[Preparándonos para la próxima canonización del Beato Juan Pablo II, ofrecemos este estupendo artículo de Mons. Lluís Clavell acerca de la presencia de Santo Tomás en algunos de los discursos tomistas del Papa Magno] [1]
1. La filosofia dell’essere e la sua apertura. 2. La storicità della filosofia. 3. La filosofia e la teologia. 4. L’antropologia. 5. Il senso della preferenza del Magistero per Tommaso. 6. Prospettive per l’avvenire.
Tra le molte sollecitudini di Giovanni Paolo II trova un posto di rilievo il suo sforzo per orientare gli studi di filosofia e teologia, e più in generale, per ridare senso cristiano ed autenticamente umano al vasto mondo della cultura. Ne sono una prova i numerosi discorsi rivolti agli uomini di cultura nelle sue visite ai diversi paesi, la Costituzione Apostolica Ex corde Ecclesiae, dedicata alle università cattoliche, e il tono generale delle sue encicliche e del suo magistero.
In questo contesto si può notare che, sin dall’inizio del suo pontificato, ha ribadito spesso le secolari raccomandazioni del Magistero ecclesiastico di studiare ed insegnare la dottrina di San Tommaso d’Aquino, e ha dato degli orientamenti concreti per la loro attuazione nella situazione culturale contemporanea. Non si è trattato di una semplice ripetizione obbligata, ma di una riflessione che sottolinea punti centrali dell’atteggiamento, del metodo e del pensiero di Tommaso, rivisti alla luce delle circostanze d’oggi.
Giovanni Paolo II propone uno studio di San Tommaso attraente ed incisivo, costruttivo e non polemico, portato avanti con eleganza umana ed in contatto con i problemi attuali. Il tono dei discorsi del Santo Padre, alla cui lettura vorrei invitare con questo commento, è quello di una serenità, equilibrio ed ottimismo, capaci d’avviare con uno stile nuovo questo lavoro, superando alcuni difetti, peraltro comprensibili, della rinascita tomistica degli ultimi cent’anni.
I primi due discorsi incentrati direttamente sullo studio dell’Aquinate sono collegati alle celebrazioni del I centenario dell’Enciclica Aeterni Patris. Il primo fu pronunciato nella Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino in Roma il 17 novembre 1979. Il secondo fu rivolto ai partecipanti all’VIII Congresso Tomistico Internazionale il 13 settembre 1980 a Castelgandolfo. Questi due discorsi hanno un interesse particolare, perché sono più impegnativi da un punto di vista programmatico ed anche un po’ più lunghi.
Altri interventi importanti sono le parole rivolte ai partecipanti dei Congressi internazionali seguenti che hanno avuto luogo a Roma: il II Congresso della Società Internazionale Tommaso d’Aquino sull’anima (4 gennaio 1986), il IX Congresso Tomistico Internazionale su San Tommaso come Doctor Humanitatis (29 settembre 1990) e il III Congresso della Società Internazionale Tommaso d’Aquino su “Etica e società contemporanea” (28 settembre 1991).
1. La filosofia dell’essere e la sua apertura
Oltre a questi discorsi, bisogna ricordare che nella Costituzione Apostolica Sapientia Christiana, con l’autorità propria di un ordinamento giuridico degli studi ecclesiastici, vengono opportunamente citate le disposizioni del Concilio Vaticano II su questa materia e l’importante lettera di Paolo VI Lumen Ecclesiae. Ci sono anche riferimenti allo studio di San Tommaso nei numerosi discorsi in occasione delle visite a diverse università pontificie e ad altri centri educativi di diversi paesi. Ovviamente, in molti altri scritti di Giovanni Paolo II è presente la dottrina dell’Aquinate. Basta pensare alle recenti encicliche Veritatis splendor ed Evangelium vitae, o all’imponente lavoro, in questo caso di natura collegiale, costituito dal Catechismo della Chiesa Cattolica. Il ruolo di San Tommaso è stato rilevante, seguendo anche in questo una lunga tradizione.
Giovanni Paolo II coglie il nucleo fondamentale del pensiero filosofico di Tommaso d’Aquino presentandolo come «filosofia dell’essere, cioè dell’actus essendi, il cui valore trascendentale è la via più diretta per assurgere alla conoscenza dell’Essere sussistente e Atto puro, che è Dio. Per tale motivo, questa filosofia potrebbe essere addirittura chiamata filosofia della proclamazione dell’essere, il canto in onore dell’esistente»[2].
L’Aquinate, nel considerare l’essere come oggetto centrale della filosofia, conferisce a questa il carattere di «disciplina irriducibile a qualsiasi altra scienza, ed anzi tale da trascenderle tutte ponendosi nei loro confronti come autonoma e come insieme di esse complessiva in senso sostanziale»[3]. Dalla contemplazione dell’essere, deriva per la filosofia di Tommaso «la possibilità ed insieme l’esigenza di oltrepassare tutto ciò che ci è offerto direttamente dalla conoscenza in quanto esistente (il dato di esperienza) per raggiungere l’ipsum Esse subsistens ed insieme l’Amore creatore, nel quale trova la sua spiegazione ultima (e perciò necessaria) il fatto che potius est esse quam non esse ed in particolare, il fatto che esistiamo noi. Ipsum enim esse — sentenzia l’Angelico — est communissimus effectus, primus et intimior omnibus aliis effectibus; et ideo soli Deo competit secundum virtutem propriam talis effectus (De Potentia q. 3, a. 7)»[4].
Queste parole si possono interpretare anche come un riconoscimento del valore della scoperta dell’originale nozione tommasiana dell’atto di essere da parte di grandi studiosi di questo secolo, tra i quali ritengo doveroso citare Etienne Gilson e Cornelio Fabro, recentemente scomparso. Forse qui si può anche scorgere uno spunto autobiografico, in quanto Giovanni Paolo II ha espresso in più di una occasione la sua personale scoperta ed assimilazione della metafisica già nella sua gioventù[5].
Con queste pennellate forti e nitide viene profondamente descritta la filosofia di Tommaso ed il suo valore. Ma il Santo Padre vede in questa focalizzazione dell’essere un grande vantaggio: uno «spirito di apertura e di universalismo, caratteristiche che è difficile trovare in molte correnti del pensiero contemporaneo. Si tratta dell’apertura all’insieme della realtà in tutte le sue parti e dimensioni, senza riduzionismi o particolarismi (senza assolutizzazioni di aspetti singoli), così come è richiesto dall’intelligenza in nome della verità obiettiva ed integrale, concernente la realtà. Apertura, questa, che è anche una significativa nota distintiva della fede cristiana»[6]. Sotto questa luce, la filosofia di San Tommaso si mostra capace «di accogliere e di “affermare” tutto ciò che appare davanti all’intelletto umano (il dato di esperienza, nel senso più largo) come esistente determinato in tutta la ricchezza inesauribile del suo contenuto»[7].
Giovanni Paolo II insiste molto su questa apertura alla contemplazione dell’essere e trova in essa la chiave per risolvere l’antinomia — per alcuni insolubile — tra la preferenza della Chiesa per Tommaso e l’apprezzamento della pluralità delle culture e del progresso intellettuale. Ecco le sue parole: «Si dovrà forse temere che l’adozione della filosofia di San Tommaso abbia a compromettere la giusta pluralità delle culture ed il progresso del pensiero umano? Un simile timore sarebbe manifestamente vano, perché la “filosofia perenne”, in forza del principio metodologico menzionato, secondo cui tutta la ricchezza di contenuto della realtà ha la sua sorgente nell’actus essendi, ha, per così dire, in anticipo il diritto a tutto ciò che è vero in rapporto alla realtà. Reciprocamente, ogni comprensione della realtà — che effettivamente rispecchi questa realtà — ha pieno diritto di cittadinanza nella “filosofia dell’essere”, indipendentemente da chi ha il merito di aver consentito tale avanzamento nella comprensione ed indipendentemente dalla scuola filosofica alla quale egli appartiene. Le altre correnti filosofiche, pertanto, se le si guardi da questo punto di vista, possono, anzi, debbono essere considerate come alleate naturali della filosofia di San Tommaso, e come partners degni di attenzione e di rispetto nel dialogo che si svolge al cospetto della realtà ed in nome di una verità non monca su di essa. Ecco perché l’indicazione di San Tommaso ai discepoli nell’Epistula de modo studendi: Ne respicias a quo sed quod dicitur, deriva tanto intimamente dallo spirito della sua filosofia»[8].
Molto probabilmente queste considerazioni sull’apertura del realismo di Tommaso non sono una novità, ma sorprende la forza con cui si afferma che il suo pensiero ha il diritto a tutto ciò che è vero, in quanto ha il punto di vista più vasto, è un sapere della totalità. D’altra parte i discepoli dell’Aquinate vengono invitati a rendersi conto dell’ampiezza d’orizzonte del proprio metodo e quindi a considerare le altre correnti filosofiche come alleate naturali e come partners nel dialogo dei filosofi in cerca di una verità sempre più piena. L’approccio metafisico tommasiano non porta a chiudersi nel proprio guscio ma ad aprirsi a tutte le conquiste valide della ricerca umana che in esso trovano il loro posto. Naturalmente questa apertura aiuta anche a scoprire molto presto, quasi per connaturalità, i riduzionismi o le estrapolazioni che non poche volte accompagnano intuizioni importanti del lavoro di ricerca.
2. La storicità della filosofia
Giovanni Paolo II continua queste riflessioni nel suo grande discorso del 13 settembre 1980, in cui ha il coraggio di affrontare i problemi che presenta la nuova consapevolezza acquisita della storicità umana. Questa sensibilità storica che fa scivolare tante persone nello storicismo, come si compone con il realismo?
Certamente «nel sapere filosofico, prima di ascoltare quanto dicono i sapienti dell’umanità, a giudizio dell’Aquinate occorre ascoltare e interrogare le cose. Tunc homo creaturas interrogat, quando eas diligenter considerat: sed tunc interrogata respondent (Super Iob, XII, lec. 1)»[9].
«La filosofia non consiste in un sistema soggettivamente costruito a piacere del filosofo, ma dev’essere il fedele rispecchiarsi dell’’ordine delle cose nella mente umana»[10]. A commento di questa bellissima frase aggiungerei che la filosofia dell’essere non è un sistema. La filosofia come sistema nasce proprio e soprattutto con Descartes e Spinoza. È stato Kierkegaard ad assestare un bel colpo alla filosofia sistematica nella sua forma hegeliana ed il suo gesto non è rimasto inefficace, anche se ancora oggi negli usi accademici, appesantiti dall’inerzia, questa sospettosa espressione “filosofia sistematica”, o anche “teologia sistematica”, continua a circolare.
Tommaso ha il dono di far parlare le cose, di ascoltarle con fedeltà senza schemi preconcetti, di essere particolarmente aderente alla realtà. Giovanni Paolo II si chiede giustamente «se non sia proprio il realismo filosofico che, storicamente, ha stimolato il realismo delle scienze empiriche in tutti i loro settori»[11]. A questa domanda hanno risposto diversi scienziati e filosofi della scienza, da Max Planck a Stanley Jaki, che oggi sottolineano il ruolo ispiratore della visione metafisica della realtà per la ricerca scientifica.
Ma se si tratta di essere fedeli alla voce delle cose reali, può sembrare che queste stiano dicendo da secoli le stesse parole e che quindi, a questo punto della storia umana, la filosofia abbia avuto ormai la possibilità di ascoltare perfettamente quella voce. Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di ripetere ciò che è stato detto, senza possibilità di progresso. Al contrario, Giovanni Paolo II afferma: «Questo realismo, tutt’’altro che escludere il senso storico, crea le basi per la storicità del sapere, senza farlo decadere nella fragile contingenza dello storicismo, oggi largamente diffuso»[12].
Questo senso storico è chiaro in Tommaso d’Aquino, che ammetteva un’unica sapienza assoluta — quella divina — , ma molti sapienti per partecipazione. L’unica Verità risplendente nel creato viene ricevuta in gradi diversi e in modi sempre limitati dalle menti umane. Onde deriva che nella ricerca filosofica parla la realtà, ma non è uno solo il soggetto interrogante. Giovanni Paolo II lo esprime in questo modo: «dopo aver dato la precedenza alla voce delle cose, San Tommaso si mette in rispettoso ascolto di quanto hanno detto e dicono i filosofi, per darne una valutazione, mettendosi a confronto con la realtà concreta»[13]. Si tratta di vedere ciò che c’è di vero e di falso nelle diverse dottrine, tenendo sempre presente che «è impossibile che il conoscere umano e le opinioni degli uomini siano del tutto privi di verità»[14]. Il Santo Padre a questo punto raccoglie diversi testi di Tommaso. Ecco forse il più significativo: «Licet enim aliquae mentes sint tenebrosae, id est sapida et lucida sapientia privatae, nulla tamen adeo tenebrosa est quin aliquid divinae lucis participet […] quia omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est»[15].
Giovanni Paolo II espone l’atteggiamento dell’Aquinate con lo sguardo rivolto verso il lavoro che deve essere fatto oggi in campo intellettuale. Perciò, con la sua sensibilità per i problemi d’oggi, considera che «questa presenza di verità, sia pure parziale e imperfetta e talora distorta, è un ponte, che unisce ogni uomo agli altri uomini e rende possibile l’intesa, quando c’è buona volontà»[16].
Possibilmente con l’intenzione di correggere atteggiamenti nati da una giusta preoccupazione per la verità, ma forse troppo polemici e poco attraenti, che non rendono amabile la dottrina, il Santo Padre sottolinea come Tommaso «ha sempre prestato rispettoso ascolto a tutti gli autori, anche quando non poteva condividerne interamente le opinioni; anche quando si trattava di autori precristiani o non cristiani, come ad esempio gli arabi commentatori dei filosofi greci»[17]. Su questo punto ritorna dieci anni più tardi nel suo discorso del 29 settembre 1990 ai partecipanti al IX Congresso Tomistico internazionale, riprendendo alcune parole di Benedetto XIV nella Costituzione Apostolica Sollicita ac Provida, del 10 luglio 1753: «il Principe Angelico delle Scuole [… ] ha necessariamente urtato le opinioni dei filosofi e dei teologi, che egli era spinto a confutare in nome della verità, ma ciò che completa mirabilmente i meriti di un sì grande Dottore è che non lo si è mai visto disprezzare, ferire o umiliare alcun avversario, ma al contrario li ha trattati tutti con molta bontà e rispetto. In effetti, se le loro parole contenevano qualcosa di duro, di ambiguo, di oscuro, egli l’addolciva e spiegava con una interpretazione indulgente e benevola»[18]. Benedetto XIV addita Tommaso come modello di carità nelle discussioni con gli avversari e Giovanni Paolo II fa sue queste sagge raccomandazioni, aggiungendo: «le estendo a tutta l’ampia area, che si direbbe planetaria, delle relazioni con le culture e le religioni stesse, nell’impegno — oggi quanto mai urgente — dell’evangelizzazione del mondo»[19].
San Tommaso fu «comprensivo verso tutti, senza mancare di essere schiettamente critico, ogni volta che sentiva di doverlo fare e lo fece coraggiosamente in molti casi»[20]. Non si tratta di un atteggiamento confuso o ingenuo, né di rinunciare in modo irenistico alle verità solidamente conquistate che uno possiede, ma di comprendere autenticamente gli altri, di studiare con serietà e serenamente i loro punti di vista.
Tommaso dimostra un grande equilibrio e ottimismo di fronte ai primi filosofi greci, il cui linguaggio è alle volte oscuro e impreciso. In questi casi, cerca di andare oltre l’espressione linguistica, ancora rudimentale, per guardare alla intentio che li guida e li anima. Qualcosa di analogo succede nell’atteggiamento di fronte ai grandi Padri e Dottori della Chiesa: «egli cerca sempre di trovare l’accordo, più nella pienezza di verità che posseggono come cristiani, che nel modo, apparentemente diverso dal suo, con cui si esprimono. È noto come, ad esempio, cerchi di attenuare e quasi di far sparire ogni divergenza con Sant’Agostino, purché si usi il giusto metodo: profundius intentionem Augustini scrutari (De spirit. creaturis, a. 10, ad 8)»[21].
Tali caratteristiche del metodo e dell’atteggiamento dell’Aquinate inducono Giovanni Paolo II a conferirgli il nuovo titolo di Doctor Humanitatis, perché è un maestro a misura di tutta l’umanità. Leggiamo le parole della dichiarazione: «Questo metodo realistico e storico, fondamentalmente ottimistico ed aperto, fa di San Tommaso non soltanto il Doctor Communis Ecclesiae, come lo chiama Paolo VI nella sua bella Lettera Lumen Ecclesiae, ma il Doctor Humanitatis, perché sempre pronto e disponibile a recepire i valori umani di tutte le culture»[22].
Giovanni Paolo II apprezza molto la massima cura di Tommaso «di collocarsi e mantenersi dalla parte della verità universale, oggettiva e trascendente, di servirla disinteressatamente, di cercarla dovunque se ne trovasse anche solo un riflesso, convinto com’era che omne verum a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est (cf. PL 191, 1651; 17, 258; I-II, q. 109, a. 1, ad 1)»[23]. Come si può vedere da tutte queste citazioni, il Santo Padre concede una grande importanza a questo metodo anche per i problemi attuali: per l’evangelizzazione, per il lavoro missionario, per i rapporti ecumenici e interreligiosi, per il confronto con tutte le culture antiche e nuove.
3. La filosofia e la teologia
Giovanni Paolo II loda la profonda concezione di San Tommaso sulla distinzione e la convergenza tra filosofia e teologia: «La verità filosofica e quella teologica convergono nell’unica verità. La verità della ragione risale dalle creature a Dio; la verità della fede discende direttamente da Dio all’uomo. Ma questa diversità di metodo e di origine non toglie la loro fondamentale unicità, perché identico è l’Autore sia della verità, che si manifesta attraverso la creazione, sia della verità, che viene comunicata personalmente all’uomo attraverso la sua Parola. Ricerca filosofica e ricerca teologica sono due diverse direzioni di marcia dell’unica verità, destinate ad incontrarsi, non a scontrarsi, sulla medesima via, per aiutarsi. Così la ragione illuminata, irrobustita, garantita dalla fede diviene una fedele compagna della fede stessa e la fede allarga immensamente l’orizzonte limitato della ragione umana»[24]. Parole bellissime, che sottolineano molto opportunamente la loro unità e armonia, perché da qualche secolo c’è stata troppa separazione tra sapienza naturale e soprannaturale. Non si tratta certamente di una novità, sebbene gli accenti sembrino rivelare anche in questo caso il modo in cui il Santo Padre da molti anni vive interiormente quest’unità di fede e ragione.
Le due sapienze hanno in comune un fondamentale realismo: fedeltà alla voce delle cose, in filosofia; fedeltà alla voce della Chiesa, in teologia. «È sua norma, cui mai venne meno, il principio: Magis standum est auctoritati Ecclesiae […] quam cuiuscumque Doctoris (Summa Theologiae, II-II, q. 10, a. 12)»[25]. In entrambi i casi si tratta di essere fedeli a una voce che viene da Dio, tramite l’essere partecipato conosciuto con l’intelligenza umana, in un caso, e tramite la rivelazione custodita dalla Chiesa, nell’altro.
Una volta sottolineata la convergenza, l’armonia, i punti in comune, bisogna non dimenticare le differenze. Giovanni Paolo II ricorda opportunamente che «qualsiasi filosofia, in quanto è un prodotto dell’uomo, ha i limiti dell’uomo»[26]. Con grande equilibrio e realismo, il Santo Padre vede anche la filosofia di Tommaso limitata, senza con questo nulla togliere ai suoi grandi meriti: «Anche la migliore filosofia, quella di stile tomista, che Paolo VI ha così ben definito come “filosofia naturale della mente umana”, docile ad ascoltare e fedele nell’esprimere la verità delle cose, è sempre condizionata dai limiti dell’intelligenza e del linguaggio umano»[27].
Penso che queste parole avranno contribuito ad eliminare certe influenze razionalistiche che non pochi discepoli attuali dell’Aquinate riconoscono nella scolastica tomistica degli ultimi cent’anni. Vorrei anche notare che il Santo Padre non usa qui il termine tomismo, ma “filosofia di stile tomista”, in coerenza con quanto ho riportato sopra sull’apertura del pensiero e del metodo di Tommaso. Forse con quest’espressione si vuole riconoscere che all’interno della fedeltà al metodo e ai capisaldi della dottrina dell’Aquinate possono convivere diverse linee e orientamenti di ricerca, ed evitare la costituzione di una scuola o gruppo isolato, cioè eliminare ogni ristrettezza di vedute nello studio della dottrina di colui che viene dichiarato dottore per tutta l’umanità.
Giovanni Paolo II vuole offrire un’immagine fedele della filosofia di Tommaso, perché tante volte viene guardata in modo riduttivo, come intellettualistica. Da una parte è interessante ricordare che «la retta filosofia innalza l’uomo a Dio»[28]. «Verus philosophus est amator Dei», diceva Agostino. San Tommaso lo riecheggia: «Fere totius philosophiae consideratio ad Dei cognitionem ordinatur»[29]. Ma la conoscenza autentica della verità, porta al suo amore e a desiderare con un Amore totale la Verità Assoluta e Piena, che è Dio. Giovanni Paolo II vuole giustamente respingere il falso ritratto di Tommaso come un freddo intellettualista e ricorda che lui, non meno di Agostino, Bernardo e Buonaventura è «un cantore del primato della carità»[30].
4. L’antropologia
Secondo Giovanni Paolo II, un motivo importante dell’attualità dell’Aquinate è «il suo altissimo senso dell’uomo»[31]. Nei discorsi che commentiamo, il Santo Padre si compiace di citare alcune espressioni particolarmente felici di Tommaso: la persona è perfectissimum in tota natura[32]. L’uomo «raccoglie, unifica ed eleva in sé tutto il mondo infraumano, come il mare raccoglie tutte le acque dei fiumi che vi si immettono»[33]. «Nel medesimo prologo egli definisce l’uomo come l’orizzonte del creato, nel quale si congiungono il cielo e la terra; come vincolo del tempo e dell’eternità; come sintesi del creato»[34].
In un altro discorso, il Santo Padre si sofferma sulla breve espressione ipse est sibi providens[35], in quanto vede in essa la grandezza dell’uomo: «L’uomo è padrone di se stesso, può provvedere a sé e progettare il proprio destino. Questo fatto, tuttavia, considerato in se stesso, non decide ancora della grandezza dell’uomo e non garantisce la pienezza della sua autorealizzazione personale. Decisivo è solamente il fatto che l’uomo si sottometta nel suo agire alla verità, che egli non determina ma scopre soltanto nella natura, datagli insieme con l’essere»[36]. La dignità dell’uomo si manifesta in modo particolare nella libertà, ma in una libertà che ha come guida e norma la verità.
Il II Congresso Internazionale della Società Internazionale Tommaso d’Aquino, alla quale appartiene Giovanni Paolo II fin dalla sua fondazione nel 1974, ha fornito al Santo Padre l’occasione per esprimersi sulla costituzione metafisica dell’uomo, dato che il tema del Congresso era l’anima umana. Il Romano Pontefice afferma, rimandando ad alcuni testi tommasiani, che «è precisamente nell’anima che si trova quell’“immagine di Dio” che rende l’uomo “simile” al Creatore; e quindi è grazie all’anima che esiste nell’uomo — creatura finita — una certa quale infinità, nelle sue aspirazioni, se non proprio nei fatti»[37]. Con visione metafisica, siamo riportati al principio vitale spirituale dell’uomo, l’anima, che è stata quasi dimenticata in questi ultimi decenni caratterizzati dal desiderio di voler evitare ogni residuo di dualismo antropologico.
Giovanni Paolo II affronta subito il problema del dualismo. Ribadisce la necessità di affermare, d’accordo con l’insegnamento biblico, l’unità psicofisica dell’uomo e ricorda che la medesima esigenza è presente in San Tommaso. Quest’esigenza «fa sì che egli “abbia tralasciato nella sua antropologia metafisica (ed insieme teologica) la concezione filosofica di Platone sul rapporto tra anima e corpo e si sia avvicinato alla concezione di Aristotele”. L’uomo soffre certamente, di fatto — e S. Tommaso lo riconosce — di una divisione interiore tra la “carne” e lo “spirito”. Tale interno e doloroso contrasto, però, secondo l’Aquinate, è “contro natura”, perché conseguenza del peccato, mentre l’esigenza profonda dell’uomo, che viene soddisfatta dalla vita della grazia, è quella dell’unità e dell’armonia tra la vita fisica e quella spirituale»[38].
Se l’Aquinate, seguendo peraltro gli allora recenti insegnamenti del Concilio Lateranense IV, parla di composizione e di distinzione reale tra anima e corpo, non si tratta di dualismo, perché — ricorda Giovanni Paolo II — «uno solo è il suo essere: Unum esse substantiae intellectualis et materiae corporalis. Unum esse formae et materiae, dove l’anima è “forma” e il corpo “materia”»[39]. La persona umana è un soggetto composto, ma non per questo diviso, poiché c’è in esso un unico atto di essere personale, che lo rende un tutto unitario proprio sin dalla radice, la quale è appunto l’essere.
Il Santo Padre fa presente che «questa dottrina, come pure quella dell’immortalità dell’anima umana, venne per così dire ribadita da due successivi Concili ecumenici (Lateranense IV e V), per restare poi patrimonio della fede cattolica»[40]. Inoltre aggiunge, in riferimento ai nostri giorni, che questa dottrina antropologica dell’unità di anima e di corpo è stata ripresa dal Concilio Vaticano II, «il quale pertanto può trovare nel pensiero del Dottor Angelico un interprete particolarmente appropriato»[41].
Fin qui la considerazione tommasiana della natura umana. Ma Giovanni Paolo II tiene a mettere in luce come Tommaso abbia «una spiccata sensibilità — tanto cara ai moderni — per la condizione concreta, storica della persona umana, per la sua — diremmo oggi — “situazione esistenziale” di creatura ferita dal peccato e redenta dal Sangue di Cristo; per l’originalità e la dignità della singola persona; per il suo aspetto dinamico e morale; per la “fenomenologia”, insomma — diremmo ancora con un vocabolo del nostro tempo — dell’esistenza umana»[42]. Infatti la nota affermazione di San Tommaso, ricordata anche sopra, che la realtà più perfetta di tutta la natura è la persona, va riferita non all’uomo in generale, ma al singolo, all’ipsum individuum generatum, alla persona concreta[43].
Mi sembra molto importante il motivo che il Santo Padre fornisce come spiegazione della stima di Tommaso per la realtà personale concreta e singola. Il motivo si trova nella «sua metafisica, nella quale la massima perfezione è data dall’essere inteso come “atto di essere” (esse ut actus). Ora, la persona, ancor più della “natura” e dell’“essenza”, mediante l’atto d’essere che la fa sussistere, s’innalza appunto al vertice della perfezione dell’essere e della realtà, e quindi del bene e del valore»[44]. La metafisica, come contemplazione dell’essere dell’ente per partecipazione e dell’Atto di Essere sussistente, lungi dall’allontanarci dal concreto c’immerge in esso, per guardarlo anche dal suo fondamento. Per questo «l’antropologia di San Tommaso unisce sempre strettamente la considerazione della “natura” e quella della “persona”, in modo tale che la natura fonda i valori oggettivi della persona, e questa dà un significato di concretezza ai valori universali della natura»[45].
Oltre a questi punti piuttosto filosofici, Giovanni Paolo II tiene presente la convergenza di teologia — in particolare della cristologia — e filosofia nella trattazione tommasiana dei problemi antropologici: «Non è forse la Cristologia il fondamento e la prima condizione per l’elaborazione di una antropologia più completa, secondo le esigenze dei nostri tempi? Non dobbiamo, infatti, dimenticare che Cristo soltanto “svela pienamente l’uomo all’uomo”. San Tommaso ha inondato altresì di luce razionale, purificata e sublimata dalla fede, i problemi concernenti l’uomo: la sua natura creata ad immagine e somiglianza di Dio, la sua personalità degna di rispetto fin dal primo istante del suo concepimento, il destino soprannaturale dell’uomo nella visione beata di Dio Uno e Trino»[46].
Il III Congresso Internazionale della Società Internazionale Tommaso d’Aquino, tenutosi a Roma nel settembre 1991 sul tema “Etica e società contemporanea”, offrì di nuovo un’occasione al Santo Padre per riflettere su un altro aspetto della dottrina antropologica dell’Aquinate a Lui particolarmente cara: la dimensione morale dell’uomo. Si tratta di un argomento molto attuale, a cui Tommaso ha lavorato molto: «Infatti l’Aquinate, Dux Studiorum, ha un valore speciale nel campo morale, sia per il suo contributo dottrinale, sia per il metodo da lui adottato. Sapete come il Concilio Vaticano II si sia riferito a Tommaso come ad una guida sicura per il lavoro nella teologia dogmatica (OT, 16). Ma il suo merito non è minore nel campo della teologia morale»[47].
Come dimostrazione di questo, il Santo Padre afferma che con la Summa Theologiae, Tommaso «dà inizio ad una nuova era nella teologia morale, poiché è riuscito ad incorporare il pensiero etico classico in una nuova antropologia cristiana e ad inculturare la morale in una visione teologica»[48]. Certamente si tratta di una affermazione non tanto usuale. Perciò, Giovanni Paolo II aggiunge: «Questo grande servizio alla morale non è stato ancora evidenziato in modo sufficiente»[49].
La chiave del contributo di Tommaso alla morale si trova nel suo approfondimento sulla natura dell’atto umano, che si caratterizza per l’orientamento libero verso un fine: «L’uomo diventa soggetto morale, prout est voluntarie agens propter finem (In Ethic. prol., n. 3)»[50]. In questi ultimi decenni c’è stato un grande interesse per comprendere meglio la natura dell’agire e sono nate molteplici “teorie dell’azione”, sotto le angolature di diverse scienze: psicologia, sociologia, antropologia, filosofia del linguaggio, ecc. Nelle opere dell’Aquinate si trova una dottrina in cui l’agire umano scaturisce dall’essere personale e in cui è dominante la dimensione morale. Così Giovanni Paolo II può dire: «La dignità entitativa dell’uomo, imago Dei, si rispecchia nell’ordine morale dell’uomo secundum quod ipse est suorum operum principium, quasi liberum arbitrium habens et suorum operum potestatem» (S.Th. III, prol.)»[51].
La prevalenza dell’ordine morale sugli altri ordini dell’attività umana è dovuta al fatto che negli altri ordini «l’uomo tende verso fini particolari, invece l’ordine morale è l’ordine dell’uomo in quanto tale: In moralibus ordinatur (homo) ad finem communem totius vitae humanae (S.Th. I-II, 21, 2 ad 2)»[52]. Si tratta quindi del fine ultimo, al quale gli altri fini devono venire subordinati e dal quale deriva l’unità della vita umana e il suo carattere trascendente.
Nel IX Congresso Tomistico Internazionale, promosso dalla Pontificia Accademia di San Tommaso nel settembre 1990, sulla figura e il valore dell’Aquinate come Doctor Humanitatis, Giovanni Paolo II sviluppò altri aspetti dell’antropologia tommasiana, che riguardano il suo inquadramento generale. Concretamente il Santo Padre sottolinea che Tommaso è insieme Doctor Divinitatis e Doctor Humanitatis, perché vede l’uomo in quanto «è opera delle mani di Dio, porta in sé l’immagine di Dio e tende per natura ad una sempre più piena somiglianza con Dio»[53]. L’antropologia di San Tommaso ha una «dimensione teologica e teocentrica»[54] che si manifesta anche in tutta l’etica e la teologia morale, le quali considerano il motus rationalis creaturae in Deum[55].
L’antropologia tommasiana illumina il rapporto tra ragione e fede. La fede è soprannaturale, ma non per questo irrazionale, bensì comporta «una propria razionalità o intellettualità, in quanto è atto dell’intelligenza umana (cf. II-II, q. 4, a. 2) ed è, a suo modo, un esercizio di pensiero, sia nella ricerca che nell’assenso (cf. II-II, q. 2, a. 1). L’atto di fede nasce così dalla libera elezione dell’uomo ragionevole e consapevole come un rationabile obsequium»[56]. In questo rapporto tra ragione e fede, natura e grazia, l’Aquinate ha molto presente la situazione storica dell’umanità, che porta in sé le conseguenze del peccato originale sia nell’ordine conoscitivo che in quello pratico. «La conseguenza di ciò è che i vari aspetti della vita umana trovano il più solido fondamento e la più sicura garanzia di autenticità nell’ordine soprannaturale: in particolare l’amore e la amicizia (cf. I, q. 1, a. 8, ad 2), la socialità e la solidarietà, il diritto e l’ordinamento giuridico-politico, e in cima a tutto la libertà che non è reale in nessun campo, se non si fonda sulla verità»[57].
5. Il senso della preferenza del Magistero per Tommaso
Non si può affrontare questo argomento senza riferirsi all’Enciclica Aeterni Patris, e abbiamo la fortuna che Giovanni Paolo II si sia potuto esprimere al riguardo in occasione del centenario di questo celebre documento. Come si sa, negli ultimi anni più di uno storico ha interpretato quell’enciclica di Leone XIII in chiave più o meno politica, avvicinandosi ad essa da un’ottica riduttiva. Vediamo, invece, il giudizio di Giovanni Paolo II sulla sua autentica finalità: «È fuori dubbio che lo scopo primario, al quale mirò il grande Pontefice compiendo quel passo di storica importanza, fu di riprendere e sviluppare l’insegnamento sui rapporti tra fede ragione, proposto dal Concilio Vaticano I, al quale egli, come Vescovo di Perugia, aveva preso attivissima parte»[58]. Com’è noto, la Costituzione dogmatica Dei Filius dedicò particolare attenzione a questo argomento a causa del conflitto tra razionalismo e fideismo, esistente all’interno della cultura cristiana nel XIX secolo.
«Il persistere dei violenti attacchi da parte dei nemici della fede cattolica e della retta ragione indusse Leone XIII a ribadire ed ulteriormente sviluppare nella sua Enciclica la dottrina del Vaticano I»[59]. In questo quadro viene proposto Tommaso d’Aquino come «un modello incomparabile di ricercatore cristiano»[60] per i cultori di filosofia e di teologia. Dopo il Vaticano I, «era ormai il tempo di imprimere un nuovo corso agli studi all’interno della Chiesa. Leone XIII s’accinse, con lungimiranza, a questo compito, ripresentando — è questo il senso di instaurare (la filosofia cristiana nelle scuole cattoliche) — il perenne pensiero della Chiesa, nella limpida e profonda metodologia dell’Aquinate»[61].
Giovanni Paolo II ribadisce la linea di Papa Pecci: «Dopo cento anni di storia del pensiero, noi siamo in grado di misurare quanto ponderate e sagge fossero tali valutazioni. Non senza ragione, quindi, i Sommi Pontefici, successori di Leone XIII e lo stesso Codice di Diritto Canonico le hanno riprese e fatte proprie. Anche il Concilio Vaticano II prescrive, come sappiamo, lo studio e l’insegnamento del patrimonio perenne della filosofia, del quale una parte insigne è costituita dal pensiero del Dottore Angelico»[62].
Dopo aver citato le note disposizioni conciliari contenute in Optatam Totius, 15 e in Gravissimum Educationis, 10, il Santo Padre conclude: «Le parole del Concilio sono chiare: nello stretto collegamento col patrimonio culturale del passato, ed in particolare col pensiero di San Tommaso, i Padri hanno visto un elemento fondamentale per un’adeguata formazione del clero e della gioventù cristiana e, quindi, in prospettiva, una condizione necessaria per il vagheggiato rinnovamento della Chiesa. Non è il caso che ribadisca qui la mia volontà di dare piena esecuzione alle disposizioni conciliari, dal momento che in tal senso mi sono esplicitamente pronunciato già nell’Omelia del 17 ottobre 1978, all’indomani della mia elezione alla Cattedra di Pietro e poi tante volte in seguito»[63].
Non è difficile scoprire qui qualche analogia tra i pontificati di Leone XIII e di Giovanni Paolo II. La Provvidenza divina ha affidato ad entrambi il difficile compito di mettere in pratica le decisioni di un Concilio ecumenico finito poco prima, anche se si può affermare che il compito è più vasto e più difficile nel caso del Vaticano II. Per quel che riguarda il nostro argomento, il Santo Padre poteva dire già dopo quasi due soli anni dalla sua elezione che «fin dagli inizi del mio Pontificato non ho lasciato passare occasione propizia senza richiamare la eccelsa figura di San Tommaso, come ad esempio nella mia visita alla Pontificia Università “Angelicum” ed all’Institut Catholique di Parigi, nell’allocuzione all’UNESCO e, in modo esplicito o implicito, nei miei incontri con i Superiori, Docenti ed alunni delle Pontificie Università Gregoriana e Lateranense»[64]. Potremmo aggiungere ancora altre occasioni. Per esempio, in una delle sue visite pastorali della domenica alle parrocchie dell’Urbe, durante le quali viene accolto con tanto calore e gratitudine dai fedeli romani, Giovanni Paolo II apriva così il suo cuore ai sacerdoti e ai religiosi della parrocchia di San Pio V: «Molti naufragi nella fede e nella vita consacrata, passati e recenti, e molte situazioni attuali di angustia e di perplessità, hanno all’origine una crisi di natura filosofica. Bisogna curare con estrema serietà la propria formazione culturale. Il Concilio Vaticano II ha insistito sulla necessità di ritenere sempre San Tommaso d’Aquino come maestro e dottore, perché solo alla luce della “filosofia perenne”, si può fondare l’edificio così logico ed esigente della Dottrina cristiana. Leone XIII, di venerata memoria, nella sua celebre e sempre attuale Enciclica “Aeterni Patris”, di cui celebriamo quest’anno il centenario, ribadì ed illustrò mirabilmente la validità del fondamento razionale per la fede cristiana»[65].
Dieci anni dopo, nel settembre 1990, Giovanni Paolo II risponde a una questione che non pochi si sono posti a proposito delle raccomandazioni magisteriali attuali di studiare l’Aquinate: «Il fatto che nei testi conciliari e postconciliari non si sia insistito sull’aspetto vincolante delle disposizioni circa la sequela di San Tommaso come “guida degli studi” — come ebbe a chiamarlo Pio XI nell’Enciclica Studio rum Ducem — è stato da non pochi interpretato come facoltà di disertare la cattedra dell’antico Maestro per aprirsi ai criteri del relativismo e del soggettivismo nei vari campi della dottrina sacra»[66]. Il Papa toccava un problema che in gran parte era diventato una prassi quasi scontata.
Giovanni Paolo II risponde in due momenti. Nel primo difende la sana libertà di ricerca e il legittimo pluralismo nel suo giusto senso. Ecco le sue parole: «Senza dubbio il Concilio volle incoraggiare lo sviluppo degli studi teologici e riconoscere ai loro cultori un legittimo pluralismo ed una sana libertà di ricerca, ma a condizione di mantenersi fedeli alla verità rivelata, contenuta nella Sacra Scrittura, trasmessa nella Tradizione cristiana, interpretata autorevolmente dal Magistero della Chiesa e teologicamente approfondita dai Padri e dai Dottori, soprattutto da San Tommaso»[67].
In un secondo momento, il Santo Padre spiega il modo in cui oggi la Chiesa esprime questa raccomandazione: «Quanto alla sua funzione di guida negli studi, la Chiesa, nel ribadirla, ha preferito far leva, più che su direttive di indole giuridica, sulla maturità e saggezza di coloro che intendono accostarsi alla Parola di Dio con sincero desiderio di scoprire e conoscere sempre più a fondo il suo contenuto, comunicarlo agli altri, specialmente ai giovani affidati al loro insegnamento»[68].
Su questa stessa linea, Giovanni Paolo II ha voluto precisare diverse volte il tipo di preferenza concesso dalla Chiesa al metodo ed alla dottrina di Tommaso: «Tutt’altro che preferenza esclusiva, si tratta di una preferenza esemplare»[69]. In altri discorsi, ha parlato anche di «favore preferenziale»[70], di «un modello incomparabile di ricercatore cristiano» e di «primato pedagogico»[71].
In coerenza con la volontà di avere fiducia nella maturità e saggezza degli studiosi per apprezzare l’insegnamento di Tommaso, il Santo Padre ha esposto le qualità di questo Dottore della Chiesa, per cui è meritevole di quella preferenza esemplare da parte del Magistero ecclesiastico. Vediamone alcune: 1) «aver professato un pieno ossequio della mente e del cuore alla divina Rivelazione […] esteso ai Santi Padri e Dottori, quali testimoni concordi della Parola rivelata»[72]; 2) «il grande rispetto da lui professato per il mondo visibile, quale opera, e quindi vestigio e immagine di Dio Creatore»[73]; 3) «la sincera e totale adesione, da lui sempre conservata, nei confronti del Magistero della Chiesa», senza riservarlo «al solo Magistero solenne ed infallibile dei Concili e dei Sommi Pontefici. Fatto questo edificantissimo, e degno anche oggi di essere imitato da quanti desiderano di conformarsi alla Costituzione dogmatica Lumen Gentium»[74]; 4) questa fedeltà viene chiamata anche “ecclesialità”: «La profonda “ecclesialità” del pensiero tomistico lo rende libero da ristrettezze, caducità e chiusure, ed estremamente aperto e disponibile ad un indefinito progresso, tale da assimilare ogni nuovo autentico valore emergente nella storia di qualunque cultura»[75]; 5) «il vivissimo senso di fedeltà alla verità, che può anche dirsi realismo. Fedeltà alla voce delle cose create, per costruire l’edificio della filosofia; fedeltà alla voce della Chiesa per costruire l’edificio della teologia»[76]; 6) oltre a queste caratteristiche vengono elencate: «la completezza, l’equilibrio, la profondità, la limpidezza dello stile»[77].
La preferenza concessa all’Aquinate non riguarda soltanto il metodo, lo spirito e l’atteggiamento necessari per lo studio della filosofia e della teologia, ma abbraccia anche i suoi principi e la sua dottrina. Infatti, si tratta di una «preferenza data dalla Chiesa al metodo ed alla dottrina del Dottore Angelico»[78]. In realtà sono due elementi connessi, perché le «doti accennate, che hanno accompagnato tutto lo sforzo speculativo di San Tommaso, sono anche quelle che ne hanno garantito l’ortodossia dei risultati»[79]. Grazie alla fedeltà alla voce della creazione ed alla voce della Chiesa, Tommaso elaborò un pensiero che costituisce una «parte insigne» del patrimonio perenne della filosofia[80].
6. Prospettive per l’avvenire
Guardando al futuro, Giovanni Paolo II afferma che «San Tommaso ha segnato una via, che può e deve essere portata avanti ed aggiornata, senza tradirne lo spirito e i principi di fondo, ma tenendo anche conto delle conquiste scientifiche moderne»[81]. In queste linee si riassume l’orientamento generale proposto dal Santo Padre per un conveniente rinnovamento degli studi tomisti. Ma vediamo più concretamente alcuni suggerimenti:
a) la collaborazione tra scienza e filosofia: «possono e debbono mutuamente collaborare purché l’una e l’altra rimangano fedeli al proprio metodo. La filosofia può illuminare la scienza e liberarla dai suoi limiti, come, a sua volta, la scienza può proiettare nuova luce sulla stessa filosofia ed aprirle nuove vie»[82];
b) questo compito sembra molto necessario non solo per il rapporto della filosofia della natura con le scienze del mondo fisico, ma anche per le relazioni della metafisica, dell’antropologia e dell’etica con le scienze umane. Su questo punto il pensiero di Giovanni Paolo II, espresso in una lettera del Segretario di Stato al Congresso su “Metafisica e scienze umane” tenutosi a Bergamo nel settembre 1980, è che «si configura l’urgenza insostituibile di un dialogo fecondo tra la metafisica e le scienze dell’uomo […] La prima parola sull’uomo è offerta dalla scienza — la fenomenologia antropologica precede l’antropologia filosofica — come concreto punto di partenza, ma l’ultima parola resta riservata alla metafisica, la quale, mentre riceve dalle discipline scientifiche un più depurato dato di base, offre ad esse un inquadramento sintetico ed integrativo, aprendole alla prospettiva dei valori e dei fini. Le scienze umane sono quindi indispensabili per una metafisica aggiornata, ma esse sono assolutamente inabili a rispondere alla questione posta all’uomo dalla singolare esperienza costitutiva del suo essere, quella cioè del contrasto insuperabile tra la finitezza-contingenza e l’illimitata trascendenza»[83];
c) in continuità con il punto precedente, il Santo Padre propone che vengano studiati con più profondità i temi antropologici, perché «rimane ancora molto da indagare in questo campo, con l’aiuto delle riflessioni stesse offerte dalle correnti filosofiche contemporanee»[84];
d) in modo particolare c’è un grande bisogno di sviluppare i principi della filosofia e della teologia di San Tommaso nel settore morale, ed anche concretamente nell’ambito sociale «tenendo lo sguardo attento ai segni dei tempi, alle esigenze di maggiore organicità e penetrazione, secondo le direttive del Vaticano II, e dalle correnti di pensiero del mondo contemporaneo, per non pochi aspetti diverse da quelle dei tempi di San Tommaso ed anche del periodo, in cui è stata emanata da Leone XIII l’Enciclica Aeterni Patris»[85]; è difficile esagerare l’importanza di questo compito, perché la separazione della morale rispetto alla dogmatica ed alla metafisica ha avuto effetti molto negativi;
e) già nei punti precedenti appare la ripetuta insistenza di Giovanni Paolo II di lavorare in modo tale che «il metodo e la dottrina dell’Aquinate siano posti in continuo contatto e in sereno dialogo con i complessi fermenti della cultura contemporanea, nella quale viviamo e siamo immersi»[86];
f) il Santo Padre è convinto dell’universalità del “Dottore Comune” e perciò dice che «è compito precipuo dei discepoli dell’Aquinate […] saper cogliere e conservare questa “anima” universale e perenne del pensiero tomistico, e farla rivivere oggi in un dialogo ed in un confronto costruttivo con le culture contemporanee, sì da poterne assumere i valori, confutandone gli errori»[87];
g) con la sua massima cura «di collocarsi e mantenersi dalla parte della verità universale, oggettiva e trascendente, di servirla disinteressatamente, di cercarla dovunque se ne trovasse anche solo un riflesso […] ha tracciato un metodo di lavoro missionario che oggi è sostanzialmente valido anche sul piano dei rapporti ecumenici e interreligiosi, oltre che nel confronto con tutte le culture antiche e nuove»[88].
Come si vede, il Romano Pontefice offre un programma ambizioso ed esigente, pieno di sfumature che meritano una riflessione rivolta all’impegno in un lavoro autenticamente universitario in campo ecclesiastico e civile, importante per dare profondità alla cultura attuale.
[1] Publicado en Acta Philosophica vol. 5 (1996) fasc. 1, 5-20.
[2] Indicherò i riferimenti con la data del discorso e il numero della sua parte: 17.11.79, n. 6.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Cfr. il libro intervista di A. Frossard, Non abbiate paura, Rusconi, Milano 1983.
[6] 17.11.79, n. 6.
[7] Ibidem.
[8] 17.11.79, n. 7.
[9] 13.9.80, n. 3.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Ibidem.
[13] Ibidem.
[14] Ibidem.
[15] Super Iob, I, lect. 3, n. 103.
[16] 13.9.80, n. 3.
[17] Ibidem.
[18] Cit. in discorso 29.9.90, n. 6.
[19] 29.9.90, n. 7.
[20] 13.9.80, n. 3.
[21] Ibidem.
[22] Ibidem.
[23] 29.9.90, n. 8.
[24] 13.8.80, n. 4.
[25] Ibidem.
[26] Ibidem.
[27] Ibidem.
[28] Ibidem.
[29] Contra Gentiles, I, 4, n. 23.
[30] 13.8.80, n. 4.
[31] 13.9.80, n. 5.
[32] STh, I, q. 29, a. 3.
[33] 1 3.9.80, n. 5; cfr. In III Sent, prol.
[34] Ibidem.
[35] C.G., III, 81.
[36] 17.11.79, n. 9.
[37] 4.1.86, n. 2; i rimandi sono a: S.Th, I, q. 3, a. 1, ad 2; q. 93, a. 2, c; a. 4, c. e ad 1; a. 6, c. e ad 2; I-II, prol.; In I Sent., d. 3, q. 3, o.; In II Sent., d. 16, q. 3, o.; d. 40, q. 1, a. 1, ad 1; Contra Gentiles, IV, c. 26; De Verit., q. 10, a. 7, c.
[38] Ibidem, n. 3.
[39] Ibidem.
[40] Ibidem, n. 3.
[41] Ibidem.
[42] Ibidem, n. 4.
[43] Cf. Contra Gentiles, IV, c. 44.
[44] 4.1.86, n. 2.
[45] Ibidem, n. 5.
[46] 17.11.79, n. 9.
[47] 28.9.91, n. 3.
[48] Ibidem.
[49] Ibidem.
[50] Ibidem.
[51] Ibidem.
[52] Ibidem.
[53] 29.9.90, n. 2.
[54] Ibidem.
[55] S.Th, I-II, prol.
[56] 29.9.90, n. 3.
[57] Ibidem, n. 4.
[58] 17.11.79, n. 3.
[59] Ibidem.
[60] Ibidem, n. 4.
[61] 13.9.80, n. 2.
[62] 17.11.79, n. 5.
[63] Ibidem, n. 5.
[64] 13.9.80, n. 1.
[65] 28.10.79, n. 1.
[66] 29.9.90, n. 5.
[67] Ibidem.
[68] Ibidem.
[69] 1 3.9.80, n. 2.
[70] 17.11.79, n. 5.
[71] Ibidem, n. 4.
[72] 17.11.79, n. 4.
[73] Ibidem.
[74] Ibidem.
[75] 4.1.86, n. 6.
[76] 13.9.80, n. 2.
[77] Ibidem
[78] 13.9.80, n. 2.
[79] 17.11.79, n. 5.
[80] Cf. ibidem.
[81] 13.9.80, n. 6.
[82] 13.9.80, n. 6.
[83] Insegnamenti di Giovanni Paolo II, 1979, pp. 541-545.
[84] 17.11.79, n. 6.
[85] 13.9.80, n. 6.
[86] Ibidem, n. 7.
[87] 5.1.86, n. 6.
[88] 29.9.90, n. 8.
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