigare salutarmente i ricalcitranti (l’ordinanza fu applicata, ad es., nel Capitolo di Arezzo della Provincia romana del 1315 nei riguardi di un certo fr. Uberto Guidi, che fu rimosso dalla cattedra e condannato per dieci giorni a pane e acqua; cf. M. H. Laurent, Fontes…, fasc. VI, p. 663 sgg.). L’obbligo di seguire la dottrina del Santo e di spiegare nella scuola il suo testo fu proclamato nei Capitoli generali di Metz (1313) con la dichiarazione ufficiale: «Cum doctrina venerabilis doctoris fr. Thome de Aquino sanior et communior reputetur et eam Ordo noster specialiter prosequi teneatur, inhibemus districte…». L’ordinanza è ripetuta nei seguenti Capitoli di Londra (1314) ed espressamente di Bologna (1315) con la raccomandazione anche di raccogliere presso gli Studi generali dell’Ordine tutte le opere del Santo (Chart. Univ. Par., t. II, n. 704, p. 166 e n. 717, p. 173 sgg.). A Parigi intanto, intorno a questo tempo, Giovanni di Napoli O. P. difese la questione: «Utrum licite possit doceri Parisius doctrina| Sancti Thomae quantum ad omnes eius conclusiones», dove esamina i seguenti articoli della condanna del 1277: 79, 81, 124, 129, 156, 173, 187, 212, 2183.

La lotta diretta contro le dottrine tomiste era condotta specialmente dall’Ordine francescano, roccaforte dell’agostinismo, sotto il pretesto delle conseguenze teologiche che si temevano dall’aristotelismo tomista; non era perciò che la continuazione della polemica fatta al Santo specialmente negli ultimi anni di sua vita. Il rappresentante più attivo di questo movimento si mostrò l’inglese fr. Giov. Pecham, collega e avversario di s. T. a Parigi, poi lettore alla Curia Romana e infine arcivescovo di Oxford. A lui si deve in gran parte la disputa tenuta a Parigi nel 1270 in cui fu condannata fra le altre in modo speciale la tesi tomista dell’unità della forma sostanziale, che forma il nucleo di questa direzione polemica e il Pecham pretende atteggiarsi persino a difensore di s. T. contro i suoi confratelli perchè, a suo dire, «etiam a fratribus propriis argueretur acute» (Lett. al vesc. di Lincoln del 1o giugno 1285. Apud M. H. Laurent, Fontes…, fasc. VI, p. 643). Nella disputa parigina del 1270, secondo fr. Ruggero Marston che vi assistette, «… haec opinio – dell’unità della forma – fuit excomunicata solemniter tamquam contraria Sanctorum assertionibus et doctrinae et praecipue Augustini et Anselmi» (QQ. Disp., ed. Bibl. Fr. M. E., VII, Quaracchi 1932, p. 116 sgg.). Però già si determinava nell’Ordine domenicano una linea di difesa delle dottrine di s. T., forse anche sotto lo stimolo e l’autorità di s. Alberto M., com’è il caso di Egidio di Lessines4. Lo scritto di Egidio è del 1278 ed è diretto contro il domenicano Kilwardby della vecchia scuola agostinista. Egidio, dopo la condanna dell’averroismo del 1270, aveva subito informato Alberto M. che rispose con il trattato: De quindecim problematibus di cui gli ultimi due proposti per la condanna ma non condannati, riguardavano le dottrine tomiste dell’unità della forma nei corpi e della semplicità degli angeli5.

Il Pecham si faceva forte del fatto che detta tesi era stata proscritta non solo a Parigi ma anche dal suo predecessore a Ox|ford, il domenicano Roberto Kilwardby, il 18 marzo 1277 immediatamente dopo la condanna parigina (cf. Chart. Univ. Par., I, p. 558 sgg.): le proposizioni 15-30 In naturalibus, riguardano tutti i punti di metafisica tomista; spec. prop. 17: «Quod nulla potentia activa est in materia»; prop. 26: «Quod vegetativa, sensitiva et intellettiva sint forma simplex»; prop. 27: «Quod corpus vivum et mortuum est aequivoce corpus» da integrare con le proposizioni 28 e 30: «Intellectiva (forma) unitur materiae primae». La condanna suscitò un certo scalpore e la ricorda lo stesso Occam6.

L’azione e l’influenza del Pecham non impedirono tuttavia che tra i francescani si diffondesse un favore crescente per le dottrine di s. T. Ciò mise in allarme le autorità dell’Ordine le quali corsero ai ripari: allo scopo fu incaricato fr. Guglielmo De la Mare di elencare e confutare tutte le tesi tomiste contrarie alla tradizione dottrinale dell’Ordine e così nacque il Correctorium fratris Thomae (tra il 1277 e il 1279: Callebaut). Il Capitolo gen. dei Frati Minori di Strasburgo nel 1282 ordinava che si permettesse di leggere la Somma Teologica di s. T. soltanto ai frati «notabiliter intelligentes» e con l’obbligo di accompagnarla con la lettura delle «declarationes» del De la Mare (cf. P. Mandonnet, Siger de Brabant, I, 1a ed. Lovanio 1898, p. 402). Con ogni probabilità il Correctorium è l’elaborazione di una lista precedente di errori attribuiti dal De la Mare a s. T. contenuta nel Cod. 174 (ff. 552-58 v) della Bibl. comunale di Assisi a seguito del Correctorium stesso7.

Il Correctorium non faceva in sostanza che codificare l’insegnamento ufficiale che l’Ordine aveva accettato ancora al tempo di s. Bonaventura (A. Callebaut, art. cit., p. 467 sgg.). I Domenicani lo chiamarono Corruptorium e ne ribatterono gli argomenti con una serie di scritti polemici di cui i principali portano il titolo di Correctorium Corruptorii che vengono indicati con la parola iniziale. Il primo di questi Correctoria sembra il Quare, il cui autore è già indicato nelle edizioni del Cinquecento in Egidio Romano (di recente l’attribuzione è stata contesa fra due domenicani in|glesi Riccardo Knapwell e Tommaso di Sutton)8, è il più completo e consta di 118 articoli desunti dalle opere principali di s. T. (Sum. Theol., 1a, 1a-2ae, 2a-2ae; QQ. disp. de ver., De an. e De pot., QQ. Quodl. e In I Sent.: molte questioni sono ripetute) ed ha il vantaggio di contenere il testo del De la Mare (P. Glorieux ne ha curato l’edizione critica in Bibl. Thom., IX, Le Saulchoir, Kain 1927). Il Correctorium Circa è opera del domenicano Giovanni di Parigi e contiene i primi 60 articoli fino alla Sum. Theol. 1a-2ae compresa; la sua composizione sembra contemporanea al precedente, se forse anche non lo precede, cioè tra il 1282 e il 1284 mentre il P. Pelster lo pone verso il 1300, secondo il suo editore J. P. Müller9. Segue, intorno al 1290, il Correctorium «Quaestione» (inedito) del Merton College Cod. 167 che sembra vada attribuito a Guglielmo di Macklefield o a Ugo di Billom. La paternità del Correctorium «Sciendum», anch’esso inedito, è contesa fra Roberto di Collotorto e Roberto di Oxford ma vi aspirano anche il Durandello e Giovanni di Parma10.

Prima del 1300, tra il 1286-87, va posto l’Apologeticum veritatis contra Corruptorium del domenicano Ramberto de’ Primadizzi di Bologna che ha il pregio di aver allargato il campo di discussione con altri avversari di s. T., quali i francescani Matteo di Acquasparta e Riccardo di Middleton e soprattutto Enrico di Gand e lo stesso Egidio Romano. La composizione è fissata (d’accordo questa volta con il P. Pelster) dall’editore J. P. Müller nel 1299 (cf. Studi e testi, Città del Vaticano 1943, p. XXVI); comprende soltanto 16 questioni che si riferiscono tutte alla Somma Teologica e segue passo per passo il testo del De la Mare.

I nomi di Enrico di Gand e di Egidio Romano richiamano la fase intricata e più grave di conseguenza nella prima polemica antitomista. Quanto ad Egidio Romano, che la tradizione faceva passare per fedele tomista lo studio dei manoscritti ha mostrato invece che specialmente nelle materie teologiche egli figura spesso fra gli oppositori11. Invece nella lotta contro Enrico di Gand,| Egidio difende la tesi tomista della distinzione reale di essenza e di atto di essere, ma con argomenti personali e introducendo la terminologia di esse essentiae e esse existentiae, di esse generis e di esse speciei, che rivela un realismo ontologico ch’è estraneo a s. T. e che ha fatto un primo passo decisivo sul piano inclinato del realismo formalista: ciò ha portano a «reificare» i principi dell’essere confondendo le idee a non pochi tomisti sull’importante questione, fino a Suárez, e che perdura per sua opera fino ai nostri giorni12. Questa «flessione» del realismo tomista dipende in Egidio da una sua personale dottrina della partecipazione.

Il muro principale dell’opposizione, contro il quale quasi per vent’anni Egidio e la maggior parte dei tomisti dovettero battere, fu proprio Enrico di Gand, personalità di primo piano e molto influente a Parigi: botta e risposta nella polemica della distinzione fra essenza ed esse dei due maestri si susseguono senza posa, polarizzando la vita intellettuale della fine del sec. XIII facendo passare in second’ordine gli altri punti controversi13. Enrico di fronte alla distinzione puramente logica di concreto e astratto e a quella reale massiccia di Egidio che finiva nel concepire l’essentia e l’esse come «res et res», come «duae res», escogitò la via intermedia della «distinctio secundum intentionem» in quanto lo «esse existentiae» della creatura non può essere concepito dall’intelletto se non come dipendente da Dio e quindi «essentia» ed «esse» non sono «duae res» ma «duo respectus»; la «essentia» si rapporta a Dio come a causa esemplare e lo «esse» a Dio come a prima causa efficiente e perciò l’esistenza e l’essenza si distinguono non perchè facciano composizione reale ma soltanto perchè indicano un diverso rapporto di dipendenza da Dio, cioè secondo il nostro modo d’intendere14. La soluzione ha il suo immediato riflesso non solo| nella determinazione metafisica del concetto di «creatura» dentro i confini della filosofia cristiana, ma anche nell’ardua teologia dell’unione ipostatica in Cristo. In merito alla questione polemica: Utrum sit duplex vel unum esse in Christo, Enrico combattè direttamente la posizione tomista che afferma in Cristo un «duplex esse naturae» e un unico «esse subsistentiae» e dalla sua critica hanno avuto origine le varie posizioni antitomiste in questo punto (Scoto, Tifano, Suárez…) fino ai nostri giorni. Enrico attribuisce un «esse actualis existentiae» anche alla natura umana di Cristo mentre nega in Cristo, persona divina, uno «esse absolutum subsistentiae» poichè la Persona divina è costituita dallo «esse ad aliquid»15. Nega ogni composizione reale di essenza ed «esse», in un modo ancor più radicale di Enrico, il contemporaneo maestro secolare Goffredo di Fontaines, anch’egli legato alla terminologia egidiana di «esse essentiae» e «esse existentiae», mentre difende con energia la tesi tomista della potenzialità pura della materia, protestando contro i denigratori di s. T.: «Aliqui doctrinam non modico fructuosam cuiusdam doctoris famosi, cuius memoria cum laudibus esse debet, ut in pluribus impugnantes, vel deinde contra dicta sua procedentes, ad diffamationem personae pariter et doctrinae opprobria magis quam rationes inducere consueverunt» (M. De Wulf-A. Pelzer, Les quatre premiers Quodl. de G. de F., Quodl. I, a. 4, in Les Philos. Belges, II, Lovanio 1904, p. 7).

Nell’ordine domenicano, dopo i pronunciamenti ufficiali a favore del tomismo, la lotta contro le innovazioni tomiste si riduce a iniziative tosto represse dall’autorità. Dopo l’episodio del Kilwardby, il caso più clamoroso è quello di Durando de S. Pourçain. Le ricerche di J. Koch hanno sfatato la leggenda, giunta fino a noi, di una primitiva adesione di Durando al tomismo e hanno dimostrato ch’egli, insieme col suo maestro Giacomo di Metz, si collega alla vecchia scuola agostiniana dell’Ordine, ostile all’accettazione dell’aristotelismo e vicina, ad es., nella teoria dei «modi», a Enrico di Gand16. Questa direzione conservatrice secessionista fu repressa con energia dalle autorità dell’Ordine. L’anima di questa| difesa contro tutto l’indirizzo di Enrico di Gand, Giacomo di Metz e Durando fu Erveo Natale: il primo fu attaccato a fondo nei Quodlibeta (ed. veneta di M. A. Zimara, 1513); il secondo nel Correctorium frat. Jacobi Metensis (cf. J. Koch, art. cit., p. 194 sgg.); il terzo specialmente nel Quodl. II, del 1308, qq. 3, 7 e 8; Quodl. IV del 1310, qq. 4 e 14, con altre dissertazioni speciali e un complesso di scritti polemici ritrovati e studiati dal Koch: Reprobationes excusationum Durandi del 1314, Correct. super dicta Durandi del 1315, De artic. pertinent. ad IV ll. Sent. Durandi del 1314-15 e le Evidentiae cont. Durandum super ll. IV Sent.: è sua, e sembra scritta non più tardi del 1307, la Defensio doctrinae s. Th.17. Altri tomisti individuati dal Koch, che hanno polemizzato contro Durando, sono: Pietro di Palude, Giacomo di Losanna, Giovanni di Napoli, ch’è il principe dei difensori di s. T. in tutta questa tempesta, Bernardo Lombardo e l’ignoto ma forte tomista Durandello. L’Ordine di sua autorità pubblicò una prima lista di 191 errori del Commento alle Sentenze di Durando il 3 luglio 1314, raccolti da P. di Palude e G. di Napoli cui Durando rispose con le «Excusationes»; seguì presto una seconda lista di ben 235 articoli nei quali Durando si allontana da s. T. e va collocata tra il 1316-17, e Durando fu messo fuori della tradizione dottrinale dell’Ordine.

In questa polemica si affaccia la figura di Scoto, da cui direttamente dipende Occam che ha attaccato ad armi scoperte i fondamenti del tomismo sia in filosofia come in teologia18, ma sembra che dallo stesso Scoto, certamente per la teologia sacramentaria, dipenda anche Durando19. D’altronde le ricerche del P. Balic per l’edizione critica di Scoto hanno accertato che la fonte principale da cui questo dipende è Enrico di Gand, ossia il corifeo dell’antitomismo medievale, che resta il punto di riferimento principale per la maggior parte delle dottrine filosofiche e teologiche con le quali la rinnovata scuola agostiniana ha tentato con energia, non senza notevoli successi, di arginare l’affermarsi del tomi|smo20. In tale tumulto di polemiche del primo mezzo secolo dopo la morte di s. T. si è venuta formando e cristallizzando quella tradizione dottrinale che ha preso il nome di «tomismo».

Per un giudizio critico sulla formazione storica del tomismo, va rilevato il fatto che fra gli stessi primi discepoli di s. T. e i primi fautori del tomismo si notano oscillazioni non lievi: valga come esempio la posizione di uno scolaro di s. T., il maestro secolare Pietro di Alvernia, che mette nella forma il principio d’individuazione e da cui dipendono Giacomo di Metz e Durando (cf. J. Koch, Jakob v. Metz…, art. cit., p. 211 sgg.). Lo stesso paladino del tomismo e generale dell’Ordine, Erveo Natale, non assimila le dottrine tomiste che gradualmente e nega quel caposaldo della metafisica tomista ch’è la distinzione reale fra essenza ed atto di essere; essa è negata anche da Bernardo Lombardi O. P. Per Bernardo de Trilia (m. nel 1292) che ha fama di fedele tomista, la distinzione reale è «positio probabilior»21. Oscillazioni analoghe si sono riscontrate anche in varie dottrine sia filosofiche come teologiche22.

Il frutto più maturo del primo secolo di polemiche tomiste è l’opera del Capreolo (m. nel 1444), il «Princeps thomistarum»: le sue Defensiones theol. Divi Th. Aq. (ed. nuova di Paban-Pègues, Tours 1900 sgg.) dànno il panorama esatto della situazione della Scuola nel sec. XV, dopo la lotta che il tomismo aveva sostenuto e proseguiva contro i suoi principali avversari, esse contengono tutte le tesi chiave della Scuola. Il Capreolo pare segua principalmente l’opera del Durandello, e la linea maestra del tomismo, stabilita con lui continua nel Cinquecento con l’ungherese Pietro Nigro (m. nel 1492) e con gli italiani Paolo Soncinate (m. nel 1404), Crisostomo Javelli (m. nel 1534 ca.), Pietro da Bergamo autore della Tabula aurea ch’è il primo «index thomisticus», F. Silvestri di Ferrara commentatore della S. c. Gent. e pari al Capreolo per fedeltà a s. Tommaso, ma spesso lo supera per vigore sintetico e speculativo. Queste figure di prima grandezza sono rimaste quasi ecclissate dalla prepotente autorità del Gaetano ch’è stata raf|forzata dalla fluida sistematicità degli spagnoli che l’hanno seguito, come D. Bañez e Giovanni di s. T. presso i quali la tendenza formalistica ed eccessivamente sistematica prende spesso il posto della sobrietà originaria del testo tomista a cui si attiene la corrente più antica. Oscillazioni pressochè inevitabili quando si badi anzitutto alla formazione prevalentemente polemica del tomismo; poi al fatto che fino alla fine del sec. XV il testo ufficiale dell’insegnamento, anche per i Domenicani, era il libro delle Sentenze del Lombardo e soltanto nel sec. XVI per merito del belga P. Crockaert, maestro di F. da Vittoria, la Somma Teologica è introdotta come testo di scuola; e infine all’assenza di studio delle fonti e di metodo critico così che non pochi tomisti si appoggiano ad opuscoli spuri, preferendoli ai testi autentici. Non fa meraviglia allora se i tomisti dei secc. XIV-XVI, ad es., quando si tratta di difendere la distinzione reale fra essenza ed atto di essere, spesso ricorrono ai termini e agli argomenti di Egidio Romano più che a quelli di s. T. (così lo stesso Giov. di s. T. fa largo uso della spuria Summa totius logicae che contiene la formula che ha sconcertato, non del tutto a torto, gli avversari della distinzione reale e ha scosso quei Domenicani che l’hanno parimenti negata23, a cominciare dal nominato Erveo Natale fino al p. A. Lepidi [m. nel 1921]: «In creaturis esse essentiae et esse actualis existentiae differunt realiter ut duae diversae res»: ed. De Maria – che anche lui dà l’opuscolo per autentico! – t. I, p. 23). Altro esempio esplicito è nei Quodlibeta Alverii ord. praed. (finora non si è potuto identificare) che ho trovato in un Cod. miscellaneo della Biblioteca Antoniana di Padova del sec. XIV (Scaff. XIII, n. 295): nella Q. XIX, Utrum esse et essentia differant realiter (fol. 19 rb) si propongono le tre opinioni note che sembrano ormai canonizzate e l’A. si dichiara senz’altro per la terza («probabilior») la quale difende – come Enrico di Gand e poi Suárez – la distinzione pene modos significandi e respinge gli argomenti per la distinzione reale, compreso quello della partecipazione (ibid., ad tertium, vb.). Il disagio creatosi nella scuola tomista in questo punto si ritrova nella stessa posizione di D. Bañez che conosce ed espone le tre sentenze che si battagliavano da tre secoli e per ognuna egli indica qualche rappresentante domenicano (!). Nella prima, fra i negatori della distinzione reale, dimen|ticando i principali, cioè gli averroisti, che gli avrebbero mostrato per contrasto la vera posizione di s. T., egli mette a capo dei negatori Erveo Natale seguito da nominalisti di ogni colore. La seconda sentenza (quella che sarà poi di Suárez) che difende la distinzione intermedia («sec. intentionem») di Enrico di Gand «ex natura rei», ha per corifei Scoto e Alessandro di Ales o piuttosto il gener. francesc. A. Bonini di Alessandria24 col Nifo e il domenicano D. Soto. La terza sentenza tiene che l’essenza è distinta dallo «esse tamquam res a re, ita ut non solum haec propositio sit falsa in sensu formali: essentia est esse (= II sentenza), sed etiam haec: essentia est res quae est esse» (D. Bañez, Schol. Comment. in Prim. Partem…, q. 3, a. 4; ed. di Lione 1588, col. 140). Fautori di tale posizione sono citati il Capreolo, il Gaetano, il Soncinate e Javelli. Ma il Bañez sembra muoversi con fatica: la sentenza attribuita a s. T. è giudicata «multo probabilior et ad rem theologicam magis accomodata» e il Bañez per suo conto l’accetta. Ma – e qui sta il nocciolo per il problema che stiamo toccando – il Bañez passa per sentenza probabile anche quella di Scoto (e del Soto) cioè quella del principale avversario di s. T., Enrico di Gand: «Sententia tamen, Scoti et magistri Soto potest probabiliter sustineri et argumenta quae contra illam fiunt ab assertoribus tertiae sententiae (cioè la tomista, si badi bene!) poterunt hoc exemplo dissolvi»… (ibid., col. 141). Un atteggiamento simile aveva preso un secolo prima Pietro Nigri egregio tomista, circa la posizione di Erveo, secondo il quale «esse essentiae et esse existentiae differunt secundum diversos modos significandi per modum verbi et per modum nominis significatorum». E conclude: «Opinio doctoris huius nolo impugnare quia satis rationabilis videtur et in nullo videtur dictis Sanctorum et philosophorum contraria sed consonaque rationi. Est tamen alia solemnis opinio scil. Doctoris sancti», etc. (Clypeus Thomist., q. XXXII; ed. veneta, per Simonem de Luere, 1504, fol. 56 vab). Non è a caso che nelle prolisse discussioni del Negro e del Bañez manca ogni approfondimento del concetto tomista di atto e di «esse» in funzione della nozione di partecipazione com’era stato invece già rilevato dagli avversari, gli Averroisti e dallo stesso Alessandro di Alessandria. Una fedeltà più rigorosa ai termini di s. T. si trova nel maestro secolare G. Versorio per il| quale «esse est aliud ab essentia vel natura angeli…» e si riportano con sobria precisione gli argomenti tomisti25. A questo slittamento del tomismo verso il formalismo vanno attribuite anche le tesi diffuse nella scuola tomista di un atto di «esse» proprio degli accidenti e la conseguente tesi, quasi ufficiale nel tomismo contemporaneo del primato dell’analogia di proporzionalità sull’analogia di attribuzione; con ogni probabilità anche la tesi attribuita al Gaetano del «terminus substantialis» come costitutivo della sussistenza (accettata dallo stesso Bañez, loc. cit., col. 125-27) e la concezione della «relatio trascendentalis» (cf. A. Krempel, op. cit., p. 646 sgg.), che hanno avuto il favore di molto tomismo dal Seicento in qua, tradiscono le infiltrazioni formaliste e nominaliste a cui, per obbiettività storica, si è voluto accennare26.

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Se è vero che l’opera di s. Tommaso ha sempre goduto, lungo i secoli, del favore della Sede Apostolica, ciò non ha impedito alle altre scuole di continuare la propria tradizione, e nelle grandi università, fino all’irrompere del pensiero moderno, coesistevano con la cattedra tomista le cattedre che difendevano le dottrine di Scoto, Durando, Gregorio da Rimini… Anzi sulla fine del sec. XIV, quando con Pietro di Ailly il nominalismo ebbe il sopravvento nell’Università di Parigi, i Domenicani furono estromessi dalle scuole dal 1387 fino al 1403. L’episodio più increscioso fu l’attacco del domenicano spagnolo Giovanni di Montesono contro i difensori dell’Immacolata Concezione, fino a sostenere che «qui credit B. Virginem esse conceptam sine peccato originali, esse expresse contra fidem» … e quindi «peccat mortaliter».

La recente celebrazione centenaria della definizione dogmatica dell’insigne Privilegio mariano (1954) ha fatto approfondire e precisare anche l’atteggiamento al riguardo da parte del Dottore Angelico. Già l’Università di Parigi aveva osservato in linea generale contro l’esegesi tomistica dell’intemperante Montesono «… qualiter scilicet s. Thomae doctrinam in dicta nostra condemnatione nequaquam reprobamus, sed hunc [= il Montesono] eiusque fautores| doctrinam eius ad distortum fidei quam absonum sensum adaptantes aut ultra quam fieri debet contra eiusdem Doctoris [= s. Tommaso] documentum dilatantes condemnamus»27. Difatti uno studio più cauto e comparato dei testi tomisti farebbe con evidenza addossare alla sua scuola la responsabilità di una posizione risolutamente maculistica ossia di quella concezione che non è più sostenibile perchè condannata esplicitamente dalla Bolla Ineffabilis Deus di Pio IX. È stata chiarita infatti l’esistenza negli scritti dell’Angelico di alcuni testi dichiaratamente positivi a favore del nuovo dogma mariano, trascurati dalla sua scuola. Ci sono anzitutto numerosi testi generici ma perspicui, per es.: «In Christo et in Virgine Maria nulla omnino macula fuit» (Exp. in Ps. XIV); «In Beata Virgine nullum peccatum fuit» (Exp. in orat. dom., pet. V). Ci sono soprattutto tre testi speciali che valgono da pilastri di tutto il lavoro dogmatico e critico dell’Autore: «Beata Virgo a peccato originali et actuali immunis fuit» (I Sent., d. 44, q. un., a. 3 ad 3); «B. Virgo nec originale, nec mortale, nec veniale peccatum incurrit» (Exp. Salutationis Angelicae); «Virginis purgatio (sanctificatio) in utero matris non fuit ab aliqua impuritate culpae» (S. Th. IIIa, q. 27, a. 3 ad 3). La più bella di queste tre gemme è forse il secondo testo dell’esposizione dell’Ave Maria che recentemente è stato restituito alla lezione originale (con lo studio completo della più antica tradizione manoscritta: 49 codici), perchè corrotta dalla «tradizione maculistica» in alcuni pochi codici di tarda composizione e in tutte le edizioni a stampa. Del resto contro la tracotanza del Montesono si era eretto Pietro d’Ailly, futuro Cancelliere dell’Università, che gli oppose il categorico testo del commento tomistico al primo libro delle Sentenze: segno o indizio almeno, a me sembra, che nell’Università di Parigi s. Tommaso era considerato fautore esplicito del privilegio mariano; tanto è vero che i «venerabiles viri et discreti decanus et facultas theologiae Parisiensis solemniter congregati», dichiarano «salva reverentia s. Thomae quem credimus verisimiliter bonum habuisse sensum»28. In tutta questa con|troversia ha una particolare importanza lo studio dello sviluppo della terminologia che nel secolo XIII non poteva essere quella del secolo XIX. Infatti se si tiene presente in particolare che s. Tommaso distingue fra la «conceptio» ch’è l’inizio dello sviluppo del germe vitale e la «animatio» ch’è l’infusione dell’anima spirituale mediante la quale si ha la costituzione del nuovo individuo come persona, si può capire allora come S. Tommaso può affermare che anche la Beata Vergine – come ogni individuo umano che proviene da Adamo per generazione naturale – doveva «incorrere» nel peccato secondo il processo di natura; ma come persona, fin dal primo istante dell’infusione dell’anima, ne fu da Dio «mondata». Perciò quando s. Tommaso afferma insieme che la Madre di Dio fu «concepita» nel peccato originale ma che mai la sua persona ne fu tocca (non incurrit), è chiaro che nella sua terminologia il termine «conceptio» non ha il significato che avrà nella Bolla «Ineffabilis Deus», ma va preso secondo la teoria dell’animazione ritardata ch’era in voga nella scienza del suo tempo. Praticamente tutto il nocciolo di questa importante questione di terminologia si trova mirabilmente condensato nella perla ch’è la Expositio Salutationis Angelicae coi due testi ch’esprimono chiaramente i due aspetti (aspetti e non momenti!) ora indicati: «Beata Virgo de peccato originali fuit mundata in utero matris, quia in originali fuit concepta seu originale contraxit, sed originale non incurrit». I teologi posteriori e la Bolla della definizione distingueranno meglio fra il «debitum» e il «reatus culpae»: la Vergine ebbe il primo, ma non il secondo; la distinzione di S. Tommaso non solo non è contraria alla definizione, ma può essere considerata giustamente come il suo più genuino fondamento teologico che i tomisti antichi hanno frainteso e che i tomisti di oggi hanno tutto il diritto di difendere e di approfondire per aggiungere questo ambìto complemento alla sintesi teologica del Maestro del pensiero cattolico. C’è quindi fra la posizione tomista e la Bolla «Ineffabilis» un accordo reale di fondo sul privilegio mariano con una «differenza modale» – se può passare il termine – nella sua spiegazione. Un segno di tale differenza si può vedere, mi sembra, quando s. Tommaso ammette che nella Vergine, mediante la «santificatio in utero matris»| il fomite della concupiscenza è stato «legato» e non completamente tolto: terminologia che ora, dopo la definizione, va abbandonata.

Forse anche questo irrigidimento dell’Ordine domenicano nel negare il privilegio mariano ha contribuito non poco a impedire la comprensione e la diffusione del tomismo nelle scuole cattoliche e a lasciare prendere piede o prestigio al formalismo e al nominalismo teologico che di quel privilegio si erano fatti accesi fautori. Nel campo delle dottrine più strettamente filosofiche continua l’opposizione al tomismo da parte dell’averroismo fino al sec. XVI con l’esplicito o tacito richiamo a Sigieri di Brabante: la tesi di una «conversione» sostanziale di Sigieri al tomismo, proposta da F. van Steenberghen29 è stata fortemente contrastata da B. Nardi30. Tuttavia è fuori dubbio che la critica tomista del De unit. intell. ha spinto Sigieri a rivedere le sue formole e a riconoscere l’incompatibilità della tesi dell’unità dell’intelletto con la dottrina cristiana. L’ostilità contro s. T. è sistematica nel successore di Sigieri quale corifeo dell’averroismo ch’è Giovanni de Jandun e si prolunga nell’averroismo italiano del Rinascimento ricorrendo anche ad alleanze con le scuole d’indirizzo agostiniano (scotista) e nominalista. Molto controversa è stata in questi ultimi anni (Busnelli, Nardi) l’adesione di Dante al tomismo, ma è fuori dubbio che per il fondo dei problemi il Poeta s’ispira a s. T., anche se l’indole stessa della sua opera lo porta a mantenersi aperto agli influssi più svariati: a Firenze, nel Trecento, le grandi controversie parigine non dovevano avere che un’eco assai fievole se nel Paradiso dantesco s. Bonaventura, s. T. e Sigieri – cioè gli alfieri delle tre correnti in lizza – celebrano nella gioia eterna quell’accordo nella verità che non ebbero speculando in terra e che i loro discepoli rendevano nelle scuole sempre meno possibile. Un nucleo di opposizione al tomismo, sia pur di proporzioni ridotte, è stato anche l’Albertismo che ebbe un periodo di notevole attività a Parigi e a Colonia tra la fine del sec. XIV e gli inizi del sec. XV con infiltrazioni fra gli stessi tomisti, come ad es., in Domenico di Fiandra O. P. ch’è alle volte in polemica con il tomismo integrale di G. Versorio31.|

Col sorgere della Compagnia di Gesù la diffusione della scolastica prende nuovo vigore e lo studio di s. T. ottiene il posto d’onore nelle primitive costituzioni di s. Ignazio, ma esse furono successivamente modificate dopo la morte del Santo, e si pensò perfino alla composizione di una nuova «Somma Teologica», affidata al P. Laynez32. Merita di essere segnalato un movimento di tomismo integrale in seno alla Compagnia, in occasione della polemica molinista, per opera di Giovanni Azor e di Benedetto Pereira che diffusero espressamente la tesi tomista della premozione fisica33. Ma fu fenomeno isolato presto represso dal generale Acquaviva: di buona ispirazione tomista è l’opera di Silvestro Mauro (1619-97) che tuttavia non potè competere con quella di Suárez che ottenne la quasi totale adesione delle scuole della Compagnia. Nell’Ordine domenicano le dottrine tomiste ebbero particolare impulso dalle esposizioni ancor oggi apprezzabili del Goudin, di Genevois e, all’inizio del secolo scorso, dell’italiano S. Roselli la cui Summa philosophica (3a ed., Bologna 1857-59) è stata probabilmente il primo seme per la rinascita del tomismo. Tuttavia occorre riconoscere che l’insigne opera non è immune da infiltrazioni razionaliste, come, ad es., l’assunzione della divisione wolfiana della filosofia e del principio leibniziano di «ragion sufficiente» (cf. Op. cit., p. II, Metaph., q. 6, a. 1; vol. II, p. 98 sgg.) che avrà un’influenza massiccia nella manualistica neoscolastica ed anche neotomista, come si può riscontrare nelle complicate discussioni sul valore del principio di causalità34.

Note

1 J. Hofmans – A. Pelzer, Etude sur les manuscr. de Godefroid de Fontaines, in Les philos. Belges, XIV, Lovanio 1937, p. 211, nota. V. ora l’esauriente espo­sizione di E. Gilson, History of Christian Philosophy in the Middle Ages, London 1955, p. 385 ss.

2 V. la lettera di Giovanni XXI al vescovo di Parigi, in: A. Callebaut, J. Pecham et l’Augustinisme, Aperçus historiques (1263-85), in Arch. Franc. Hist., 18 (1925).

3 Cf. l’ed. di C. Jellouschek, in Xenia Thom., t. III, Roma 1925, p. 88 sgg.

4 M. De Wulf, Le «De Unitate formae» de Gilles de Lessines, in Les philos. Belges, I, Lovanio 1902; cf. spec. p. 79 sgg.

5 P. Mandonnet, Siger de Brabant, II, 2a ed. Lovanio 1911, p. 29 sgg.; v. anche F. Van Steenberghen, Le «De quindecim problematibus» d’Albert le Grand, in Mél. A. Pelzer, Lovanio 1947, p. 415 sgg.

6 V. la nota di M. H. Laurent, Fontes, fasc. VI, p. 617 sgg. Per lo sviluppo­ storico della controversia, v. D. A. Callus, The condemnation of St. Th. at Oxford, Westminster 1946, p. 11 sgg. Sull’antitomismo del Kilwardby, v. E. M. F. Sommer-Seckendorff, Studies in the Life of R. K., Roma 1937, spec. p. 159 sgg.

7 F. Pelster, Das Ur-Correct. W. de la Mare, Eine theol. Zensur zur Lehre des hl. Th., in Gregorianum, 28 (1947), p. 220 sgg.

8 F. Pelster, Thomas von Sutton u. das Correct. «Quare detraxistis», in Mél. Pelzer, Lovanio 1947, p. 441 sgg.

9 Le Correct. corruptorii «Circa» de J. Quidort de Paris, in Stud. Anselm., XII-­XIII, Roma 1941, cf. p. XXXIV sgg.).

10 Sta per Roberto di Collotorto, P. Bayerschmidt, R. v. Collotorto Verfasser des Correctoriums «Sciendum»?, in Divus Thomas (Friburgo), 17 (1939), p. 311 sgg.

11 G. Bruni, Egidio Rom. e la sua polemica antitomista, in Riv. di fil. neosc., 26| (1934), pp. 239-51; v. p. 245 l’elenco «Egidius contra Thomam» del Cod. Vat. lat. 772 che contiene ben 73 punti di divergenza riguardo al solo I libro delle Sentenze. Il Bruni ha edito dal medesimo Codice le Impugnationes contra Fratrem Egidium contradicentem Thome super primum Sententiarum di un fervido domenicano che ancora non è stato identificato (in Bibl. Augustin. M. Aevi, Città del Vaticano 1942).

12 Cf. Hocedez H., Aegidii Rom. Theorem. de esse et essentia, Introd., Lovanio 1930, p. (116 sgg.).

13 V. J. Paulus, Les disputes di H. de Gand et de Gilles de Rome sur la distinct. de l’essence et de l’exist., in Arch. d’hist. doctr. et litt. du m. â., 15-17 (1940-42), p. 324 sgg.

14 J. Paulus, H. de Gand, Essai sur les tendances de sa métaph., Parigi 1938, spec. pp. 278-91. Cfr. la sintesi sostanziale della controversia in: É. Gilson, History of Christian Philosophy…, ed. cit., p. 420 ss.

15 Cf. lo studio fondamentale di P. Bayerschmidt, Die Seins-u. Formenmetaph. des H. v. Gent in ihrer Anwendung auf die Christologie, in Beitr. Baeumkers, XXVI, 3-4, Münster in W. 1941, p. 81.

16 J. Koch, Jakob von Metz O. P., der Lehrer des Durandus a s. Porciano, O. P., in Arch. d’hist. doctr. et litt. du m. â., 4-5 (1929-30), spec. p. 192 sgg.|

17 J. Koch, Durandus de s. Porc., Forschungen zum Streit um Thomas v. Aquin zu Beginn des 14. Jahrh., I, Beitr. Baeumkers, XXVI, 1, Münster in V. 1927, spec. p. 211 sgg.

18 V. Hoffmann Fr., Die erste Kritik des Ockhamismus durch den Oxford. Kanzler J. Lutterell, Breslavia 1941, p. 14 sgg., 23 sgg., 75 sgg. passim.

19 Koch J., Die Verteidigung der Theol. des hl. Th. v. A. durch den Dominika­nerord. gegen. Durandus de s. Porc. O. P., in Xen. Thom., III, Roma 1925, p. 351.

20 Cf. I. D. Scoto, Op. Omnia… ad fidem Cod. ed., Roma 1950, t. I, spec. p. 166* sgg.

21 G. André, Les Quodl. de B. Trilia, in Gregorianum, 2 (1921), p. 252.

22 Per quelle, ad es., riguardanti la metafisica della relazione, v. A. Krempel, La Doctrine de la relation chez S. Thomas, Parigi 1952, p. 20 sgg. e passim, che parla di una «demi fidelité des premiers adeptes».

23 Cf. C. Fabro, L’obscurcissement de l’«esse» dans l’école thomiste, in Revue Thomiste 1958, p. 443 ss.

24 V. Fabro C., Una fonte antitomista della metafisica suareziana, in Div. Tho­mas Plac. 50 (1947), pp. 57-68.

25 Quaestiones in XII Metaph., q. XII, Colonia, Quentell 1493, fol. 106 vb-­107 ra.

26 Cf. C. Fabro, Per una storia del Tomismo, in Sapienza (1951), p. 27 ss.

27 Per la documentazione del complesso episodio, v. Denifle-Chatelain, Chartularium Universitatis Parisiensis, Paris 1894, t. III, Numeri 1557-1587, spec. p. 498 sgg. A p. 518, n. 1572 la ritrattazione del Montesono.

28 La classificazione e lo studio dei testi tomisti positivi si trova nella recente dissertazione di G. F. Rossi, Quid senserit s. Thomas Aquinas de Immaculata Virgi­nis Conceptione, Monografie del Collegio Alberoni, n. 21, Piacenza 1955. Lo stesso A. aveva rivendicato la lezione genuina dei Codici «Ipsa enim purissima fuit et| quantum ad culpam, quia nec originale, nec mortale nec veniale peccatum incurrit» del celebre commento dell’Ave Maria: s. Thomae Aquinatis Expositio in salutationem Angelicam, Monografie del Coll. Alberoni 11, Piacenza 1931.

29 Les oeuvres et la doctrine de S. de Br., Bruxelles 1938, p. 150 sgg.

30 Il preteso tomismo di Sigieri di Br., in Giorn. crit. d. fil. it., 17 (1936), p. 26 sgg., che ha avuto anche il consenso di E. Gilson: cf. Bull. Thom., 6 (1942), p. 16 sgg.

31 L. Mahieu, Dominique de Flandre. Sa métaphysique, Parigi 1942, p. 21 sgg.

32 V. la documentazione in P. Garin, Thèses cartes. et thèses thom., Parigi s. d., p. 24 nota.

33 A. Michelitsch, Die Kommentat. zur Summa Theol. des hl. Th. v. A., Graz 1923, pp. 35 sgg., 59-61, 102 sgg.

34 C. Fabro, La difesa critica del principio di causa, in Riv. di filos. neosc., 38 (1936), p. 121 sgg.

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