Una modesta ipotesi metafisica per una giusta ermeneutica del Vaticano II, por Alain Contat

Firma LefePublicamos el segundo post del Prof. Alain Contat sobre el rol decisivo de la metafísica de la participación del ser en la interpretación del Concilio Vaticano II.

(http://participans.blogspot.it/2011/01/i-lettori-di-questo-bloc-notes-che.html)

(Para quienes lo deseen, pueden ver la conferencia en español del P. Gonzalo Ruiz sobre la Correcta Interpretación Del Concilio Vaticano II según la doctrina de la participación)

Una modesta ipotesi metafisica per una giusta ermeneutica del Vaticano II

I lettori di questo bloc-notes che leggono il francese avranno visto che abbiamo mandato in linea una prima riflessione sulla metafisica della partecipazione e l’interpretazione del Vaticano II nello spirito, auspicato dal Santo Padre, di una «ermeneutica della riforma nella continuità». Vogliamo abbozzare oggi una ipotesi, in fondo molto semplice, per una recezione globale del corpus conciliare.
Ora due testi dell’Aquinate, apparentemente lontani dalle tematiche ecclesiologiche, ci sembrano in realtà assai interessanti a questo fine. Il primo si trova verso la fine della Ia pars, nella questione 108 che sistematizza gli ordini angelici utilizzando un criterio di gerarchizzazione metafisica:
in rebus ordinatis tripliciter aliquid esse contingit, scilicet per proprietatem, per excessum, et per participationem.
· Per proprietatem autem dicitur esse aliquid in re aliqua, quod adaequatur et proportionatur naturae ipsius.
· Per excessum autem, quando illud quod attribuitur alicui, est minus quam res cui attribuitur, sed tamen convenit illi rei per quendam excessum; sicut dictum est de omnibus nominibus quae attribuuntur Deo.
· Per participationem autem, quando illud quod attribuitur alicui, non plenarie invenitur in eo, sed deficienter, sicut sancti homines participative dicuntur dii[1].
L’altro testo è desunto dal commento Super Librum De causis, e potrebbe essere l’origine della precedente gerarchia di partecipazione ontologica:
tripliciter aliquid de aliquo dicitur:
· uno modo causaliter, sicut calor de sole,
· alio modo essentialiter sive naturaliter, sicut calor de igne,
· tertio modo secundum quamdam posthabitionem, id est consecutionem sive participationem, quando scilicet aliquid non plene habetur sed posteriori modo et particulariter, sicut calor invenitur in corporibus elementatis non in ea plenitudine secundum quam est in igne.
Sic igitur illud quod est essentialiter in primo, est participative in secundo et tertio; quod autem est essentialiter in secundo, est in primo quidem causaliter et in ultimo participative; quod vero est in tertio essentialiter, est causaliter in primo et in secundo[2].
I due brani si applicano facilmente all’intellettualità, che si trova per proprietatem nelle sostanze separate, perché la loro operazione propria consiste precisamente nell’intelligere in modo intuitivo, senza discorso. In Dio, l’intellettualità è per excessum, perché coincide con lo stesso Esse subsistens, dove non corrisponde più ad una essenza limitata, ma è totalmente immersa nell’infinità dell’essere. Nell’uomo, invece, l’intellettualità si dà soltanto per participationem, perché il nostro conoscere passa attraverso la frammentazione dell’astrazione, nonché della composizione giudicativa ed argomentativa.
            Veniamo al mistero della Chiesa. Ci sembra che questa triplice gerarchia di per eccessum, per proprietatem, per participationemconsente al teologo di impostare molto bene il problema ecclesiologico. Infatti:
  • In Cristo, la grazia che è l’anima creata della Chiesa si trova per excessum, come a fortiori, lo Spirito Santo è la sua anima increata[3]. Infatti,  tutta la grazia presente nella vita della Chiesa, a lungo dei secoli, proviene dalla pienezza di grazia propria dell’anima umana del Signore, che la riceve a sua volta dalla sua prossimità ontologica con la sua divinità[4]. In questa grazia capitale si trova, in modo eminente, tutto l’organismo soprannaturale ch’egli diffonde, per virtù dello Spirito Santo, sulla Chiesa nel corso dei secoli, in particolare la grazia abituale[5] ed i caratteri sacramentali[6].
  • Nella Ecclesia peregrinans stessa, l’organismo spirituale che la costituisce come tale è posseduto per proprietatem. Ella riceve il suo essere da Cristo Mediatore, come proclama il Vaticano II:
Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia[7].
Al contempo, questo «organismo visibile» è dotato di una precisa configurazione, composta da più elementi, la cui totalità costituisce, per così dire, il «modulo» o la misura in cui viene comunicata la vita che il Signore manda per mezzo del Suo Spirito:
Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo, accettano integralmente la sua organizzazione e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e che inoltre, grazie ai legami costituiti dalla professione di fede, dai sacramenti, dal governo ecclesiastico e dalla comunione, sono uniti, nell’assemblea visibile della Chiesa, con il Cristo che la dirige mediante il sommo Pontefice e i vescovi[8].
Ecco l’«essenza» della Chiesa in terra, considerata come la forma  – ciò che dà forma –  senza la quale l’essere soprannaturale meritatoci e trasmessoci dal Signore non è pienamente costituito.
  • Ma questa Chiesa, senza perdere mai la sua identità, ha subito, nel corso della storia, le ferite degli scismi e delle eresie, peccati che non sono trasmissibili in quanto tale  – solo il peccato originale passa ai posteri –  ma che hanno lasciato dietro di loro delle chiese e comunità cristiane che hanno conservato, in intensità e modalità variabili, soltanto una parte degli strumenti di santificazione presenti in totalità nella sola Chiesa Cattolica. Pertanto
tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi ed eccellenti, possono trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica: la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili. Tutte queste cose, le quali provengono da Cristo e a lui conducono, appartengono a buon diritto all’unica Chiesa di Cristo[9].
Come non riconoscere subito, in questi elementi «che provengono da Cristo e a lui conducono» il fondamento di un’appartenenza per participationem a quella unica Chiesa che ne beneficia per proprietatem? In questa chiave, si deve allora concludere che la celebre formula subsistit rappresenta un autentico progresso dogmatico:
Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui[10].
La Congregazione per la Dottrina della Fede ha precisato, il 29 giugno 2007, il significato di questa proposizione:
Nella Costituzione dogmatica Lumen gentium 8 la sussistenza è questa perenne continuità storica e la permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica, nella quale concretamente si trova la Chiesa di Cristo su questa terra.Secondo la dottrina cattolica, mentre si può rettamente affermare che la Chiesa di Cristo è presente e operante nelle Chiese e nelle Comunità ecclesiali non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica grazie agli elementi di santificazione e di verità che sono presenti in esse, la parola “sussiste”, invece, può essere attribuita esclusivamente alla sola Chiesa cattolica, poiché si riferisce appunto alla nota dell’unità professata nei simboli della fede (Credo…la Chiesa “una”); e questa Chiesa “una” sussiste nella Chiesa cattolica[11].
La nozione di «sussistenza» adoperata qui è di tipo primariamente descrittivo, giacché consiste nella «perenne continuità storica» e nella«permanenza» degli elementi costitutivi della Chiesa fondata da Cristo. Tuttavia, queste due caratteristiche vengono poi collegate alla «nota dell’unità», il che ha già un valore più speculativo, almenoin nuce. Questo ci consente di porre che la sussistenza di cui parlaLumen Gentium può anche essere interpretata come ciò per cui la Chiesa cattolica ha l’essere della Chiesa di Cristo in sé, e non in altro, ricollegandoci allora alla nozione tommasiana di subsistere[12]. In effetti, solo la Chiesa cattolica possiede in modo integrale le note definitorie della Chiesa di Cristo, e può proprio per questo ricevere in modo parimenti integrale l’essere che le spetta. Per contro, questo essere soprannaturale non sussiste nelle chiese e comunità non cattoliche, perché non sono soggetti atti a riceverlo nella sua totalità, quindi nella sua unità[13]. In esse, la Chiesa di Cristo è presente in maniera reale, ma frammentaria, e quindi non propriamente sussistente.
La nostra ipotesi, come si vede, è davvero molto semplice, e tiene in un modesto quadro:

La Chiesa

di Cristo
per excessum
nel suo esemplare increato
Santissima Trinità
nella sua fonte creata
pienezza di grazia
nell’anima di Cristo
per proprietatem
nella sua natura propria
Chiesa cattolica
per participationem
nei suoi elementi non integrali
chiese e comunità
separate
La novità di fondo del Vaticano II sarebbe allora il definitivo superamento di un concetto di Chiesa troppo sociologico, a favore di di una visione molto più organica, ed anche, nonostante tanta «ermeneutica della discontinuità»a tutti i livelli dell’agire ecclesiale, molto più ancorata nella trascendenza del proprio mistero[14], perché centrata su una precisa gerarchia di partecipazione. A causa del mistero d’iniquità, questo prospetto molto profondo è stato travisato da due riduzionismi ideologici in contrasto dialettico fra di loro, il «progressismo» e l’«integralismo». Interessantemente, entrambi disconoscono la metafisica della partecipazione, sia nella sua sede filosofica propria che nella sua applicazione ecclesiologica. Il primo assorbisce tendenzialmente la Chiesa nell’immanenza di una coscienza collettiva anonimamente cristiana, negando la verticalità della partecipazione a favore dell’orizzontalità della condivisione. Perciò, non distingue più fra la Chiesa in senso proprio e le comunità in senso derivato, e propende a misurare il Trascendente con i parametri dell’immanente. All’opposto, l’integralismo, principalmente nelle due correnti uscite dalla piena comunione con la Chiesa (sedevacantisti e lefebvriani dopo il 1988), nega ogni consistenza a ciò che abbiamo chiamato lo stato per participationem della Chiesa, ripiegando su un concetto molto univoco dell’appartenenza ecclesiale, che si dà o non si dà, e dimenticando poi, forse suo malgrado, che l’essenza della Ecclesia peregrinans è fatta solo per accogliere in pienezza l’essere che le viene dal suo Signore. Ambedue queste correnti sostengono una «ermeneutica della discontinuità», anche se di segno opposto, e tendono a vedere nel Vaticano II anzitutto un evento storico. E se invece, dietro il clamore della storia, ci fosse l’azione dello Spirito Santo, che permette alla Chiesa di approfondire la propria indole?

[1] ST I, q. 108 a. 5c.
[2] Super Librum De causis, lc. 12.
[3] Cf. Scriptum super libros Sententiarum III, d. 13 q. 2 a. 2 ql.a 2c: «Spiritus Sanctus, qui est ultima perfectio et principalis totius corporis mystici, quasi anima in corpore naturali» ; Collatio in Symbolum Apostolorum, a. 9: «Ecclesia catholica est unum corpus, et habet diversa membra. Anima autem quae hoc corpus vivificat, est Spiritus Sanctus».
[4] Cf. ST III, q. 7 a. 9-11 e 13.
[5] Cf. ST III, q. 8 a. 1.
[6] Cf. ST III, q. 22 a. 1 ad 1 e ad 3; q. 63 a. 3c.
[7] Lumen Gentium, n. 8.
[8] Lumen Gentium, n. 14.
[9] Unitatis Redintegratio, n. 3. Cf. Lumen Gentium, n. 8: «ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica».
[10] Lumen Gentium, n. 8. Formule di stesso valore in Unitatis Redintegratio, n. 4: «in quella unità dell’unica Chiesa che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa, e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica»; Dignitatis Humanae, n. 1: « Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica».
[11] «Responsa ad quaestiones de aliquibus sententiis ad doctrinam de Ecclesia pertinentibus», in Acta Apostolicae Sedis 99 (2007), 604-608.
[12] Cf. ad esempio CG IV, c. 11 n. 13 (Marietti n. 3473): «[Deo] convenit enim ei non esse in aliquo, inquantum est subsistens».
[13] Pensiamo quindi che il lemma subsistit di LG 8 è suscettibile di un’ermeneutica metafisica, a condizione di cogliere la sua analogicità. Perciò non condividiamo la dialettica che B.-D. de La Sougeole instaura fra il senso scolastico (come se tutti gli scolastici avessero avuto lo stesso concetto di subsistere) ed il senso usuale di subsistit in «Vocabulaire et notions à Vatican II et dans le magistère postérieur», in Revue thomiste 110 (2010), 261-263.
[14] In effetti, leggiamo in Lumen Gentium, n. 8: «Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino».

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