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Conferencia en la abadía de Fossanova (2/10/2023).
En esta conferencia el P. Gianluca Trombini, en el contexto del trienio de celebraciones en honor de Santo Tomas de Aquino, presenta tres puntos claves que cada estudioso del Aquinate tendría que considerar en su actividad académica:
- el ejemplo de santidad del Doctor Angélico
- la importancia de seguir las líneas del «Tomismo Esencial» señaladas por el padre Cornelio Fabro, para el estudio, la comprensión y difusión del pensamiento de Santo Tomas
- la actual necesidad de profundizar la que el padre Fabro ha llamado «subjetividad constitutiva», que se encuentra en pleno acuerdo con la concepción tomista del sujeto espiritual libre, diferenciándola de la «subjetividad trascendental» del pensamiento moderno.
EL AUTOR: El P. Gianluca Trombini, sacerdote del Instituto del Verbo Encarnado, obtuvo el Doctorado en Filosofía por la Pontificia Universidad Urbaniana. A partir del 2013 es director del Proyecto Cultural Cornelio Fabro y responsable de la cura y edición de las Obras Completas del mismo filósofo. Es actualmente docente ordinario de Metafísica en el Seminario Internacional «San Vitaliano Papa» del Instituto del Verbo Encarnado en Italia y colabora como profesor en otras instituciones.
MATERIAL:
– Texto de la conferencia:
(Italiano – Idioma original) San Tommaso, il tomismo essenziale e la soggettività costitutivaCi troviamo nel triennio di commemorazioni in onore di San Tommaso d’Aquino. Come sappiamo è ricorso lo scorso 18 luglio l’anniversario dei 700 anni della sua canonizzazione, avvenuta nel 1323; il 7 marzo del prossimo anno ricorrerà l’anniversario dei 750 anni della sua morte, e nel 2025 ricorrerà l’ottavo centenario della nascita. Provvidenzialmente, è in questo contesto temporale – ma anche in questo luogo fisico, con tutto ciò che significa – vorrei trattare tre punti: 1. Prima di tutto dire brevemente qualcosa sulla santità di san Tommaso, 2. In secondo luogo riaffermare l’importanza che ha per tutti noi l’impegno di attuare quello che Cornelio Fabro ha chiamato Tomismo essenziale, 3. Ed infine mostrare, scendendo un po’ più al concreto, come una delle esigenze del tomismo essenziale sia quella di dare maggiore importanza alla soggettività costitutiva della persona.
I – LA SANTITÀ DI SAN TOMMASO È difficile dare una descrizione sommaria della vita di un grande santo come Tommaso, non tanto per le cose che egli fece, che sono a noi evidenti – mi riferisco principalmente alle grandi opere che ci ha lasciato –, ma è difficile soprattutto per il fatto che la santità, in ultima istanza, è fatta di cose che non si vedono. Un santo è santo per la vita dell’anima, e sebbene ci sia qualcosa che accomuna tutti i santi – che è la loro unione con Dio in questa vita, che diventa piena e permanente nell’altra – i santi in fondo sono tutti diversi, ognuno con la sua storia, fatta di mille atti di libertà nei quali il santo rinnova il suo amore e la sua scelta di Dio prima della scelta e dell’amore di ogni altra cosa; atti di libertà che nel santo costituiscono il proprio io, sempre più conforme a Dio, fino all’unione trasformante che rende presente, in un modo del tutto particolare, l’amato nell’amante. Nonostante però sia così difficile entrare nel mondo dell’anima di un santo, crediamo sia comunque possibile intravedere alcuni spiragli di cielo dalle sue opere e dalla sua personalità… e questo vale anche per San Tommaso. Tutti conosciamo un po’ la sua vita; mi limito a qualche piccolo scorcio, raccontato dai biografi. Il suo sguardo – raccontano i biografi – era spesso perso in pensieri che volavano molto più alti delle preoccupazioni terrene e denotava una fiamma interiore, una preoccupazione constante e appassionata per ciò che è eterno. Era quasi sempre assorto nei suoi pensieri e nella sua vita interiore, ma questo non significa affatto che Tommaso fosse introverso o noncurante degli altri. Costantemente dirigeva la sua attenzione all’anima delle persone che lo circondavano senza preoccuparsi minimamente della posizione sociale dei suoi interlocutori. Poteva trovarsi a parlare con un re o con un contadino, e ciò che più importava era l’anima della persona che gli era di fronte. Era capace di trattare con passione gli argomenti delle importanti questioni studiate, ma poi era abitualmente silenzioso e molte volte, il suo silenzio, era più eloquente di qualsiasi parola. Tutti i santi, come sappiamo, hanno un orrore istintivo per il fariseismo, per l’apparire, ma San Tommaso in questo aveva una sensibilità molto particolare, cercava in tutti i modi di nascondere le cose che accadevano nella sua vita interiore, la quale – dicono alcuni biografi – sembrava penetrata da un grande mistero. Poco gli importava, per esempio, di essere stato sorpreso, completamente assorto nel risolvere una questione, mentre era a tavola con San Luigi IX re di Francia, ma il solo pensiero che la sua apparizione di San Paolo potesse essere conosciuta lo allarmava profondamente. Amava scherzare, scherzava in modo naturale ed onesto, ma rifuggiva in un modo istintivo la folla e il chiasso. La nota dominante del suo carattere era la serenità – una serenità del tutto particolare – che invadeva a poco a poco l’anima di chi trattava con lui, come la serenità che pervade l’osservatore quando contempla un tranquillo paesaggio con un grande orizzonte. Aveva un’anima purissima, era casto come un bambino. La sua castità sembra sia rimasta suggellata dopo l’episodio della torre avvenuto tra il 1244 e il 1245, sappiamo che una donna venne introdotta nel castello di Monte san Giovanni per indurlo ad abbandonare la vocazione. San Tommaso, affidandosi a Dio vinse questa tentazione e da allora sembra che la sua anima sia rimasta pura fino agli ultimi istanti della sua vita. Fra Reginaldo da Piperno, che oltre ad essere il suo segretario era anche suo confessore, racconta che la sua anima era così innocente che le sue confessioni sembravano quelle di un bambino di 5 anni. Avvicinandosi gli ultimi anni della sua vita terrena, come succede nei santi, la vita interiore sembra intensificarsi sempre di più, ed è da ciò che conosciamo di questi ultimi anni che è possibile forse penetrare un po’ di più nella sua anima. Chi pensa che San Tommaso sia stato solo un uomo di studio, un ragionatore sillogizzante, certamente rimarrà stupito nel leggere ciò che raccontano i biografi degli ultimi anni della sua vita… si tratta di visioni, colloqui interiori, alienazioni dai sensi… di anticipi di un’altra vita della quale San Tommaso sentiva un’attrazione sempre più forte. Ci sono poi episodi della vita mistica che tutti voi conoscete, come quello del Crocifisso di Parigi, che confermò a Tommaso di aver scritto bene il trattato sull’Eucaristia. C’è poi l’episodio del Crocifisso del convento di san Domenico a Napoli che – dopo aver parlato a Tommaso dicendo: “Hai scritto bene di me” – gli chiese cosa desiderasse come premio per il tuo lavoro. San Tommaso rispose semplicemente: “Nient’altro che Te Signore”. Sappiamo bene che dopo questi episodi Tommaso non volle più scrivere. Tutto ciò che aveva scritto gli sembrava paglia in confronto a ciò che Dio gli aveva mostrato. Questo ci dà un’idea di quanto sia enorme la distanza tra ciò che noi possiamo conoscere di Dio attraverso la ragione naturale, e ciò che invece possiamo conoscere quando è Dio stesso ad illuminare la nostra mente con la conoscenza infusa… nonostante ciò, questo non ci esime dal porre tutto il nostro impegno per conoscerlo, fin dove sia possibile, con la nostra ragione naturale. Questo Tommaso lo fece compiendo la volontà di Dio. E probabilmente la conoscenza infusa, oltre ad essere ovviamente un dono di Dio, fu anche un premio per il suo grande impegno nella ricerca e nella diffusione della verità. Quella di san Tommaso è stata una vita spesa nell’apostolato intellettuale: nello scrivere, insegnare, predicare. Ma questo è solo ciò appare esteriormente, ricordiamo che la vita di un santo, in realtà, è soprattutto ciò che accade nell’anima. Certamente, ciò che si vede esteriormente, può manifestare in qualche modo l’anima del santo… e nell’anima di San Tommaso accaddero cose meravigliose; alcune di queste trapelarono all’esterno, nelle sue opere, nelle sue predicazioni, nei suoi gesti, nella sua personalità …ma molte altre rimasero occulte in Dio. Penso sia soprattutto questo allora l’esempio che san Tommaso offre a noi professori e studenti del Centro di Alti Studi «Fides et Ratio»: l’impegno incessante, costante, caritatevole nella ricerca e nella diffusione della verità. Ma insieme a questo impegno, la continua ricerca di un’intensa vita interiore, perché è possibile penetrare in profondità la verità e farla conoscere solo nella misura in cui si vive una profonda unione con la Verità Incarnata.
II – L’IMPEGNO DI ATTUARE IL TOMISMO ESSENZIALE Oggi, forse più che mai, c’è urgente bisogno di penetrare in profondità la verità e di farla conoscere. Viviamo in un mondo nel quale regna la confusione e nel quale domina la malsana convinzione che i problemi che ci troviamo ad affrontare nel nostro tempo, non si debbano più risolvere identificandone le cause, per trovarne la soluzione alla radice, ma inventando nuovi paradigmi; illudendosi, in tal modo, che i problemi si dissolvano e scompaiano; si arriva così ad illudersi che ciò che prima era peccato adesso non lo sia più, e quindi – per esempio – che quella che prima era un’oggettiva situazione di adulterio, adesso, per la situazione soggettiva della persona che lo compie, smetta di esserlo; non solo, si arriva perfino ad invertire la stessa verità delle cose, cosi che per esempio, ciò che prima era un’opera di misericordia spirituale, come “ammonire i peccatori”, adesso sembra non esserlo più, e allora non solo bisogna accogliere il peccatore – come è giusto che sia – ma bisogna accogliere anche il suo peccato, evitando qualsiasi ammonizione per non dispiacere il povero peccatore… è così che nei vari ambiti della filosofia, della teologia o della morale ci si illude che i nuovi paradigmi risolvano i problemi, quando invece questi problemi, in realtà, non solo continueranno ad esserci, ma continueranno anche a moltiplicarsi. Ecco uno dei tanti motivi che rendono così urgente un ritorno al tomismo; perché noi siamo profondamente convinti – e lo siamo sempre di più – che San Tommaso può aiutarci come nessun altro in questa missione di apostolato della verità… riaffermando che ci sono verità perenni che trascendono ogni situazione culturale, storica e temporale… e quindi anche ogni paradigma. San Tommaso, lo sappiamo bene, è stato prima di tutto un teologo, ma non dimentichiamo che l’Angelico è stato un grande teologo proprio perché – oltre a fondare la sua teologia sulla fede e su un serio cammino di santità, come è doveroso che sia – l’ha fondata anche su una solida base filosofica. I principi del “Credo ut intelligam” e dell’“Intelligo ut credam” esposti da sant’Agostino e riproposti secoli dopo nell’enciclica Fides et Ratio… erano chiarissimi nella mente dell’Aquinate, così come era ferma e chiara la convinzione che senza una solida intelligenza filosofica, le verità che ci sono offerte dalla rivelazione – con molta facilità – possono essere male interpretate, distorte e perfino travisate… e credo non sia necessario fare degli esempi per convincerci di questo, vista l’attuale situazione. È per questo che è attraverso una sana filosofia realista – conditio sine qua non per una corretta intelligenza teologica – che vogliamo leggere e studiare san Tommaso. Essendoci però proposti sin dall’inizio di non seguire qualsiasi tomismo, ma il tomismo essenziale di cui parla il padre Cornelio Fabro, non vogliamo solamente limitarci a leggere e studiare san Tommaso, ma vogliamo impegnarci a scrutare in profondità la virtualità dei suoi principi, per far fronte ai problemi del mondo moderno. Nelle linee guida del nostro Centro di Alti Studi è detto chiaramente che per lo studio di San Tommaso abbiamo deciso di adottare come Carta Magna l’enciclica Fides et Ratio di San Giovanni Paolo II, ed è detto anche che seguiremo le linee del Tomismo essenziale segnalate dal padre Cornelio Fabro. Ma che cos’è il tomismo essenziale? Nel 1965 il padre Fabro scrisse un articolo, pubblicato sulla rivista Aquinas che aveva come titolo “Per un tomismo essenziale”; quest’articolo fu poi ripubblicato come primo capitolo del volume Tomismo e pensiero moderno nel 1969. Si tratta di un articolo di poche pagine, una quindicina di pagine, nel quale è evidenziata la forza e la virtualità racchiusa nel pensiero di san Tommaso per far fronte alle istanze del pensiero moderno; e non è un caso che questo articolo sia stato posto dal padre Fabro proprio come primo capitolo del volume Tomismo e pensiero moderno. Come a dire che per far fronte ai problemi del pensiero e del mondo moderno è necessario un tomismo essenziale. All’enorme esuberante sviluppo della scienza e della tecnica, che si apprestano a cambiare la figura del mondo e la struttura degli Stati, fa contrasto l’insignificanza od assenza della filosofia nella formazione del mondo contemporaneo: cosi l’uomo, tutto proiettato fuori di sé nell’azione, ha smarrito completamente il significato del suo io ch’è diventato un locus vacuus. […] Si tratta della crisi essenziale del pensiero stesso che matura ormai da tre secoli, da quando soprattutto Cartesio ha voluto fare l’inizio o «cominciamento assoluto» con il cogito puro, cioè con la coscienza svuotata di ogni contenuto, come capacità vuota. E poiché tutti gli espedienti per riempirla od attuarla si sono di volta in volta […] rivelati vani, ecco che oggi la filosofia ha avuto ciò che essa meritava, perché l’ha voluto: l’insignificanza, il vuoto, l’incapacità di riagganciare l’uomo al reale e di riportarlo all’origine del logos essenziale per cogliere lo spirito nel suo stato nascente.
Il compito proprio e primario della filosofia […invece], è di riportarsi al fondamento[1]. Nel 1965 Fabro diceva che il compito proprio e primario della filosofia è di riportarsi al fondamento. Circa 33 anni dopo nella sua Enciclica Fides et Ratio San Giovanni Paolo II dirà che “Una grande sfida [… che l’uomo è chiamato ad affrontare] è quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento”[2]. Le scuole filosofiche e le filosofie – afferma successivamente Fabro – si sono moltiplicate, occupandosi di particolarità specifiche e di molteplici ambiti, sono sorte così la filosofia del linguaggio, la filosofia ermeneutica, la filosofia giuridica, la filosofia dell’arte, ecc., ma – continua il padre Fabro – la filosofia deve restringere il suo campo, infatti, «più la filosofia restringerà il suo campo e più la sua riflessione diventerà essenziale». È chiaro allora che per Fabro la filosofia deve occuparsi della riflessione essenziale, e quindi, oltre ad analizzare la struttura e il dinamismo della realtà, deve occuparsi soprattutto di risalire al fondamento del reale. In questa situazione [di crisi – dice ancora il padre Fabro] non deve sorprendere nessuno che la Chiesa continui ormai da un secolo a richiamarsi al suo massimo ingegno speculativo, S. Tommaso d’Aquino, il filosofo per eccellenza dell’atto di essere al quale, prima la Scolastica decadente e poi la filosofia dell’immanenza, avevano voltato le spalle[3]. E comincia a riferirsi ad una lettera che il Papa San Paolo VI inviò al Maestro Generale dei Domenicani qualche mese prima che lui scrivesse quest’articolo. Nella lettera di Paolo VI sono tracciati i vari compiti che dovrebbe assumersi l’ordine domenicano per cercare in qualche modo di salvare il pensiero; l’impegno principale è quello di seguire un tomismo autentico, attinto direttamente dalla fonte, senza contaminazioni, e che sia riportato alle esigenze del nostro tempo per la determinazione della verità. Dopo aver evidenziato alcuni passaggi di questa lettera, Fabro dice che il contenuto più stimolante è proprio il richiamo del Papa Paolo IV ad un serio confronto del pensiero di san Tommaso con il pensiero moderno e con la coscienza moderna (cito): Il documento pontificio procede dalla convinzione che la filosofia dell’essere, quale si trova nelle opere di S. Tommaso, è l’orientamento filosofico vero per l’uomo; il problema fondamentale risulta allora di trovare il modo migliore, criticamente più fondato e attualmente più consono, per acquisire, esplicitare, comunicare la piena comprensione della sua verità, così da esprimere l’attività essenziale della ragione umana non in astratto ma nel momento storico che attualmente attraversiamo. Questo compito non è da poco, come ognun vede, e pone alcune esigenze che ci sembrano imprescindibili, sia da parte della filosofia moderna sia da parte del tomismo stesso[4]. Quindi per far fronte a questo compito di acquisire, esplicitare, e comunicare la verità nel nostro momento storico – dice Fabro – ci sono delle esigenze imprescindibili sia da parte della filosofia moderna, sia da parte dello stesso tomismo. Ecco allora – per arrivare a ciò che più ci interessa – che Fabro nelle sollecitazioni di San Paolo VI, vede l’invito ad un tomismo essenziale, e comincia ad elencare le esigenze e le caratteristiche di questo tomismo essenziale: – Prima di tutto. Un «tomismo essenziale» [deve saper] trascendere qualsiasi sistema chiuso o «figura storica» particolare, compresa quella stessa di S. Tommaso nei punti in cui essa resta legata ai limiti della cultura del suo tempo; [Allora il tomismo essenziale è un tomismo capace di occuparsi di questioni essenziali sapendo trascendere i sistemi chiusi o le particolari figure di pensiero legate ad un momento storico particolare]. [Quindi per esempio è necessario saper superare il limite storico, contenutistico ed ermeneutico del «sistema» della sua Scuola Tomistica che di fatto con la sua interpretazione ha deviato dal tomismo originario, allontanandosi dal vero san Tommaso].
– Secondo. Un tomismo essenziale deve sapere non solo inserirsi nella problematica della cultura moderna, ma soprattutto deve poter interpretare dall’intimo le istanze nuove di libertà: [inserirsi nella problematica della cultura moderna, e interpretare dall’intimo le nuove istanze sulla libertà sorte con il pensiero moderno] per questo [dice ancora Fabro, il tomismo essenziale] deve dare maggior considerazione alla soggettività costitutiva nel senso nuovo che essa ha assunto come caratteristica fondamentale della vita dello spirito, – [e questa nuova concezione – dice Fabro –] è in profondo accordo con la concezione tomistica del soggetto spirituale libero – e si differenzia della soggettività trascendentale […] della filosofia moderna. [Quindi l’importanza di prendere in considerazione la soggettività costitutiva come caratteristica fondamentale della vita dello spirito mostrando la radicale differenza con la soggettività trascendentale della filosofia moderna]. – E Terzo. Un tomismo essenziale infine deve approfondire il «problema del cominciamento» del pensiero mediante l’apprensione originaria dello ens[5]. Fabro quindi, in terzo luogo, insiste nel fatto che i problemi teoretici di diverso genere, se riportati al fondamento, trovano la loro radice, in un falso modo di intendere il cominciamento, ovvero in un falso modo di intendere l’inizio del pensiero, da cui deriva immancabilmente un falso modo di concepire la realtà. Come ben sappiamo un piccolo errore all’inizio diventa grande alla fine, per questo un errore nel modo di concepire l’inizio del pensiero si propaga necessariamente in ogni ambito del pensiero, non solo nella filosofia, ma anche nella teologia, nella morale, nella spiritualità, nella pastorale, ecc., ecc. Le due posizioni principali sul cominciamento del pensiero sono, come sappiamo, quella immanentista e quella realista. Quando parliamo di cominciamento o di inizio del pensiero ovviamente non ci riferiamo ad un inizio temporale, che si dà in un momento e poi continua, ma a ciò che è a fondamento del pensiero in ogni atto di pensiero. Il caposaldo del realismo – come sappiamo – è che l’essere fonda il pensiero e per questo il pensiero stesso inizia con il primo contatto con l’ente; Mentre per l’immanentismo è il pensiero che fonda l’essere, e per questo il pensiero inizia da sé stesso. Perso questo primo contatto fondativo con l’ente, tutto il resto viene da sé. Ecco perché tutte le attuali assurdità che a volte ci tocca ascoltare in teologia, in morale, o il constatare l’attuale tendenza, tanto di moda, di voler fare teologia a partire dalla pastorale invece che dalla rivelazione, hanno una radice immanentistica; è su questa base immanentistica che è sorta la teologia dal basso, o se volete la svolta antropologica, o ancora, per non andare troppo lontano nel tempo, è su questa base immanentistica che sono sorti i nuovi paradigmi… la radice di tutto questo, quindi, è che il pensiero è stato posto a fondamento dell’essere. La semplice costatazione di questi fatti, come per esempio del fatto si stia dando il primato alla prassi pastorale rispetto alla dottrina, o che si stia alimentando una falsa dialettica tra dottrina e prassi pastorale, o ancora il constatare l’insorgere di nuovi paradigmi e vedere che nell’attuale modo di fare filosofia, teologia o morale, si stia dando sempre di più il primato all’ermeneutica per introdurre nuovi modi di interpretare la realtà… il constatare tutto ciò è certamente un’ottima analisi, ma si tratta pur sempre di un’analisi fenomenologica di quanto sta succedendo. Più volte abbiamo ripetuto – ricordando quanto è stato detto da San Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio – che noi siamo chiamati a fare quel passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Perché il limitarsi alla constatazione dei problemi, attraverso un’analisi fenomenologica – sebbene sia utile in un primo momento – non risolve nulla. I problemi devono essere ricondotti alla loro radice. Bisogna mostrare quale è il vero fondamento del reale e qual è il vero fondamento del pensiero, solo così potremmo porre gli uomini di pensiero, gli intellettualoidi dell’ermeneutica e dei nuovi paradigmi, di fronte all’assurdità e alla contraddizione della nuova morale, della nuova pseudo-teologia e, in definitiva, di fronte alla stessa assurdità dei nuovi paradigmi. Fabro continua l’articolo con un nuovo richiamo a San Tommaso: [Ecco che] Allora la scelta di S. Tommaso non ha carattere personale o confessionale, ma universale e trascendentale, perché vuol essere l’espressione più vigorosa delle possibilità della ragione nei suoi compiti verso la fondazione della scienza e della fede. Non tocca qui indicare le forme concrete di attuazione di tale tomismo a cui s’impegneranno gli studiosi del prossimo futuro, come sinceramente ci auguriamo. Comunque, dev’essere saldo che l’essenzialità di cui si parla dice intensità di problematica, approfondimento di principi, chiarificazione delle differenze, anzitutto rispetto alla dialettica moderna dell’immanenza il cui principio ispiratore più profondo, qual’è la soggettività trascendentale, ha portato la filosofia alla morte […]; poi, anzi prima di tutto [dice Fabro, chiarificazione delle differenze] rispetto alla Scolastica formalistica che [deviando da San Tommaso] ha preparato e provocato con la sua vuotaggine e carenza speculativa l’avvento del pensiero moderno. […] [Ecco allora che] Un «tomismo essenziale» comporta quindi un giudizio attivo sul pensiero umano e cristiano in generale e sullo stesso tomismo di fronte al pensiero moderno.
Una mera «ripetizione passiva» del pensiero di S. Tommaso ci riporterebbe […] al secolo XIII, mentre la storia non torna mai indietro ed incombe per ogni uomo di pensiero il dovere di inserirsi nei problemi e nelle ansie del proprio tempo, come l’Aquinate fece per il suo. [San Tommaso non studio sant’Agostino, lo Pseudo Dionigi, Aristotele, ecc. per trattare i problemi che c’erano nel periodo storico vissuto da questi autori, ma per coglierne i principi e risolvere i problemi del proprio tempo, cosi noi dobbiamo studiare san Tommaso non per occuparci dei problemi che San Tommaso dovette affrontare nel medioevo, ma per affrontare i problemi del nostro tempo]. [… Per questo] il tomismo può e deve mostrare come, dalla priorità di fondamento che compete all’essere sul pensiero, la ragione è sempre in grado di muoversi nel reale secondo l’apertura infinita delle sue possibilità, […].
[Ancora, riferendosi al tomismo essenziale] Non si tratta tanto – almeno nel primo momento del confronto col pensiero moderno – di un tomismo di tesi statiche e rigide che impongano un sistema, quanto di un tomismo di approfondimento di principi, dinamico e aperto sul fondo di tutte le valide acquisizioni di analisi e di metodo della scienza e della cultura moderna.
Nei sette secoli di distanza che ci separano dalla morte di San Tommaso [ormai sono quasi 750 anni], assertore intrepido del valore del pensiero e della dignità dello spirito umano, il mondo ha cambiato parecchie volte la sua figura esteriore ed interiore ed ora è in travaglio per una trasformazione che sarà forse la più decisiva e risolutiva della sua storia. Occorre affrontarla con un’altissima idea della dignità dell’uomo e con una ferma convinzione delle possibilità della sua mente, alla quale è stato affidato anzitutto il compito di scorgere nella natura i segni dell’Intelligenza suprema e di riconoscere nella storia i tratti del piano divino di salvezza per la redenzione dal male e la vittoria sulla morte[6]. Quindi riassumendo ci sono tre esigenze nel tomismo essenziale: 1. Saper trascendere qualsiasi sistema chiuso o «figura storica» particolare, compresa quella stessa di S. Tommaso nei punti in cui essa resta legata ai limiti della cultura del suo tempo. 2. Sapere non solo inserirsi nella problematica della cultura moderna, considerando le nuove istanze di libertà, ma dare anche maggior considerazione alla soggettività costitutiva come caratteristica fondamentale della vita dello spirito, in profondo accordo con la concezione tomistica del soggetto spirituale libero – e differenziando questa soggettività costitutiva dalla soggettività trascendentale della filosofia moderna. 3. Approfondire il «problema del cominciamento» del pensiero, mostrando come esso sia sempre fondato dal primo contatto con l’ente. Noi abbiamo deciso di impegnarci nel seguire le linee del tomismo essenziale perché siamo convinti che questo sia il modo corretto per leggere, comprendere e diffondere le opere di san Tommaso, e perché siamo convinti che queste opere siano un’immensa ricchezza per il mondo nel quale viviamo e per i secoli futuri. Mostrare in una lectio brevis cosa implichino queste esigenze e la loro virtualità è praticamente impossibile, non basterebbe, a questo scopo, neanche un corso di un intero semestre. Forse potrebbe essere possibile dedicando un corso ad ognuna di queste tre esigenze. Ma per non rimanere tanto nell’aria, perché so già che gli uditori si aspettano degli esempi, vorrei soffermarmi solo sulla seconda esigenza: quella che evidenzia l’importanza di dare maggiore considerazione alla soggettività costitutiva mostrando le differenze con la soggettività trascendentale. (Ultimo punto).
III – LA SOGGETTIVITA COSTITUTIVA Un grande tema del pensiero moderno – come sappiamo – è la libertà e la soggettività…. Ma che cos’è la soggettività costitutiva di cui parla Fabro? Prima di tutto bisogna sapere che la soggettività costitutiva non ha nulla a che vedere con il soggettivismo, ma riguarda ciò che rende ogni persona un soggetto unico, singolare, e – come dice Fabro – incomunicabile. Nei suoi studi sulla soggettività costitutiva, trattando dell’io del soggetto, a volte Fabro chiama l’io “l’incomunicabile comunicante”. Lo chiama in questo modo perché l’io è incomunicabile, nel senso che io non posso comunicare a nessuno totalmente ciò che sono…nessuno può avere il mio io… e questo non solo perché nessuno può sapere fino in fondo cosa succede nel mio interiore, … ma neanche può sapere cosa succede ad un livello più esteriore, neanche a livello corporeo per esempio: se io sono malato nessuno può avere la mia stessa percezione del dolore fisico, causato dalla malattia. Difatti la stessa malattia è percepita da due persone in modo diverso. Ma neanche è possibile avere la stessa percezione della sofferenza o della gioia dell’anima. Le persone vivono lo stesso evento gioioso o di sofferenza in un modo diverso. E questo succede perché questo tipo di percezioni sono estremamente soggettive. Quindi l’io è incomunicabile e questo a diversi livelli, dai livelli più profondi dell’anima a quelli più superficiali, fino ad arrivare a quelli sensibili. Però allo stesso tempo l’io è un comunicante, cioè il soggetto è un essere che comunica in molti modi: con i gesti, con i movimenti del corpo, con le espressioni del volto… Quando un professore fa lezione, per esempio riesce a capire molte cose degli studenti che ha di fronte: dai loro gesti, dal loro sguardo… riesce a capire se gli studenti sono attenti, se sono stanchi, se stanno capendo,… perché i gesti e i movimenti del proprio corpo sono in qualche modo un’espressione del soggetto; quindi si comunica in tanti modi… e anche con delle espressioni più elaborate e complesse di comunicazione come la parola, la scrittura, la poesia, la pittura, la musica… una persona che suona uno strumento musicale, immancabilmente, suonando, nel suo modo di suonare, esprime il proprio io, esprime se stesso come soggetto. Quindi l’io è incomunicabile ma allo stesso tempo cerca di comunicare, sente come il bisogno, la necessità di comunicare. Per questo Fabro dice che l’io dell’uomo è “l’incomunicabile comunicante”. …l’io dell’uomo è l’incomunicabile comunicante, mentre l’io della donna è il comunicante incomunicabile, le donne sono essenzialmente comunicanti… Ho pensato diverse volte all’incomunicabilità dell’io. E in effetti è così, nessun uomo può conoscere totalmente la soggettività costitutiva di un altro essere umano. L’unico che può conoscere totalmente la soggettività e la singolarità di un soggetto spirituale è solamente Dio. Abbiamo sentito dire tante volte che Dio ci conosce meglio di noi stessi. Ma bisogna capire bene che questa non è semplicemente un’espressione retorica! Si tratta di una profonda realtà filosofica! Cosa significa veramente che Dio ci conosce meglio di noi stessi? Prima di tutto possiamo dire che Dio conosce perfettamente la nostra partecipazione dell’essere. Dio conosce perfettamente il nostro actus essendi partecipato, d’altra parte è Lui stesso che ce lo comunica continuamente, è Lui che continuamente ci sta creando, mantenendoci nell’essere, e lo fa proprio attraverso l’actus essendi partecipato, Dio è l’unico che lo conosce,… e siccome tutte le nostre attualità, tutte le nostre perfezioni, sia le nostre perfezioni costitutive, sia le nostre perfezioni operative, le virtù, gli abiti, gli atti che noi facciamo, ecc. hanno il loro fondamento nel nostro actus essendi – e non sono altro che espansioni della virtualità del nostro actus essendi – Dio, conoscendolo perfettamente, conosce tutto di noi in atto, in un modo perfettissimo. Quindi possiamo dire, con tutta certezza, che Dio conosce ognuno di noi molto meglio di come ognuno di noi possa conosce sé stesso; e questo perché ci conosce a partire da ciò che è più profondo, da ciò che è costitutivo, da ciò che fonda tutto quello che siamo, e tutto ciò che facciamo. Noi uomini quando conosciamo un’altra persona la conosciamo a partire dall’esterno, ed è attraverso queste manifestazioni esteriori che cerchiamo di capire la sua realtà interiore e costitutiva. Per esempio sappiamo che per conoscere qualcosa dell’essenza dell’anima lo facciamo a partire dalle operazioni… ma anche nel caso di una singola persona, pensiamo per esempio al lavoro che deve svolgere il direttore spirituale, che è chiamato a conoscere l’interiorità dell’anima di una singola persona, per guidarla ed aiutarla ad unirsi a Dio… il direttore spirituale ordinariamente conosce un’anima dalle sue manifestazioni, e questo perché la persona diretta gli racconta cosa succede nella sua anima. Ma anche nei semplici rapporti tra persone noi conosciamo gli altri a partire dalle manifestazioni esteriori… Dio no, Dio ci conosce dall’interno – non da un interno psicologico – ma da un interno metafisico, perché Lui fonda e costituisce tutto ciò che siamo, e tutto ciò che facciamo. Tutto questo che sto dicendo, e tutto quello che dirò ora riguardo al pensiero di Fabro sulla soggettività costitutiva è squisitamente fondato sui principi di san Tommaso, ovvero sulla dipendenza totale da Dio del soggetto spirituale libero e sulla sua indipendenza esistenziale. Fabro quando parla dell’io e della soggettività fa una distinzione attraverso la quale è possibile intravedere la differenza fondamentale tra la soggettività costitutiva e la soggettività trascendentale. Leggendo Fabro infatti è possibile scorgere, potremmo dire, una certa duplicità dell’io: il costituirsi della soggettività dell’uomo: da una parte fa capo a quello che lui chiama l’io individuale (o persona) e dall’altra a ciò che lui chiama io esistenziale. Non si tratta ovviamente di due io ma di due aspetti dello stesso soggetto che però sono riconducibili a due principi distinti che sono l’essere e la libertà. Che cosa intende Fabro quando parla di io individuale (o persona) e di io esistenziale? L’«io individuale (o persona)» è per Fabro il soggetto singolare considerato nel suo aspetto costitutivo, cioè avente un actus essendi, che è ciò che lo rende una persona sussistente; per capirci, questo è ciò che fa che io sia la stessa persona da quando sono nato fino ad ora, e questa è quella che noi potremmo chiamare soggettività costitutiva a livello metafisico; quando invece Fabro parla di «io esistenziale» si riferisce alla soggettività che si auto-costituisce e si configura esistenzialmente attraverso gli atti liberi durante la vita, e che quindi è in continua evoluzione. Ed è sotto questo aspetto che è possibile dire invece che io non sono lo stesso di 25 anni fa, non tanto per i cambiamenti che ci sono stati nell’aspetto fisico…, ma soprattutto per i cambiamenti che ci sono stati nella mia struttura esistenziale, cambiamenti che sono derivati dai miei atti di libertà. Vediamo allora che nella soggettività costitutiva di una persona ci sono due aspetti importantissimi che fanno capo a due fondamenti diversi: l’io individuale (o persona) che fa capo all’actus essendi partecipato di ognuno di noi, e l’io esistenziale che fa capo invece alla libertà di ognuno. È interessante notare che per entrambi questi aspetti dell’io si può parlare di incomunicabilità – L’io individuale (o persona) è incomunicabile perché, come abbiamo detto, è riconducibile all’actus essendi partecipato di una persona che è singolarissimo e incomunicabile; ed essendo il fondamento di tutto ciò che un essere umano è, è anche singolarizzante e, potremmo anche dire personificante, cioè è ciò che fa che ognuno di noi sia una persona, singolare, unica e irripetibile, e proprio per questo, incomunicabile. – Ma anche l’io esistenziale è incomunicabile: infatti, come abbiamo detto l’io esistenziale si costituisce per gli atti di libertà di una persona, ed essendo gli atti liberi incomunicabili, perché sono propri della persona – io non posso delegare le mie scelte libere a nessuno – allora anche l’io che ne deriva sarà incomunicabile. Fabro, riferendosi a quest’io esistenziale, dice che l’io si costituisce mediante la libertà e la libertà si attua mediante l’io. Questo è molto profondo. Il nostro io esistenziale si costituisce mediante la libertà, perché è con gli atti di libertà che io divento esistenzialmente quello che sono, ma allo stesso tempo i nostri atti di libertà si attuano mediante l’io; sia mediante l’io individuale (o persona) – perché gli atti sono sempre della persona (del supposito) – sia mediante l’io esistenziale perché i nostri atti sono sempre fatti a partire da un io esistenziale che si trova già ad un certo stato del suo costituirsi. Quindi se io faccio adesso un atto di libertà, sono io a farlo come persona, e sono io a farlo a partire dalla mia struttura esistenziale attuale. Possiamo dire che la mia libertà è fondata nel mio io individuale e si attua nello sfondo del mio io esistenziale attuale. Riguardo alla soggettività quindi c’è un aspetto fondante e costitutivo a livello metafisico, e c’è un aspetto costitutivo ad un livello esistenziale, anch’esso fondato metafisicamente, ma che allo stesso tempo si auto-fonda esistenzialmente. Questo significa che quello che noi siamo esistenzialmente è quello che liberamente scegliamo di essere, e in questo senso noi ci creiamo come vogliamo. Vi leggo un testo di un autore recente che parla proprio di questo. Gli atti umani sono atti morali, perché esprimono e decidono della bontà o malizia dell’uomo stesso che compie quegli atti. Essi non producono solo un mutamento dello stato di cose esterne all’uomo, ma, in quanto scelte deliberate, qualificano moralmente la persona stessa che li compie e ne determinano la fisionomia spirituale profonda, come rileva suggestivamente san Gregorio Nisseno: «Tutti gli esseri soggetti al divenire non restano mai identici a se stessi, ma passano continuamente da uno stato ad un altro mediante un cambiamento che opera sempre, in bene o in male… Ora, essere soggetto a cambiamento è nascere continuamente… Ma qui la nascita non avviene per un intervento estraneo, com’è il caso degli esseri corporei… Essa è il risultato di una scelta libera e noi siamo così, in certo modo, i nostri stessi genitori, creandoci come vogliamo, e con la nostra scelta dandoci la forma che vogliamo». Questo testo, che a qualcuno potrebbe sembrare così vicino al pensiero moderno, è un testo di San Giovanni Paolo II del 1993, si trova nel n. 71 dell’Enciclica Veritatis Splendor – che ad agosto ha compiuto 30 anni. “Noi ci creiamo come vogliamo” dice San Giovanni Paolo II citando san Gregorio Nisseno (IV secolo d.C.). I nostri atti liberi qualificano moralmente la persona stessa che li compie e ne determinano la fisionomia spirituale profonda. Si tratta di un testo che è in perfetta consonanza con il pensiero espresso da Fabro qualche decennio prima, fondato a sua volta nei principi di san Tommaso. Ovviamente qui non possiamo inoltrarci in ulteriori approfondimenti, ci sarebbe per esempio da chiedersi cosa rende possibile, cioè qual è la condizione di possibilità di questo auto-costituirsi esistenziale della nostra fisionomia spirituale… Ma si tratta di una lectio brevis e, come abbiamo detto, questi temi sono materia almeno per un corso di un semestre. Il tema della soggettività costitutiva è un tema estremamente importante da trattare, specialmente nei nostri giorni, nei quali, per non fare le dovute differenze tra ambito metafisico e quello esistenziale, si è arrivati ad identificare il costitutivo della persona con la libertà o addirittura con le relazioni, ritenendo ormai obsoleta la definizione di persona come sostanza individuale di natura razionale [o spirituale se volete]. Un’infinità di errori sulla soggettività, sulla morale, sull’etica, sull’antropologia, sia filosofica che teologica, derivano da questa falsa concezione della persona, che a sua volta deriva dal non saper distinguere adeguatamente, nel soggetto spirituale, i due piani di cui abbiamo parlato. Per questo le distinzioni di Fabro tra l’io individuale e l’io esistenziale ci danno una corretta nozione della soggettività dell’essere umano, distinguendo ciò che è costitutivo ad un livello metafisico da ciò che lo è ad un livello esistenziale, e ci permettono di affrontare con estrema chiarezza i diversi problemi di ordine etico, morale, antropologico e perfino teologico, o teologico-pastorale se volete. Chi afferma che il costitutivo della persona è la libertà o le relazioni, in realtà non fa altro che dissolvere la realtà sostanziale della persona, metafisicamente costituita – avente una natura ed un fine ben determinati – storicizzandola, e riducendola ad un essere totalmente in balia della sua esistenza; …perché se la libertà o le relazioni fossero il costitutivo della persona, la soggettività costitutiva ad un livello metafisico sarebbe totalmente assorbita dalla soggettività esistenziale e l’uomo creerebbe, con il suo agire libero, non solo la sua struttura esistenziale, ma anche la sua struttura ontologica, la sua natura… e le leggi ad essa intrinseche cambierebbero continuamente, ecco perché i nuovi paradigmi. I problemi quindi – ancora una volta – non si risolvono nel semplice constatare l’esistenza delle deviazioni in campo etico, morale o teologico, perché altrimenti saremmo ancora fermi ad un’analisi fenomenologica ed epidermica di ciò che sta accadendo… bisogna risalire al fondamento, solo così potremo proporre con forza il pensiero di san Tommaso alle nuove generazioni per risolvere gli attuali problemi; Ecco perché Fabro insiste sul fatto che non possiamo fermarci ad uno studio dei testi dell’Angelico che si limiti a ripeterne le formule, ma dobbiamo approfondirne i principi, scoprendone la ricchissima virtualità. Perché solo attraverso una vera assimilazione dei principi dell’Aquinate ed una profonda conoscenza del pensiero moderno è possibile far fronte alle nuove sfide culturali che incalzano nel nostro tempo. L’intercessione di San Tommaso specialmente in questo triennio di celebrazioni in sua memoria, ci aiuti in questi approfondimenti, per poter incidere nella cultura contemporanea affinché, con l’aiuto di Dio, la nostra evangelizzazione sia veramente efficace.
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(Español – Traducción automática) Santo Tomás, tomismo esencial
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[1] C. Fabro, Tomismo e pensiero moderno, 5.
[2] Giovanni Paolo II, Fides et ratio, n. 83.
[3] C. Fabro, Tomismo e pensiero moderno, 8.
[4] C. Fabro, Tomismo e pensiero moderno, 10.
[5] Cfr. C. Fabro, Tomismo e pensiero moderno, 16-17.
[6] Cfr C. Fabro, Tomismo e pensiero moderno, 17-19.
[7] C. Fabro, El tomismo y el pensamiento moderno, 5.
[8] Juan Pablo II, Fides et ratio, nº 83.
[9] C. Fabro, El tomismo y el pensamiento moderno, 8.
[10] C. Fabro, Tomismo y pensamiento moderno, 10.
[11] Cf. C. Fabro, Tomismo y pensamiento moderno, 16-17.
[12] Cf. C. Fabro, El tomismo y el pensamiento moderno, 17-19.
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