Santidad del Doctor Angélico, tomismo esencial y subjetividad constitutiva (conferencia en italiano) – P. Dr. Gianluca Trombini

(Subtítulos en español generados automáticamente)

Conferencia en la abadía de Fossanova (2/10/2023).

En esta conferencia el P. Gianluca Trombini, en el contexto del trienio de celebraciones en honor de Santo Tomas de Aquino, presenta tres puntos claves que cada estudioso del Aquinate tendría que considerar en su actividad académica:

  1. el ejemplo de santidad del Doctor Angélico
  2. la importancia de seguir las líneas del «Tomismo Esencial» señaladas por el padre Cornelio Fabro, para el estudio, la comprensión y difusión del pensamiento de Santo Tomas
  3. la actual necesidad de profundizar la que el padre Fabro ha llamado «subjetividad constitutiva», que se encuentra en pleno acuerdo con la concepción tomista del sujeto espiritual libre, diferenciándola de la «subjetividad trascendental» del pensamiento moderno.

EL AUTOR: El P. Gianluca Trombini, sacerdote del Instituto del Verbo Encarnado, obtuvo el Doctorado en Filosofía por la Pontificia Universidad Urbaniana. A partir del 2013 es director del Proyecto Cultural Cornelio Fabro y responsable de la cura y edición de las Obras Completas del mismo filósofo. Es actualmente docente ordinario de Metafísica en el Seminario Internacional «San Vitaliano Papa» del Instituto del Verbo Encarnado en Italia y colabora como profesor en otras instituciones.

MATERIAL:

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– Texto de la conferencia: 


(Italiano – Idioma original)

San Tommaso, il tomismo essenziale e la soggettività costitutiva

Ci troviamo nel triennio di commemorazioni in onore di San Tommaso d’Aquino.

Come sappiamo è ricorso lo scorso 18 luglio l’anniversario dei 700 anni della sua canonizzazione, avvenuta nel 1323; il 7 marzo del prossimo anno ricorrerà l’anniversario dei 750 anni della sua morte, e nel 2025 ricorrerà l’ottavo centenario della nascita. Provvidenzialmente, è in questo contesto temporale – ma anche in questo luogo fisico, con tutto ciò che significa – vorrei trattare tre punti:

1.     Prima di tutto dire brevemente qualcosa sulla santità di san Tommaso,

2.     In secondo luogo riaffermare l’importanza che ha per tutti noi l’impegno di attuare quello che Cornelio Fabro ha chiamato Tomismo essenziale,

3.     Ed infine mostrare, scendendo un po’ più al concreto, come una delle esigenze del tomismo essenziale sia quella di dare maggiore importanza alla soggettività costitutiva della persona.

 

I – LA SANTITÀ DI SAN TOMMASO

È difficile dare una descrizione sommaria della vita di un grande santo come Tommaso, non tanto per le cose che egli fece, che sono a noi evidenti – mi riferisco principalmente alle grandi opere che ci ha lasciato –, ma è difficile soprattutto per il fatto che la santità, in ultima istanza, è fatta di cose che non si vedono.

Un santo è santo per la vita dell’anima, e sebbene ci sia qualcosa che accomuna tutti i santi – che è la loro unione con Dio in questa vita, che diventa piena e permanente nell’altra – i santi in fondo sono tutti diversi, ognuno con la sua storia, fatta di mille atti di libertà nei quali il santo rinnova il suo amore e la sua scelta di Dio prima della scelta e dell’amore di ogni altra cosa; atti di libertà che nel santo costituiscono il proprio io, sempre più conforme a Dio, fino all’unione trasformante che rende presente, in un modo del tutto particolare, l’amato nell’amante.

Nonostante però sia così difficile entrare nel mondo dell’anima di un santo, crediamo sia comunque possibile intravedere alcuni spiragli di cielo dalle sue opere e dalla sua personalità… e questo vale anche per San Tommaso. Tutti conosciamo un po’ la sua vita; mi limito a qualche piccolo scorcio, raccontato dai biografi.

Il suo sguardo – raccontano i biografi – era spesso perso in pensieri che volavano molto più alti delle preoccupazioni terrene e denotava una fiamma interiore, una preoccupazione constante e appassionata per ciò che è eterno.

Era quasi sempre assorto nei suoi pensieri e nella sua vita interiore, ma questo non significa affatto che Tommaso fosse introverso o noncurante degli altri. Costantemente dirigeva la sua attenzione all’anima delle persone che lo circondavano senza preoccuparsi minimamente della posizione sociale dei suoi interlocutori. Poteva trovarsi a parlare con un re o con un contadino, e ciò che più importava era l’anima della persona che gli era di fronte.

Era capace di trattare con passione gli argomenti delle importanti questioni studiate, ma poi era abitualmente silenzioso e molte volte, il suo silenzio, era più eloquente di qualsiasi parola.

Tutti i santi, come sappiamo, hanno un orrore istintivo per il fariseismo, per l’apparire, ma San Tommaso in questo aveva una sensibilità molto particolare, cercava in tutti i modi di nascondere le cose che accadevano nella sua vita interiore, la quale – dicono alcuni biografi – sembrava penetrata da un grande mistero. Poco gli importava, per esempio, di essere stato sorpreso, completamente assorto nel risolvere una questione, mentre era a tavola con San Luigi IX re di Francia, ma il solo pensiero che la sua apparizione di San Paolo potesse essere conosciuta lo allarmava profondamente.

Amava scherzare, scherzava in modo naturale ed onesto, ma rifuggiva in un modo istintivo la folla e il chiasso.

La nota dominante del suo carattere era la serenità – una serenità del tutto particolare – che invadeva a poco a poco l’anima di chi trattava con lui, come la serenità che pervade l’osservatore quando contempla un tranquillo paesaggio con un grande orizzonte.

Aveva un’anima purissima, era casto come un bambino. La sua castità sembra sia rimasta suggellata dopo l’episodio della torre avvenuto tra il 1244 e il 1245, sappiamo che una donna venne introdotta nel castello di Monte san Giovanni per indurlo ad abbandonare la vocazione. San Tommaso, affidandosi a Dio vinse questa tentazione e da allora sembra che la sua anima sia rimasta pura fino agli ultimi istanti della sua vita. Fra Reginaldo da Piperno, che oltre ad essere il suo segretario era anche suo confessore, racconta che la sua anima era così innocente che le sue confessioni sembravano quelle di un bambino di 5 anni.

Avvicinandosi gli ultimi anni della sua vita terrena, come succede nei santi, la vita interiore sembra intensificarsi sempre di più, ed è da ciò che conosciamo di questi ultimi anni che è possibile forse penetrare un po’ di più nella sua anima.

Chi pensa che San Tommaso sia stato solo un uomo di studio, un ragionatore sillogizzante, certamente rimarrà stupito nel leggere ciò che raccontano i biografi degli ultimi anni della sua vita… si tratta di visioni, colloqui interiori, alienazioni dai sensi… di anticipi di un’altra vita della quale San Tommaso sentiva un’attrazione sempre più forte.

Ci sono poi episodi della vita mistica che tutti voi conoscete, come quello del Crocifisso di Parigi, che confermò a Tommaso di aver scritto bene il trattato sull’Eucaristia. C’è poi l’episodio del Crocifisso del convento di san Domenico a Napoli che – dopo aver parlato a Tommaso dicendo: “Hai scritto bene di me” – gli chiese cosa desiderasse come premio per il tuo lavoro. San Tommaso rispose semplicemente: “Nient’altro che Te Signore”.

Sappiamo bene che dopo questi episodi Tommaso non volle più scrivere. Tutto ciò che aveva scritto gli sembrava paglia in confronto a ciò che Dio gli aveva mostrato. Questo ci dà un’idea di quanto sia enorme la distanza tra ciò che noi possiamo conoscere di Dio attraverso la ragione naturale, e ciò che invece possiamo conoscere quando è Dio stesso ad illuminare la nostra mente con la conoscenza infusa… nonostante ciò, questo non ci esime dal porre tutto il nostro impegno per conoscerlo, fin dove sia possibile, con la nostra ragione naturale. Questo Tommaso lo fece compiendo la volontà di Dio. E probabilmente la conoscenza infusa, oltre ad essere ovviamente un dono di Dio, fu anche un premio per il suo grande impegno nella ricerca e nella diffusione della verità.

Quella di san Tommaso è stata una vita spesa nell’apostolato intellettuale: nello scrivere, insegnare, predicare. Ma questo è solo ciò appare esteriormente, ricordiamo che la vita di un santo, in realtà, è soprattutto ciò che accade nell’anima. Certamente, ciò che si vede esteriormente, può manifestare in qualche modo l’anima del santo… e nell’anima di San Tommaso accaddero cose meravigliose; alcune di queste trapelarono all’esterno, nelle sue opere, nelle sue predicazioni, nei suoi gesti, nella sua personalità …ma molte altre rimasero occulte in Dio.

Penso sia soprattutto questo allora l’esempio che san Tommaso offre a noi professori e studenti del Centro di Alti Studi «Fides et Ratio»: l’impegno incessante, costante, caritatevole nella ricerca e nella diffusione della verità. Ma insieme a questo impegno, la continua ricerca di un’intensa vita interiore, perché è possibile penetrare in profondità la verità e farla conoscere solo nella misura in cui si vive una profonda unione con la Verità Incarnata.

 

 II – L’IMPEGNO DI ATTUARE IL TOMISMO ESSENZIALE

Oggi, forse più che mai, c’è urgente bisogno di penetrare in profondità la verità e di farla conoscere.  Viviamo in un mondo nel quale regna la confusione e nel quale domina la malsana convinzione che i problemi che ci troviamo ad affrontare nel nostro tempo, non si debbano più risolvere identificandone le cause, per trovarne la soluzione alla radice, ma inventando nuovi paradigmi; illudendosi, in tal modo, che i problemi si dissolvano e scompaiano; si arriva così ad illudersi che ciò che prima era peccato adesso non lo sia più, e quindi – per esempio – che quella che prima era un’oggettiva situazione di adulterio, adesso, per la situazione soggettiva della persona che lo compie, smetta di esserlo; non solo, si arriva perfino ad invertire la stessa verità delle cose, cosi che per esempio, ciò che prima era un’opera di misericordia spirituale, come “ammonire i peccatori”, adesso sembra non esserlo più, e allora non solo bisogna accogliere il peccatore – come è giusto che sia – ma bisogna accogliere anche il suo peccato, evitando qualsiasi ammonizione per non dispiacere il povero peccatore… è così che nei vari ambiti della filosofia, della teologia o della morale ci si illude che i nuovi paradigmi risolvano i problemi, quando invece questi problemi, in realtà, non solo continueranno ad esserci, ma continueranno anche a moltiplicarsi.

Ecco uno dei tanti motivi che rendono così urgente un ritorno al tomismo; perché noi siamo profondamente convinti – e lo siamo sempre di più – che San Tommaso può aiutarci come nessun altro in questa missione di apostolato della verità… riaffermando che ci sono verità perenni che trascendono ogni situazione culturale, storica e temporale… e quindi anche ogni paradigma.

San Tommaso, lo sappiamo bene, è stato prima di tutto un teologo, ma non dimentichiamo che l’Angelico è stato un grande teologo proprio perché – oltre a fondare la sua teologia sulla fede e su un serio cammino di santità, come è doveroso che sia – l’ha fondata anche su una solida base filosofica.

I principi del “Credo ut intelligam” e dell’“Intelligo ut credam” esposti da sant’Agostino e riproposti secoli dopo nell’enciclica Fides et Ratio… erano chiarissimi nella mente dell’Aquinate, così come era ferma e chiara la convinzione che senza una solida intelligenza filosofica, le verità che ci sono offerte dalla rivelazione – con molta facilità – possono essere male interpretate, distorte e perfino travisate… e credo non sia necessario fare degli esempi per convincerci di questo, vista l’attuale situazione.

È per questo che è attraverso una sana filosofia realista – conditio sine qua non per una corretta intelligenza teologica – che vogliamo leggere e studiare san Tommaso.

Essendoci però proposti sin dall’inizio di non seguire qualsiasi tomismo, ma il tomismo essenziale di cui parla il padre Cornelio Fabro, non vogliamo solamente limitarci a leggere e studiare san Tommaso, ma vogliamo impegnarci a scrutare in profondità la virtualità dei suoi principi, per far fronte ai problemi del mondo moderno.

Nelle linee guida del nostro Centro di Alti Studi è detto chiaramente che per lo studio di San Tommaso abbiamo deciso di adottare come Carta Magna l’enciclica Fides et Ratio di San Giovanni Paolo II, ed è detto anche che seguiremo le linee del Tomismo essenziale segnalate dal padre Cornelio Fabro.

Ma che cos’è il tomismo essenziale?

Nel 1965 il padre Fabro scrisse un articolo, pubblicato sulla rivista Aquinas che aveva come titolo “Per un tomismo essenziale”; quest’articolo fu poi ripubblicato come primo capitolo del volume Tomismo e pensiero moderno nel 1969. Si tratta di un articolo di poche pagine, una quindicina di pagine, nel quale è evidenziata la forza e la virtualità racchiusa nel pensiero di san Tommaso per far fronte alle istanze del pensiero moderno; e non è un caso che questo articolo sia stato posto dal padre Fabro proprio come primo capitolo del volume Tomismo e pensiero moderno. Come a dire che per far fronte ai problemi del pensiero e del mondo moderno è necessario un tomismo essenziale.


Fabro introduceva quest’articolo con una considerazione sulla crisi che la filosofia stava attraversando nello scorso secolo; crisi nella quale ormai, ai giorni nostri, la filosofia è più che inoltrata. Non si tratta però di una crisi qualsiasi, ma di una crisi del tutto particolare, descrivendo la quale, Fabro ha quasi una visione profetica di quanto sta accadendo nei nostri giorni:

All’enorme esuberante sviluppo della scienza e della tecnica, che si apprestano a cambiare la figura del mondo e la struttura degli Stati, fa contrasto l’insignificanza od assenza della filosofia nella formazione del mondo contemporaneo: cosi l’uomo, tutto proiettato fuori di sé nell’azione, ha smarrito completamente il significato del suo io ch’è diventato un locus vacuus.

[…] Si tratta della crisi essenziale del pensiero stesso che matura ormai da tre secoli, da quando soprattutto Cartesio ha voluto fare l’inizio o «cominciamento assoluto» con il cogito puro, cioè con la coscienza svuotata di ogni contenuto, come capacità vuota. E poiché tutti gli espedienti per riempirla od attuarla si sono di volta in volta […] rivelati vani, ecco che oggi la filosofia ha avuto ciò che essa meritava, perché l’ha voluto: l’insignificanza, il vuoto, l’incapacità di riagganciare l’uomo al reale e di riportarlo all’origine del logos essenziale per cogliere lo spirito nel suo stato nascente.

 

Il compito proprio e primario della filosofia […invece], è di riportarsi al fondamento[1].

Nel 1965 Fabro diceva che il compito proprio e primario della filosofia è di riportarsi al fondamento. Circa 33 anni dopo nella sua Enciclica Fides et Ratio San Giovanni Paolo II dirà che “Una grande sfida [… che l’uomo è chiamato ad affrontare] è quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento[2].

Le scuole filosofiche e le filosofie – afferma successivamente Fabro – si sono moltiplicate, occupandosi di particolarità specifiche e di molteplici ambiti, sono sorte così la filosofia del linguaggio, la filosofia ermeneutica, la filosofia giuridica, la filosofia dell’arte, ecc., ma – continua il padre Fabro – la filosofia deve restringere il suo campo, infatti, «più la filosofia restringerà il suo campo e più la sua riflessione diventerà essenziale».

È chiaro allora che per Fabro la filosofia deve occuparsi della riflessione essenziale, e quindi, oltre ad analizzare la struttura e il dinamismo della realtà, deve occuparsi soprattutto di risalire al fondamento del reale.

In questa situazione [di crisi – dice ancora il padre Fabro] non deve sorprendere nessuno che la Chiesa continui ormai da un secolo a richiamarsi al suo massimo ingegno speculativo, S. Tommaso d’Aquino, il filosofo per eccellenza dell’atto di essere al quale, prima la Scolastica decadente e poi la filosofia dell’immanenza, avevano voltato le spalle[3].

            E comincia a riferirsi ad una lettera che il Papa San Paolo VI inviò al Maestro Generale dei Domenicani qualche mese prima che lui scrivesse quest’articolo. Nella lettera di Paolo VI sono tracciati i vari compiti che dovrebbe assumersi l’ordine domenicano per cercare in qualche modo di salvare il pensiero; l’impegno principale è quello di seguire un tomismo autentico, attinto direttamente dalla fonte, senza contaminazioni, e che sia riportato alle esigenze del nostro tempo per la determinazione della verità.

            Dopo aver evidenziato alcuni passaggi di questa lettera, Fabro dice che il contenuto più stimolante è proprio il richiamo del Papa Paolo IV ad un serio confronto del pensiero di san Tommaso con il pensiero moderno e con la coscienza moderna (cito):

Il documento pontificio procede dalla convinzione che la filosofia dell’essere, quale si trova nelle opere di S. Tommaso, è l’orientamento filosofico vero per l’uomo; il problema fondamentale risulta allora di trovare il modo migliore, criticamente più fondato e attualmente più consono, per acquisire, esplicitare, comunicare la piena comprensione della sua verità, così da esprimere l’attività essenziale della ragione umana non in astratto ma nel momento storico che attualmente attraversiamo. Questo compito non è da poco, come ognun vede, e pone alcune esigenze che ci sembrano imprescindibili, sia da parte della filosofia moderna sia da parte del tomismo stesso[4].

            Quindi per far fronte a questo compito di acquisire, esplicitare, e comunicare la verità nel nostro momento storico – dice Fabro – ci sono delle esigenze imprescindibili sia da parte della filosofia moderna, sia da parte dello stesso tomismo.

Ecco allora – per arrivare a ciò che più ci interessa – che Fabro nelle sollecitazioni di San Paolo VI, vede l’invito ad un tomismo essenziale, e comincia ad elencare le esigenze e le caratteristiche di questo tomismo essenziale:

–        Prima di tutto. Un «tomismo essenziale» [deve saper] trascendere qualsiasi sistema chiuso o «figura storica» particolare, compresa quella stessa di S. Tommaso nei punti in cui essa resta legata ai limiti della cultura del suo tempo;

[Allora il tomismo essenziale è un tomismo capace di occuparsi di questioni essenziali sapendo trascendere i sistemi chiusi o le particolari figure di pensiero legate ad un momento storico particolare]. [Quindi per esempio è necessario saper superare il limite storico, contenutistico ed ermeneutico del «sistema» della sua Scuola Tomistica che di fatto con la sua interpretazione ha deviato dal tomismo originario, allontanandosi dal vero san Tommaso].

 

–        Secondo. Un tomismo essenziale deve sapere non solo inserirsi nella problematica della cultura moderna, ma soprattutto deve poter interpretare dall’intimo le istanze nuove di libertà: [inserirsi nella problematica della cultura moderna, e interpretare dall’intimo le nuove istanze sulla libertà sorte con il pensiero moderno] per questo [dice ancora Fabro, il tomismo essenziale] deve dare maggior considerazione alla soggettività costitutiva nel senso nuovo che essa ha assunto come caratteristica fondamentale della vita dello spirito, – [e questa nuova concezione – dice Fabro –] è in profondo accordo con la concezione tomistica del soggetto spirituale libero – e si differenzia della soggettività trascendentale […] della filosofia moderna. [Quindi l’importanza di prendere in considerazione la soggettività costitutiva come caratteristica fondamentale della vita dello spirito mostrando la radicale differenza con la soggettività trascendentale della filosofia moderna].

–        E Terzo. Un tomismo essenziale infine deve approfondire il «problema del cominciamento» del pensiero mediante l’apprensione originaria dello ens[5].

Fabro quindi, in terzo luogo, insiste nel fatto che i problemi teoretici di diverso genere, se riportati al fondamento, trovano la loro radice, in un falso modo di intendere il cominciamento, ovvero in un falso modo di intendere l’inizio del pensiero, da cui deriva immancabilmente un falso modo di concepire la realtà. Come ben sappiamo un piccolo errore all’inizio diventa grande alla fine, per questo un errore nel modo di concepire l’inizio del pensiero si propaga necessariamente in ogni ambito del pensiero, non solo nella filosofia, ma anche nella teologia, nella morale, nella spiritualità, nella pastorale, ecc., ecc.

Le due posizioni principali sul cominciamento del pensiero sono, come sappiamo, quella immanentista e quella realista. Quando parliamo di cominciamento o di inizio del pensiero ovviamente non ci riferiamo ad un inizio temporale, che si dà in un momento e poi continua, ma a ciò che è a fondamento del pensiero in ogni atto di pensiero.

Il caposaldo del realismo – come sappiamo – è che l’essere fonda il pensiero e per questo il pensiero stesso inizia con il primo contatto con l’ente; Mentre per l’immanentismo è il pensiero che fonda l’essere, e per questo il pensiero inizia da sé stesso.

Perso questo primo contatto fondativo con l’ente, tutto il resto viene da sé.

Ecco perché tutte le attuali assurdità che a volte ci tocca ascoltare in teologia, in morale, o il constatare l’attuale tendenza, tanto di moda, di voler fare teologia a partire dalla pastorale invece che dalla rivelazione, hanno una radice immanentistica; è su questa base immanentistica che è sorta la teologia dal basso, o se volete la svolta antropologica, o ancora, per non andare troppo lontano nel tempo, è su questa base immanentistica che sono sorti i nuovi paradigmi… la radice di tutto questo, quindi, è che il pensiero è stato posto a fondamento dell’essere.

La semplice costatazione di questi fatti, come per esempio del fatto si stia dando il primato alla prassi pastorale rispetto alla dottrina, o che si stia alimentando una falsa dialettica tra dottrina e prassi pastorale, o ancora il constatare l’insorgere di nuovi paradigmi e vedere che nell’attuale modo di fare filosofia, teologia o morale, si stia dando sempre di più il primato all’ermeneutica per introdurre nuovi modi di interpretare la realtà… il constatare tutto ciò è certamente un’ottima analisi, ma si tratta pur sempre di un’analisi fenomenologica di quanto sta succedendo.

Più volte abbiamo ripetuto – ricordando quanto è stato detto da San Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio – che noi siamo chiamati a fare quel passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Perché il limitarsi alla constatazione dei problemi, attraverso un’analisi fenomenologica – sebbene sia utile in un primo momento – non risolve nulla.

I problemi devono essere ricondotti alla loro radice. Bisogna mostrare quale è il vero fondamento del reale e qual è il vero fondamento del pensiero, solo così potremmo porre gli uomini di pensiero, gli intellettualoidi dell’ermeneutica e dei nuovi paradigmi, di fronte all’assurdità e alla contraddizione della nuova morale, della nuova pseudo-teologia e, in definitiva, di fronte alla stessa assurdità dei nuovi paradigmi.

Fabro continua l’articolo con un nuovo richiamo a San Tommaso:

[Ecco che] Allora la scelta di S. Tommaso non ha carattere personale o confessionale, ma universale e trascendentale, perché vuol essere l’espressione più vigorosa delle possibilità della ragione nei suoi compiti verso la fondazione della scienza e della fede. Non tocca qui indicare le forme concrete di attuazione di tale tomismo a cui s’impegneranno gli studiosi del prossimo futuro, come sinceramente ci auguriamo. Comunque, dev’essere saldo che l’essenzialità di cui si parla dice intensità di problematica, approfondimento di principi, chiarificazione delle differenze, anzitutto rispetto alla dialettica moderna dell’immanenza il cui principio ispiratore più profondo, qual’è la soggettività trascendentale, ha portato la filosofia alla morte […]; poi, anzi prima di tutto [dice Fabro, chiarificazione delle differenze] rispetto alla Scolastica formalistica che [deviando da San Tommaso] ha preparato e provocato con la sua vuotaggine e carenza speculativa l’avvento del pensiero moderno. […] [Ecco allora che] Un «tomismo essenziale» comporta quindi un giudizio attivo sul pensiero umano e cristiano in generale e sullo stesso tomismo di fronte al pensiero moderno.


 

Una mera «ripetizione passiva» del pensiero di S. Tommaso ci riporterebbe […] al secolo XIII, mentre la storia non torna mai indietro ed incombe per ogni uomo di pensiero il dovere di inserirsi nei problemi e nelle ansie del proprio tempo, come l’Aquinate fece per il suo. [San Tommaso non studio sant’Agostino, lo Pseudo Dionigi, Aristotele, ecc. per trattare i problemi che c’erano nel periodo storico vissuto da questi autori, ma per coglierne i principi e risolvere i problemi del proprio tempo, cosi noi dobbiamo studiare san Tommaso non per occuparci dei problemi che San Tommaso dovette affrontare nel medioevo, ma per affrontare i problemi del nostro tempo].


[… Per questo] il tomismo può e deve mostrare come, dalla priorità di fondamento che compete all’essere sul pensiero, la ragione è sempre in grado di muoversi nel reale secondo l’apertura infinita delle sue possibilità, […].

 

[Ancora, riferendosi al tomismo essenziale] Non si tratta tanto – almeno nel primo momento del confronto col pensiero moderno – di un tomismo di tesi statiche e rigide che impongano un sistema, quanto di un tomismo di approfondimento di principi, dinamico e aperto sul fondo di tutte le valide acquisizioni di analisi e di metodo della scienza e della cultura moderna.

 

Nei sette secoli di distanza che ci separano dalla morte di San Tommaso [ormai sono quasi 750 anni], assertore intrepido del valore del pensiero e della dignità dello spirito umano, il mondo ha cambiato parecchie volte la sua figura esteriore ed interiore ed ora è in travaglio per una trasformazione che sarà forse la più decisiva e risolutiva della sua storia. Occorre affrontarla con un’altissima idea della dignità dell’uomo e con una ferma convinzione delle possibilità della sua mente, alla quale è stato affidato anzitutto il compito di scorgere nella natura i segni dell’Intelligenza suprema e di riconoscere nella storia i tratti del piano divino di salvezza per la redenzione dal male e la vittoria sulla morte[6].

Quindi riassumendo ci sono tre esigenze nel tomismo essenziale:

1.     Saper trascendere qualsiasi sistema chiuso o «figura storica» particolare, compresa quella stessa di S. Tommaso nei punti in cui essa resta legata ai limiti della cultura del suo tempo.

2.     Sapere non solo inserirsi nella problematica della cultura moderna, considerando le nuove istanze di libertà, ma dare anche maggior considerazione alla soggettività costitutiva come caratteristica fondamentale della vita dello spirito, in profondo accordo con la concezione tomistica del soggetto spirituale libero – e differenziando questa soggettività costitutiva dalla soggettività trascendentale della filosofia moderna.

3.     Approfondire il «problema del cominciamento» del pensiero, mostrando come esso sia sempre fondato dal primo contatto con l’ente.

Noi abbiamo deciso di impegnarci nel seguire le linee del tomismo essenziale perché siamo convinti che questo sia il modo corretto per leggere, comprendere e diffondere le opere di san Tommaso, e perché siamo convinti che queste opere siano un’immensa ricchezza per il mondo nel quale viviamo e per i secoli futuri.

Mostrare in una lectio brevis cosa implichino queste esigenze e la loro virtualità è praticamente impossibile, non basterebbe, a questo scopo, neanche un corso di un intero semestre. Forse potrebbe essere possibile dedicando un corso ad ognuna di queste tre esigenze.

Ma per non rimanere tanto nell’aria, perché so già che gli uditori si aspettano degli esempi, vorrei soffermarmi solo sulla seconda esigenza: quella che evidenzia l’importanza di dare maggiore considerazione alla soggettività costitutiva mostrando le differenze con la soggettività trascendentale. (Ultimo punto).

 

III – LA SOGGETTIVITA COSTITUTIVA

Un grande tema del pensiero moderno – come sappiamo – è la libertà e la soggettività….

Ma che cos’è la soggettività costitutiva di cui parla Fabro?

Prima di tutto bisogna sapere che la soggettività costitutiva non ha nulla a che vedere con il soggettivismo, ma riguarda ciò che rende ogni persona un soggetto unico, singolare, e – come dice Fabro – incomunicabile.

Nei suoi studi sulla soggettività costitutiva, trattando dell’io del soggetto, a volte Fabro chiama l’io “l’incomunicabile comunicante”. Lo chiama in questo modo perché l’io è incomunicabile, nel senso che io non posso comunicare a nessuno totalmente ciò che sono…nessuno può avere il mio io… e questo non solo perché nessuno può sapere fino in fondo cosa succede nel mio interiore, … ma neanche può sapere cosa succede ad un livello più esteriore, neanche a livello corporeo per esempio: se io sono malato nessuno può avere la mia stessa percezione del dolore fisico, causato dalla malattia. Difatti la stessa malattia è percepita da due persone in modo diverso. Ma neanche è possibile avere la stessa percezione della sofferenza o della gioia dell’anima. Le persone vivono lo stesso evento gioioso o di sofferenza in un modo diverso. E questo succede perché questo tipo di percezioni sono estremamente soggettive.

Quindi l’io è incomunicabile e questo a diversi livelli, dai livelli più profondi dell’anima a quelli più superficiali, fino ad arrivare a quelli sensibili. Però allo stesso tempo l’io è un comunicante, cioè il soggetto è un essere che comunica in molti modi: con i gesti, con i movimenti del corpo, con le espressioni del volto… Quando un professore fa lezione, per esempio riesce a capire molte cose degli studenti che ha di fronte: dai loro gesti, dal loro sguardo… riesce a capire se gli studenti sono attenti, se sono stanchi, se stanno capendo,… perché i gesti e i movimenti del proprio corpo sono in qualche modo un’espressione del soggetto; quindi si comunica in tanti modi… e anche con delle espressioni più elaborate e complesse di comunicazione come la parola, la scrittura, la poesia, la pittura, la musica… una persona che suona uno strumento musicale, immancabilmente, suonando, nel suo modo di suonare, esprime il proprio io, esprime se stesso come soggetto.

Quindi l’io è incomunicabile ma allo stesso tempo cerca di comunicare, sente come il bisogno, la necessità di comunicare. Per questo Fabro dice che l’io dell’uomo è “l’incomunicabile comunicante”. …l’io dell’uomo è l’incomunicabile comunicante, mentre l’io della donna è il comunicante incomunicabile, le donne sono essenzialmente comunicanti…

Ho pensato diverse volte all’incomunicabilità dell’io. E in effetti è così, nessun uomo può conoscere totalmente la soggettività costitutiva di un altro essere umano. L’unico che può conoscere totalmente la soggettività e la singolarità di un soggetto spirituale è solamente Dio. Abbiamo sentito dire tante volte che Dio ci conosce meglio di noi stessi. Ma bisogna capire bene che questa non è semplicemente un’espressione retorica! Si tratta di una profonda realtà filosofica! Cosa significa veramente che Dio ci conosce meglio di noi stessi?

Prima di tutto possiamo dire che Dio conosce perfettamente la nostra partecipazione dell’essere. Dio conosce perfettamente il nostro actus essendi partecipato, d’altra parte è Lui stesso che ce lo comunica continuamente, è Lui che continuamente ci sta creando, mantenendoci nell’essere, e lo fa proprio attraverso l’actus essendi partecipato, Dio è l’unico che lo conosce,… e siccome tutte le nostre attualità, tutte le nostre perfezioni, sia le nostre perfezioni costitutive, sia le nostre perfezioni operative, le virtù, gli abiti, gli atti che noi facciamo, ecc. hanno il loro fondamento nel nostro actus essendi – e non sono altro che espansioni della virtualità del nostro actus essendi – Dio, conoscendolo perfettamente, conosce tutto di noi in atto, in un modo perfettissimo. Quindi possiamo dire, con tutta certezza, che Dio conosce ognuno di noi molto meglio di come ognuno di noi possa conosce sé stesso; e questo perché ci conosce a partire da ciò che è più profondo, da ciò che è costitutivo, da ciò che fonda tutto quello che siamo, e tutto ciò che facciamo.

Noi uomini quando conosciamo un’altra persona la conosciamo a partire dall’esterno, ed è attraverso queste manifestazioni esteriori che cerchiamo di capire la sua realtà interiore e costitutiva. Per esempio sappiamo che per conoscere qualcosa dell’essenza dell’anima lo facciamo a partire dalle operazioni… ma anche nel caso di una singola persona, pensiamo per esempio al lavoro che deve svolgere il direttore spirituale, che è chiamato a conoscere l’interiorità dell’anima di una singola persona, per guidarla ed aiutarla ad unirsi a Dio… il direttore spirituale ordinariamente conosce un’anima dalle sue manifestazioni, e questo perché la persona diretta gli racconta cosa succede nella sua anima. Ma anche nei semplici rapporti tra persone noi conosciamo gli altri a partire dalle manifestazioni esteriori… Dio no, Dio ci conosce dall’interno – non da un interno psicologico – ma da un interno metafisico, perché Lui fonda e costituisce tutto ciò che siamo, e tutto ciò che facciamo.

Tutto questo che sto dicendo, e tutto quello che dirò ora riguardo al pensiero di Fabro sulla soggettività costitutiva è squisitamente fondato sui principi di san Tommaso, ovvero sulla dipendenza totale da Dio del soggetto spirituale libero e sulla sua indipendenza esistenziale.

Fabro quando parla dell’io e della soggettività fa una distinzione attraverso la quale è possibile intravedere la differenza fondamentale tra la soggettività costitutiva e la soggettività trascendentale. Leggendo Fabro infatti è possibile scorgere, potremmo dire, una certa duplicità dell’io: il costituirsi della soggettività dell’uomo: da una parte fa capo a quello che lui chiama l’io individuale (o persona) e dall’altra a ciò che lui chiama io esistenziale. Non si tratta ovviamente di due io ma di due aspetti dello stesso soggetto che però sono riconducibili a due principi distinti che sono l’essere e la libertà.

Che cosa intende Fabro quando parla di io individuale (o persona) e di io esistenziale?

L’«io individuale (o persona)» è per Fabro il soggetto singolare considerato nel suo aspetto costitutivo, cioè avente un actus essendi, che è ciò che lo rende una persona sussistente; per capirci, questo è ciò che fa che io sia la stessa persona da quando sono nato fino ad ora, e questa è quella che noi potremmo chiamare soggettività costitutiva a livello metafisico; quando invece Fabro parla di «io esistenziale» si riferisce alla soggettività che si auto-costituisce e si configura esistenzialmente attraverso gli atti liberi durante la vita, e che quindi è in continua evoluzione. Ed è sotto questo aspetto che è possibile dire invece che io non sono lo stesso di 25 anni fa, non tanto per i cambiamenti che ci sono stati nell’aspetto fisico…, ma soprattutto per i cambiamenti che ci sono stati nella mia struttura esistenziale, cambiamenti che sono derivati dai miei atti di libertà.

Vediamo allora che nella soggettività costitutiva di una persona ci sono due aspetti importantissimi che fanno capo a due fondamenti diversi: l’io individuale (o persona) che fa capo all’actus essendi partecipato di ognuno di noi, e l’io esistenziale che fa capo invece alla libertà di ognuno. È interessante notare che per entrambi questi aspetti dell’io si può parlare di incomunicabilità

– L’io individuale (o persona) è incomunicabile perché, come abbiamo detto, è riconducibile all’actus essendi partecipato di una persona che è singolarissimo e incomunicabile; ed essendo il fondamento di tutto ciò che un essere umano è, è anche singolarizzante e, potremmo anche dire personificante, cioè è ciò che fa che ognuno di noi sia una persona, singolare, unica e irripetibile, e proprio per questo, incomunicabile.

– Ma anche l’io esistenziale è incomunicabile: infatti, come abbiamo detto l’io esistenziale si costituisce per gli atti di libertà di una persona, ed essendo gli atti liberi incomunicabili, perché sono propri della persona – io non posso delegare le mie scelte libere a nessuno – allora anche l’io che ne deriva sarà incomunicabile.

Fabro, riferendosi a quest’io esistenziale, dice che l’io si costituisce mediante la libertà e la libertà si attua mediante l’io. Questo è molto profondo. Il nostro io esistenziale si costituisce mediante la libertà, perché è con gli atti di libertà che io divento esistenzialmente quello che sono, ma allo stesso tempo i nostri atti di libertà si attuano mediante l’io; sia mediante l’io individuale (o persona) – perché gli atti sono sempre della persona (del supposito) – sia mediante l’io esistenziale perché i nostri atti sono sempre fatti a partire da un io esistenziale che si trova già ad un certo stato del suo costituirsi.  Quindi se io faccio adesso un atto di libertà, sono io a farlo come persona, e sono io a farlo a partire dalla mia struttura esistenziale attuale. Possiamo dire che la mia libertà è fondata nel mio io individuale e si attua nello sfondo del mio io esistenziale attuale.

Riguardo alla soggettività quindi c’è un aspetto fondante e costitutivo a livello metafisico, e c’è un aspetto costitutivo ad un livello esistenziale, anch’esso fondato metafisicamente, ma che allo stesso tempo si auto-fonda esistenzialmente. Questo significa che quello che noi siamo esistenzialmente è quello che liberamente scegliamo di essere, e in questo senso noi ci creiamo come vogliamo. Vi leggo un testo di un autore recente che parla proprio di questo.

Gli atti umani sono atti morali, perché esprimono e decidono della bontà o malizia dell’uomo stesso che compie quegli atti. Essi non producono solo un mutamento dello stato di cose esterne all’uomo, ma, in quanto scelte deliberate, qualificano moralmente la persona stessa che li compie e ne determinano la fisionomia spirituale profonda, come rileva suggestivamente san Gregorio Nisseno: «Tutti gli esseri soggetti al divenire non restano mai identici a se stessi, ma passano continuamente da uno stato ad un altro mediante un cambiamento che opera sempre, in bene o in male… Ora, essere soggetto a cambiamento è nascere continuamente… Ma qui la nascita non avviene per un intervento estraneo, com’è il caso degli esseri corporei… Essa è il risultato di una scelta libera e noi siamo così, in certo modo, i nostri stessi genitori, creandoci come vogliamo, e con la nostra scelta dandoci la forma che vogliamo».

Questo testo, che a qualcuno potrebbe sembrare così vicino al pensiero moderno, è un testo di San Giovanni Paolo II del 1993, si trova nel n. 71 dell’Enciclica Veritatis Splendor – che ad agosto ha compiuto 30 anni. “Noi ci creiamo come vogliamo” dice San Giovanni Paolo II citando san Gregorio Nisseno (IV secolo d.C.). I nostri atti liberi qualificano moralmente la persona stessa che li compie e ne determinano la fisionomia spirituale profonda.

Si tratta di un testo che è in perfetta consonanza con il pensiero espresso da Fabro qualche decennio prima, fondato a sua volta nei principi di san Tommaso.

Ovviamente qui non possiamo inoltrarci in ulteriori approfondimenti, ci sarebbe per esempio da chiedersi cosa rende possibile, cioè qual è la condizione di possibilità di questo auto-costituirsi esistenziale della nostra fisionomia spirituale… Ma si tratta di una lectio brevis e, come abbiamo detto, questi temi sono materia almeno per un corso di un semestre.

            Il tema della soggettività costitutiva è un tema estremamente importante da trattare, specialmente nei nostri giorni, nei quali, per non fare le dovute differenze tra ambito metafisico e quello esistenziale, si è arrivati ad identificare il costitutivo della persona con la libertà o addirittura con le relazioni, ritenendo ormai obsoleta la definizione di persona come sostanza individuale di natura razionale [o spirituale se volete].

Un’infinità di errori sulla soggettività, sulla morale, sull’etica, sull’antropologia, sia filosofica che teologica, derivano da questa falsa concezione della persona, che a sua volta deriva dal non saper distinguere adeguatamente, nel soggetto spirituale, i due piani di cui abbiamo parlato.

Per questo le distinzioni di Fabro tra l’io individuale e l’io esistenziale ci danno una corretta nozione della soggettività dell’essere umano, distinguendo ciò che è costitutivo ad un livello metafisico da ciò che lo è ad un livello esistenziale, e ci permettono di affrontare con estrema chiarezza i diversi problemi di ordine etico, morale, antropologico e perfino teologico, o teologico-pastorale se volete.

Chi afferma che il costitutivo della persona è la libertà o le relazioni, in realtà non fa altro che dissolvere la realtà sostanziale della persona, metafisicamente costituita – avente una natura ed un fine ben determinati – storicizzandola, e riducendola ad un essere totalmente in balia della sua esistenza; …perché se la libertà o le relazioni fossero il costitutivo della persona, la soggettività costitutiva ad un livello metafisico sarebbe totalmente assorbita dalla soggettività esistenziale e l’uomo creerebbe, con il suo agire libero, non solo la sua struttura esistenziale, ma anche la sua struttura ontologica, la sua natura… e le leggi ad essa intrinseche cambierebbero continuamente, ecco perché i nuovi paradigmi.

I problemi quindi – ancora una volta – non si risolvono nel semplice constatare l’esistenza delle deviazioni in campo etico, morale o teologico, perché altrimenti saremmo ancora fermi ad un’analisi fenomenologica ed epidermica di ciò che sta accadendo… bisogna risalire al fondamento, solo così potremo proporre con forza il pensiero di san Tommaso alle nuove generazioni per risolvere gli attuali problemi; Ecco perché Fabro insiste sul fatto che non possiamo fermarci ad uno studio dei testi dell’Angelico che si limiti a ripeterne le formule, ma dobbiamo approfondirne i principi, scoprendone la ricchissima virtualità. Perché solo attraverso una vera assimilazione dei principi dell’Aquinate ed una profonda conoscenza del pensiero moderno è possibile far fronte alle nuove sfide culturali che incalzano nel nostro tempo.            

L’intercessione di San Tommaso specialmente in questo triennio di celebrazioni in sua memoria, ci aiuti in questi approfondimenti, per poter incidere nella cultura contemporanea affinché, con l’aiuto di Dio, la nostra evangelizzazione sia veramente efficace.

 

(Español – Traducción automática)

Santo Tomás, tomismo esencial
y subjetividad constitutiva

Estamos en el trienio de conmemoraciones en honor de Santo Tomás de Aquino.

Como sabemos, el pasado 18 de julio se cumplieron 700 años de su canonización en 1323; el 7 de marzo del próximo año se cumplirán 750 años de su muerte, y en 2025 se celebrará el octavo centenario de su nacimiento. Providencialmente, es en este contexto temporal -pero también en este lugar físico, con todo lo que ello significa- en el que quisiera abordar tres puntos:

1.     Primero, diga algo brevemente sobre la santidad de Santo Tomás,

2.     En segundo lugar, reafirmar la importancia que tiene para todos nosotros poner en práctica lo que Cornelio Fabro llamó el tomismo esencial,

3.     Y finalmente mostrar, bajando un poco más a lo concreto, cómo una de las exigencias del tomismo esencial es dar mayor importancia a la subjetividad constitutiva de la persona.

 

I – LA SANTIDAD DE SANTO TOMÁS

Es difícil hacer una descripción resumida de la vida de un gran santo como Tomás, no tanto por las cosas que hizo, que nos resultan evidentes -me refiero sobre todo a las grandes obras que nos dejó-, sino que es difícil sobre todo porque la santidad está hecha, en última instancia, de cosas que no se ven.

Un santo lo es para la vida del alma, y aunque hay algo que todos los santos tienen en común -que es su unión con Dios en esta vida, que se hace plena y permanente en la otra-, los santos son, en el fondo, todos distintos, cada uno con su propia historia, hecha de mil actos de libertad en los que el santo renueva su amor y su elección de Dios antes que su elección y amor de cualquier otra cosa; actos de libertad que en el santo constituyen su propio yo, cada vez más conformado a Dios, hasta la unión transformadora que hace presente al amado en el amante de un modo muy especial.

A pesar de que es tan difícil entrar en el mundo del alma de un santo, creemos que todavía es posible vislumbrar algunos atisbos del cielo a partir de sus obras y su personalidad… y esto también se aplica a Santo Tomás. Todos conocemos algo de su vida; me limitaré a algunos pequeños atisbos, relatados por los biógrafos.

Su mirada -relatan los biógrafos- se perdía a menudo en pensamientos que volaban mucho más allá de las preocupaciones terrenales y denotaban una llama interior, una preocupación constante y apasionada por lo eterno.

Casi siempre estaba absorto en sus propios pensamientos y en su vida interior, pero esto no significaba en absoluto que Tomás fuera introvertido o despreocupado por los demás. Dirigía constantemente su atención a las almas de las personas que le rodeaban sin importarle lo más mínimo la posición social de sus interlocutores. Podía estar hablando con un rey o con un campesino, y lo que más le importaba era el alma de la persona que tenía delante.

Era capaz de tratar con pasión los temas de las cuestiones importantes que estudiaba, pero luego callaba habitualmente y, muchas veces, su silencio era más elocuente que cualquier palabra.

Todos los santos, como sabemos, tienen un horror instintivo al fariseísmo, a las apariencias, pero Santo Tomás en esto tenía una sensibilidad muy particular, trataba por todos los medios de ocultar las cosas que sucedían en su vida interior, que -dicen algunos biógrafos- parecía penetrada por un gran misterio. Poco le importó, por ejemplo, que le sorprendieran, completamente absorto en la resolución de un asunto, mientras estaba a la mesa con San Luis IX, rey de Francia, pero la sola idea de que pudiera conocerse su aparición de San Pablo le alarmó profundamente.

Le encantaba bromear, bromeaba con naturalidad y honestidad, pero rehuía instintivamente las multitudes y el ruido.

La nota dominante de su carácter era la serenidad -una serenidad muy especial- que invadía poco a poco el alma de quienes trataban con él, como la serenidad que invade al observador cuando contempla un paisaje tranquilo con un gran horizonte.

Tenía un alma muy pura y era casto como un niño. Su castidad parece haber quedado sellada tras el episodio de la torre ocurrido entre 1244 y 1245, sabemos que una mujer se introdujo en el castillo de Monte San Giovanni para inducirle a abandonar su vocación. Santo Tomás, confiando en Dios, superó esta tentación y desde entonces parece que su alma permaneció pura hasta los últimos momentos de su vida. El hermano Reginaldo da Piperno, que además de ser su secretario fue también su confesor, dice que su alma era tan inocente que sus confesiones sonaban como las de un niño de cinco años.

A medida que nos acercamos a los últimos años de su vida terrena, como ocurre en los santos, su vida interior parece intensificarse cada vez más, y es a partir de lo que sabemos de estos últimos años que quizá podamos penetrar un poco más en su alma.

Quienes piensen que Santo Tomás fue sólo un hombre de estudio, un razonador silogista, se asombrarán sin duda al leer lo que los biógrafos cuentan sobre los últimos años de su vida… son visiones, conversaciones interiores, alejamientos de los sentidos… anticipaciones de otra vida de la que Santo Tomás sentía una atracción cada vez más fuerte.

Luego hay episodios de la vida mística que todos conocéis, como el del Crucifijo de París, que confirmó a Tomás que había escrito bien el tratado sobre la Eucaristía. También está el episodio del Crucifijo en el convento de Santo Domingo de Nápoles, que -después de hablar con Tomás diciéndole: ‘Has escrito bien de mí’- le preguntó qué quería como recompensa por su trabajo. Santo Tomás respondió simplemente: ‘Nada más que a Ti, Señor’.

Sabemos bien que, después de estos episodios, Tomás ya no quería escribir. Todo lo que había escrito le parecía paja en comparación con lo que Dios le había mostrado. Esto nos da una idea de lo enorme que es la distancia entre lo que podemos saber de Dios por la razón natural, y lo que podemos saber cuando es Dios mismo quien ilumina nuestras mentes con un conocimiento infuso… Sin embargo, esto no nos exime de hacer todo lo posible por conocerlo, en la medida de lo posible, con nuestra razón natural. Esto hizo Tomás cumpliendo la voluntad de Dios. Y probablemente el conocimiento infuso, además de ser evidentemente un don de Dios, fue también una recompensa por su gran empeño en la búsqueda y difusión de la verdad.

La de Santo Tomás fue una vida dedicada al apostolado intelectual: escribir, enseñar, predicar. Pero esto es sólo lo que aparece exteriormente, recordemos que la vida de un santo, en realidad, es sobre todo lo que sucede en el alma. Ciertamente, lo que se ve externamente puede manifestar de alguna manera el alma del santo… y en el alma de Santo Tomás sucedieron cosas maravillosas; algunas de ellas se manifestaron externamente, en sus obras, en su predicación, en sus gestos, en su personalidad… pero muchas otras permanecieron ocultas en Dios.

Creo, pues, que éste es sobre todo el ejemplo que Santo Tomás nos ofrece a los profesores y alumnos del Centro de Estudios Avanzados “Fides et Ratio”: el compromiso incesante, constante, caritativo, en la búsqueda y difusión de la verdad. Pero junto a este compromiso, la búsqueda continua de una intensa vida interior, porque sólo es posible penetrar a fondo en la verdad y darla a conocer en la medida en que se vive una profunda unión con la Verdad encarnada.

 

II – EL COMPROMISO DE APLICAR EL TOMISMO ESENCIAL

Hoy, quizá más que nunca, urge penetrar profundamente en la verdad y darla a conocer.  Vivimos en un mundo en el que reina la confusión y en el que domina la convicción malsana de que los problemas a los que nos enfrentamos en nuestro tiempo ya no se resuelven identificando sus causas, para encontrar la solución en su raíz, sino inventando nuevos paradigmas; engañándose, de este modo, de que los problemas se disolverán y desaparecerán; se llega así a engañarse de que lo que antes era pecado ahora ya no lo es, y por tanto -por ejemplo- que lo que antes era una situación objetiva de adulterio, ahora, por la situación subjetiva de la persona que lo comete, deja de serlo; No sólo eso, sino que incluso llegan a invertir la verdad misma de las cosas, de modo que, por ejemplo, lo que antes era una obra de misericordia espiritual, como “amonestar a los pecadores”, ahora parece que ya no lo es, y entonces no sólo hay que aceptar al pecador -como es justo-, sino que también hay que aceptar su pecado, evitando cualquier amonestación para no disgustar al pobre pecador… así es como, en los diversos ámbitos de la filosofía, la teología o la moral, nos hacemos la ilusión de que los nuevos paradigmas resolverán los problemas, cuando en realidad estos problemas no sólo seguirán existiendo, sino que seguirán multiplicándose.

Esta es una de las muchas razones por las que es tan urgente un retorno al tomismo; porque estamos profundamente convencidos -y lo estamos cada vez más- de que Santo Tomás puede ayudarnos como ningún otro en esta misión del apostolado de la verdad… reafirmando que hay verdades perennes que trascienden toda situación cultural, histórica y temporal… y por tanto también todo paradigma.

Santo Tomás, como bien sabemos, fue ante todo un teólogo, pero no olvidemos que el Angélico fue un gran teólogo precisamente porque -además de fundar su teología en la fe y en un serio camino de santidad, como debe ser- la fundó también sobre una sólida base filosófica.

Los principios del ‘Credo ut intelligam’ y del ‘Intelligo ut credam’ expuestos por San Agustín y repropuestos siglos más tarde en la encíclica Fides et Ratio... estaban muy claros en la mente del Aquinate, así como su firme y clara convicción de que sin una sólida inteligencia filosófica, las verdades que nos ofrece la revelación pueden ser muy fácilmente malinterpretadas, tergiversadas e incluso falseadas… y no creo que haga falta poner ejemplos para convencerse de ello, dada la situación actual.

Por eso es a través de una sólida filosofía realista -condición sine qua non para una correcta comprensión teológica- como queremos leer y estudiar a Santo Tomás.

Sin embargo, habiéndonos propuesto desde el principio no seguir cualquier tomismo, sino el tomismo esencial del que habla el padre Cornelio Fabro, no queremos limitarnos a leer y estudiar a Santo Tomás, sino que queremos comprometernos a escrutar en profundidad la virtualidad de sus principios, para abordar los problemas del mundo moderno.

En las directrices de nuestro Centro de Estudios Avanzados se dice claramente que para el estudio de Santo Tomás hemos decidido adoptar como Carta Magna la encíclica Fides et Ratio de San Juan Pablo II, y se dice también que seguiremos las líneas del tomismo esencial señaladas por el Padre Cornelio Fabro.

Pero, ¿qué es el tomismo esencial?

En 1965, el padre Fabro escribió un artículo publicado en la revista Aquinas con el título “Por un tomismo esencial“; este artículo fue luego reeditado como primer capítulo del volumen Tomismo y pensamiento moderno en 1969. Se trata de un artículo de pocas páginas, unas quince, en el que se pone de relieve la fuerza y la virtud contenidas en el pensamiento de Santo Tomás para hacer frente a las exigencias del pensamiento moderno; y no es casualidad que este artículo fuera colocado por el padre Fabro precisamente como primer capítulo del volumen Tomismo e pensiero moderno. Como si quisiera decir que se necesita un tomismo esencial para afrontar los problemas del pensamiento moderno y del mundo moderno.

Fabro introdujo este artículo con una observación sobre la crisis que atravesaba la filosofía en el siglo pasado; una crisis en la que la filosofía está ahora más que metida en nuestros tiempos. Sin embargo, no se trata de una crisis cualquiera, sino de una muy particular, y al describirla, Fabro tiene casi una visión profética de lo que está ocurriendo en nuestra época:

El enorme desarrollo exuberante de la ciencia y la tecnología, que se disponen a cambiar la forma del mundo y la estructura de los Estados, contrasta con la insignificancia o ausencia de la filosofía en la configuración del mundo contemporáneo: así, el hombre, todo él proyectado fuera de sí en la acción, ha perdido por completo el sentido de su yo, que se ha convertido en un locus vacuus.

[…] Ésta es la crisis esencial del pensamiento mismo que viene madurando desde hace tres siglos, desde que Descartes en particular quiso hacer el comienzo o “comienzo absoluto” con el cogito puro, es decir, con la conciencia vaciada de todo contenido, como capacidad vacía. Y como todos los expedientes para colmarla o ponerla en práctica se han revelado de vez en cuando […] inútiles, la filosofía tiene ahora lo que se merecía, porque lo quería: la insignificancia, el vacío, la incapacidad de volver a conectar al hombre con la realidad y de reconducirlo al origen del logos esencial para captar el espíritu en estado naciente.

 

La tarea propia y primordial de la filosofía [… en cambio] es volver al fundamento[7] .

En 1965 Fabro decía que la tarea propia y primordial de la filosofía es volver al fundamento. Unos 33 años más tarde, en su Encíclica Fides et Ratio, San Juan Pablo II diría que “Un gran desafío [… que el hombre está llamado a afrontar] es el de saber hacer la transición, tan necesaria como urgente, del fenómeno al fundamento”[8] .

Las escuelas filosóficas y las filosofías -afirma más adelante Fabro- se han multiplicado, ocupándose de particularidades específicas y de campos múltiples, así han surgido la filosofía del lenguaje, la filosofía hermenéutica, la filosofía jurídica, la filosofía del arte, etc., pero -continúa el padre Fabro- la filosofía debe estrechar su campo, de hecho, “cuanto más estrecha su campo la filosofía, más esencial se hace su reflexión“.

Está claro, pues, que para Fabro la filosofía debe ocuparse de la reflexión esencial y, por tanto, además de analizar la estructura y el dinamismo de la realidad, debe ocuparse sobre todo de rastrear el fundamento de lo real.

En esta situación [de crisis, dice el padre Fabro], no debe sorprender a nadie que la Iglesia siga refiriéndose desde hace un siglo a su mayor genio especulativo, Santo Tomás de Aquino, el filósofo por excelencia del acto de ser al que, primero la escolástica decadente y luego la filosofía de la inmanencia, habían vuelto la espalda[9] .

            Y comienza refiriéndose a una carta que el Papa San Pablo VI envió al Maestro General de los Dominicos unos meses antes de que escribiera este artículo. La carta de Pablo VI esboza las diversas tareas que la orden dominicana debería emprender para intentar de alguna manera salvar el pensamiento; el compromiso principal es seguir un tomismo auténtico, extraído directamente de la fuente, sin contaminación, y traído de vuelta a las necesidades de nuestro tiempo para la determinación de la verdad.

            Tras destacar varios pasajes de esta carta, Fabro dice que el contenido más estimulante es precisamente la llamada del Papa Pablo IV a una seria confrontación del pensamiento de Santo Tomás con el pensamiento moderno y la conciencia moderna (cito):

El documento pontificio parte de la convicción de que la filosofía del ser, tal como se encuentra en las obras de Santo Tomás, es la verdadera orientación filosófica para la humanidad; el problema fundamental es, pues, encontrar el mejor modo, críticamente más fundamentado y actualmente más adecuado, de adquirir, explicar y comunicar la plena comprensión de su verdad, para expresar la actividad esencial de la razón humana no en abstracto, sino en el momento histórico que estamos atravesando. No es ésta una tarea pequeña, como todos pueden ver, y nos plantea ciertas exigencias que parecen ineludibles, tanto por parte de la filosofía moderna como por parte del propio tomismo[10] .

            Por lo tanto, para cumplir con esta tarea de adquirir, explicar y comunicar la verdad en nuestro momento histórico”, dice Fabro, “hay exigencias ineludibles tanto por parte de la filosofía moderna como del propio tomismo”.

He aquí entonces -para llegar a lo que más nos interesa- que Fabro ve en las solicitaciones de San Pablo VI una invitación a un tomismo esencial, y comienza a enumerar los requisitos y características de este tomismo esencial:

–        En primer lugar. Un ‘tomismo esencial’ [debe ser capaz de] trascender cualquier sistema cerrado o ‘figura histórica’ particular, incluyendo la del propio Santo Tomás en aquellos puntos en los que permanece atado a los límites de la cultura de su tiempo;

[Luego el tomismo esencial es un tomismo capaz de abordar cuestiones esenciales, sabiendo trascender sistemas cerrados o figuras particulares de pensamiento ligadas a un momento histórico concreto]. [Así, por ejemplo, hay que saber superar el límite histórico, de contenido y hermenéutico del “sistema” de su Escuela tomista, que de hecho con su interpretación se desvió del tomismo original, alejándose del verdadero Santo Tomás].

 

–        Segundo. Un tomismo esencial no sólo debe ser capaz de insertarse en la problemática de la cultura moderna, sino sobre todo debe ser capaz de interpretar desde dentro las nuevas instancias de libertad: [insertarse en la problemática de la cultura moderna, e interpretar desde dentro las nuevas instancias sobre la libertad que han surgido con el pensamiento moderno] para ello [dice de nuevo Fabro, el tomismo esencial] debe dar mayor consideración a la subjetividad constitutiva en el nuevo sentido que ha asumido como característica fundamental de la vida del espíritu, – [y esta nueva concepción – dice Fabro -] está en profundo acuerdo con la concepción tomista del sujeto espiritual libre – y difiere de la subjetividad trascendental […] de la filosofía moderna. [De ahí la importancia de considerar la subjetividad constitutiva como característica fundamental de la vida del espíritu, mostrando la diferencia radical con la subjetividad trascendental de la filosofía moderna].

–        Y en tercer lugar. Por último, un tomismo esencial debe ahondar en el “problema del comienzo” del pensamiento a través de la aprehensión originaria del ens[11] .

Por tanto, Fabro, en tercer lugar, insiste en que los problemas teóricos de diversa índole, si son reconducidos al fundamento, encuentran su raíz en una falsa manera de entender el principio, es decir, en una falsa manera de entender el principio del pensamiento, de la que deriva invariablemente una falsa manera de concebir la realidad. Como bien sabemos, un pequeño error al principio se convierte en un gran error al final, por lo que un error en el modo de concebir el principio del pensamiento se extiende necesariamente a todas las esferas del pensamiento, no sólo en la filosofía, sino también en la teología, la moral, la espiritualidad, la pastoral, etc., etc.

Las dos posiciones principales sobre el comienzo del pensamiento son, como sabemos, la inmanentista y la realista. Cuando hablamos del comienzo o inicio del pensamiento no nos referimos evidentemente a un comienzo temporal, que se da en un momento y luego continúa, sino a aquello que es el fundamento del pensamiento en todo acto de pensamiento.

La piedra angular del realismo -como sabemos- es que el ser fundamenta el pensamiento, y por ello el pensamiento mismo comienza con el primer contacto con el ser; mientras que para el inmanentismo es el pensamiento el que fundamenta el ser, y por ello el pensamiento comienza consigo mismo.

Una vez que se pierde este primer contacto fundacional con la entidad, todo lo demás se viene abajo.

Por eso todas las tonterías actuales que a veces tenemos que escuchar en teología, en moral, o la tendencia actual, tan de moda, de querer hacer teología desde la pastoral más que desde la revelación, tiene una raíz inmanentista; sobre esta base inmanentista surgió la teología desde abajo, o si se quiere el giro antropológico, o de nuevo, para no ir demasiado atrás en el tiempo, sobre esta base inmanentista surgieron los nuevos paradigmas…. la raíz de todo esto, entonces, es que el pensamiento se ha colocado en el fundamento del ser.

La simple constatación de estos hechos, como que se está dando primacía a la praxis pastoral sobre la doctrina, o que se está alimentando una falsa dialéctica entre doctrina y praxis pastoral, o incluso constatar la aparición de nuevos paradigmas y ver que en el modo actual de hacer filosofía, teología o moral se está dando cada vez más primacía a la hermenéutica para introducir nuevas formas de interpretar la realidad…. Observar esto es ciertamente un excelente análisis, pero no deja de ser un análisis fenomenológico de lo que está ocurriendo.

Hemos dicho repetidamente -recordando lo dicho por San Juan Pablo II en Fides et Ratio- que estamos llamados a hacer ese tránsito, tan necesario como urgente, del fenómeno al fundamento. Porque limitarse a la constatación de los problemas mediante el análisis fenomenológico -aunque útil al principio- no resuelve nada.

Hay que llevar los problemas a sus raíces. Debemos mostrar cuál es el verdadero fundamento de la realidad y cuál es el verdadero fundamento del pensamiento, sólo así podremos enfrentar a los hombres del pensamiento, a los intelectuales de la hermenéutica y de los nuevos paradigmas, con el absurdo y la contradicción de la nueva moral, de la nueva pseudoteología y, en última instancia, con el absurdo mismo de los nuevos paradigmas.

Fabro continúa el artículo con una nueva referencia a Santo Tomás:

[Aquí es que] Entonces la opción de Santo Tomás no tiene un carácter personal o confesional, sino universal y trascendental, porque quiere ser la expresión más vigorosa de las posibilidades de la razón en sus tareas hacia la fundamentación de la ciencia y de la fe. No nos corresponde indicar aquí las formas concretas de aplicación de tal tomismo con las que se comprometerán los estudiosos del futuro próximo, como sinceramente esperamos. Sin embargo, debe quedar firmemente establecido que la esencialidad de la que hablamos habla de la intensidad de la problemática, de la profundización de los principios, de la clarificación de las diferencias, en primer lugar con respecto a la dialéctica moderna de la inmanencia, cuyo principio inspirador más profundo, la subjetividad trascendental, ha llevado a la filosofía a su muerte […]; luego, en efecto, ante todo [dice Fabro, clarificación de las diferencias] con respecto a la Escolástica formalista que [desviándose de Santo Tomás] preparó y provocó con su vaciedad y deficiencia especulativa el advenimiento del pensamiento moderno. […] Un “tomismo esencial” supone, pues, un juicio activo sobre el pensamiento humano y cristiano en general y sobre el propio tomismo frente al pensamiento moderno.

 

Una mera ‘repetición pasiva’ del pensamiento de Santo Tomás nos retrotraería […] al siglo XIII, mientras que la historia nunca retrocede y es deber de todo hombre de pensamiento insertarse en los problemas y angustias de su propio tiempo, como hizo el Aquinate con el suyo. [Santo Tomás no estudió a San Agustín, Pseudo-Dionisio, Aristóteles, etc. para tratar los problemas que existían en el período histórico que vivieron estos autores, sino para captar los principios y resolver los problemas de su propio tiempo, del mismo modo que nosotros debemos estudiar a Santo Tomás no para tratar los problemas que Santo Tomás tuvo que afrontar en la Edad Media, sino para tratar los problemas de nuestro propio tiempo].

[… Por eso] el tomismo puede y debe mostrar cómo, desde la prioridad de fundamento que corresponde al ser sobre el pensamiento, la razón es siempre capaz de moverse en lo real según la infinita apertura de sus posibilidades, […].

 

[De nuevo, refiriéndose al tomismo esencial] No se trata tanto -al menos en el primer momento de confrontación con el pensamiento moderno- de un tomismo de tesis estáticas y rígidas que imponen un sistema, como de un tomismo de profundización en los principios, dinámico y abierto al trasfondo de todas las adquisiciones válidas de análisis y método de la ciencia y la cultura modernas.

 

En los siete siglos que nos separan de la muerte de Santo Tomás [ahora casi 750 años], el intrépido afirmador del valor del pensamiento y de la dignidad del espíritu humano, el mundo ha cambiado varias veces su aspecto exterior e interior, y se encuentra ahora en plena transformación, que será tal vez la más decisiva y determinante de su historia. Debe abordarse con una idea muy elevada de la dignidad del hombre y con una firme convicción de las posibilidades de su mente, a la que se ha confiado ante todo la tarea de discernir en la naturaleza los signos de la Inteligencia suprema y de reconocer en la historia los rasgos del plan divino de salvación para la redención del mal y la victoria sobre la muerte[12].

En resumen, hay tres requisitos en el tomismo esencial:

1.     Saber trascender cualquier sistema cerrado o “figura histórica” particular, incluida la del propio Santo Tomás, donde permanece atado a los límites de la cultura de su tiempo.

2.     Saber no sólo insertarse en la problemática de la cultura moderna, considerando las nuevas instancias de libertad, sino también dar mayor consideración a la subjetividad constitutiva como característica fundamental de la vida del espíritu, en profundo acuerdo con la concepción tomista del sujeto espiritual libre -y diferenciando esta subjetividad constitutiva de la subjetividad trascendental de la filosofía moderna.

3.     Profundizar en el “problema del comienzo” del pensamiento, mostrando cómo éste se funda siempre en el primer contacto con el ente.

Hemos decidido comprometernos a seguir las líneas del tomismo esencial porque estamos convencidos de que ésta es la manera correcta de leer, comprender y difundir las obras de Santo Tomás, y porque estamos convencidos de que estas obras son una inmensa riqueza para el mundo en que vivimos y para los siglos futuros.

Mostrar en una lectio brevis lo que implican estas exigencias y su virtualidad es prácticamente imposible; ni siquiera un curso de un semestre completo bastaría para ello. Tal vez sería posible dedicar un curso a cada una de estas tres exigencias.

Pero para no quedarme tanto en el aire, porque ya sé que los oyentes esperarán ejemplos, me gustaría centrarme sólo en el segundo requisito: el que subraya la importancia de dar mayor consideración a la subjetividad constitutiva mostrando las diferencias con la subjetividad trascendental. (Último punto).

 

III – SUBJETIVIDAD CONSTITUTIVA

Un tema importante del pensamiento moderno -como sabemos- es la libertad y la subjetividad….

Pero, ¿cuál es la subjetividad constitutiva de la que habla Fabro?

En primer lugar, hay que saber que la subjetividad constitutiva no tiene nada que ver con el subjetivismo, sino que se refiere a lo que hace de cada persona un sujeto único, singular y -como dice Fabro- incomunicable.

En sus estudios sobre la subjetividad constitutiva, al tratar del yo del sujeto, Fabro llama a veces al yo el “incomunicable comunicador”. Lo llama así porque el yo es incomunicable, en el sentido de que no puedo comunicar a nadie totalmente lo que soy… nadie puede tener mi yo… y esto no sólo porque nadie puede saber lo que pasa dentro de mí hasta el final, … sino que tampoco puede saber lo que pasa a un nivel más externo, ni siquiera a nivel corporal por ejemplo: si estoy enfermo, nadie puede tener la misma percepción del dolor físico causado por la enfermedad que yo. De hecho, una misma enfermedad es percibida de forma diferente por dos personas. Pero tampoco se puede tener la misma percepción del sufrimiento o de la alegría del alma. Las personas experimentan el mismo acontecimiento de alegría o sufrimiento de manera diferente. Y esto ocurre porque este tipo de percepciones son extremadamente subjetivas.

Así pues, el yo es incomunicable, y ello a distintos niveles, desde los más profundos del alma hasta los más superficiales, pasando por los sensibles. Pero al mismo tiempo el yo es un comunicador, es decir, el sujeto es un ser que se comunica de muchas maneras: con gestos, con movimientos corporales, con expresiones faciales… Cuando un profesor da una clase, por ejemplo, puede entender muchas cosas de los alumnos que tiene delante: de sus gestos, de su mirada… puede entender si los alumnos están atentos, si están cansados, si están entendiendo,… porque los gestos y los movimientos del propio cuerpo son de alguna manera una expresión del sujeto; por lo tanto uno se comunica de muchas maneras… y también con expresiones más elaboradas y complejas de comunicación como el habla, la escritura, la poesía, la pintura, la música… una persona que toca un instrumento musical, invariablemente, al tocar, en su manera de tocar, expresa su propio yo, se expresa como sujeto.

Así que el yo es incomunicable pero al mismo tiempo busca comunicar, siente como la necesidad, la necesidad de comunicar. Por eso Fabro dice que el yo del hombre es el “incomunicable comunicante”. …el yo del hombre es el incomunicable comunicador, mientras que el yo de la mujer es el incomunicable comunicador, la mujer es esencialmente comunicadora…

He reflexionado varias veces sobre la incomunicabilidad del yo. Y efectivamente es así, ningún hombre puede conocer totalmente la subjetividad constitutiva de otro ser humano. El único que puede conocer totalmente la subjetividad y la singularidad de un sujeto espiritual es sólo Dios. Hemos oído decir muchas veces que Dios nos conoce mejor que nosotros mismos. Pero hay que comprender bien que no se trata de una simple expresión retórica. Es una profunda realidad filosófica. ¿Qué significa realmente que Dios nos conoce mejor que nosotros mismos?

En primer lugar podemos decir que Dios conoce perfectamente nuestro actus essendi participado en el ser. Dios conoce perfectamente nuestro actus essendi participado, por otra parte es Él mismo quien continuamente nos lo comunica, es Él quien continuamente nos está creando, manteniéndonos en el ser, y lo hace precisamente a través del actus essendi participado, Dios es el único que lo conoce,… y puesto que todas nuestras actualidades, todas nuestras perfecciones, tanto nuestras perfecciones constitutivas como nuestras perfecciones operativas, las virtudes, las vestimentas, los actos que hacemos, etc. tienen su fundamento en nuestro actus essendi -y no son otra cosa que expansiones de la virtualidad de nuestro actus essendi- Dios, conociéndolo perfectamente, lo sabe todo de nosotros en acto, del modo más perfecto. Por eso podemos decir, con toda certeza, que Dios nos conoce a cada uno de nosotros mucho mejor de lo que cualquiera de nosotros puede conocerse a sí mismo; y esto porque nos conoce desde lo más profundo, desde lo constitutivo, desde lo que fundamenta todo lo que somos y todo lo que hacemos.

Cuando los seres humanos llegamos a conocer a otra persona lo hacemos desde el exterior, y es a través de estas manifestaciones externas que intentamos comprender su realidad interna, constitutiva. Por ejemplo, sabemos que para conocer algo de la esencia del alma, lo hacemos a partir de las operaciones… pero incluso en el caso de una persona individual, pensemos por ejemplo en el trabajo del director espiritual, que está llamado a conocer la interioridad del alma de una persona individual, para guiarla y ayudarla a unirse con Dios… el director espiritual conoce ordinariamente un alma a partir de sus manifestaciones, y ello porque la persona dirigida le cuenta lo que pasa en su alma. Pero incluso en las simples relaciones entre personas conocemos a los demás por las manifestaciones externas… Dios no, Dios nos conoce desde dentro -no desde un interior psicológico- sino desde un interior metafísico, porque Él funda y constituye todo lo que somos y todo lo que hacemos.

Todo lo que estoy diciendo, y todo lo que diré ahora acerca del pensamiento de Fabro sobre la subjetividad constitutiva está exquisitamente fundamentado en los principios de Santo Tomás, a saber, la total dependencia del sujeto espiritual libre de Dios y su independencia existencial.

Cuando Fabro habla del yo y de la subjetividad, hace una distinción a través de la cual es posible vislumbrar la diferencia fundamental entre subjetividad constitutiva y subjetividad trascendental. De hecho, leyendo a Fabro es posible vislumbrar, podríamos decir, una cierta duplicidad del yo: la constitución de la subjetividad del hombre: por un lado se refiere a lo que él llama el yo individual (o persona) y por otro a lo que él llama el yo existencial. Evidentemente, no se trata de dos yoes, sino de dos aspectos de un mismo sujeto que, sin embargo, pueden remontarse a dos principios distintos que son el ser y la libertad.

¿A qué se refiere Fabro cuando habla del yo individual (o persona) y del yo existencial?

El ‘yo individual (o persona)’ es para Fabro el sujeto singular considerado en su aspecto constitutivo, es decir, poseedor de un actus essendi, que es lo que lo hace persona subsistente; para entendernos, esto es lo que hace que yo sea la misma persona desde que nací hasta ahora, y esto es lo que podríamos llamar subjetividad constitutiva a nivel metafísico; por otro lado, cuando Fabro habla de “yo existencial”, se refiere a la subjetividad que se autoconstituye y configura existencialmente a través de los actos libres durante la vida, y que por tanto está en constante evolución. Y es en este sentido en el que se puede decir, por otra parte, que yo no soy el mismo que era hace 25 años, no tanto por los cambios que se han producido en mi apariencia física…, sino sobre todo por los cambios que se han producido en mi estructura existencial, cambios que se han derivado de mis actos de libertad.

Vemos, pues, que en la subjetividad constitutiva de la persona hay dos aspectos muy importantes que remiten a dos fundamentos distintos: el yo individual (o persona) que remite al actus essendi participado por cada uno de nosotros, y el yo existencial que remite, en cambio, a la libertad de cada uno de nosotros. Es interesante observar que para estos dos aspectos del yo podemos hablar de incomunicabilidad.

– El yo individual (o persona) es incomunicable porque, como hemos dicho, se remonta al actus essendi participado por una persona que es singular e incomunicable; y al ser el fundamento de todo lo que es un ser humano, es también singularizante y, podríamos decir incluso personificante, es decir, es lo que hace de cada uno de nosotros una persona, singular, única e irrepetible, y por eso mismo, incomunicable.

– Pero el yo existencial también es incomunicable: en efecto, como hemos dicho, el yo existencial está constituido por los actos de libertad de la persona, y como los actos libres son incomunicables, porque son propios de la persona -no puedo delegar en nadie mis elecciones libres-, entonces el yo resultante también será incomunicable.

Fabro, refiriéndose a este yo existencial, dice que el yo se constituye a través de la libertad y la libertad se realiza a través del yo. Esto es muy profundo. Nuestro yo existencial se constituye a través de la libertad, porque es a través de actos de libertad que yo llego a ser existencialmente lo que soy, pero al mismo tiempo nuestros actos de libertad se realizan a través del yo; tanto a través del yo individual (o persona) -porque los actos son siempre de la persona (del supuesto)- como a través del yo existencial porque nuestros actos se realizan siempre a partir de un yo existencial que ya está en un determinado estado de constitución.  Así, si ahora hago un acto de libertad, soy yo quien lo hace como persona, y soy yo quien lo hace desde mi yo existencial presente. Podemos decir que mi libertad se funda en mi yo individual y se realiza en el fondo de mi yo existencial presente.

En lo que respecta a la subjetividad, pues, hay un aspecto fundacional y constitutivo a nivel metafísico, y hay un aspecto constitutivo a nivel existencial, que también está fundamentado metafísicamente, pero que al mismo tiempo se autofundamenta existencialmente. Esto significa que lo que somos existencialmente es lo que elegimos libremente ser, y en este sentido nos creamos a nosotros mismos como queremos. Voy a leerles un texto de un autor reciente que habla precisamente de esto.

Los actos humanos son actos morales porque expresan y deciden la bondad o la malicia del propio hombre que los realiza. No sólo producen un cambio en el estado de las cosas externas al hombre, sino que, en cuanto elecciones deliberadas, califican moralmente a la persona misma que los realiza y determinan su profunda fisonomía espiritual, como señala sugestivamente San Gregorio de Nisa: “Todos los seres sujetos al devenir no permanecen nunca idénticos a sí mismos, sino que pasan continuamente de un estado a otro por medio de un cambio que obra siempre, para bien o para mal…”. Ahora bien, estar sujeto al cambio es nacer continuamente….. Pero aquí el nacimiento no se produce por intervención ajena, como en el caso de los seres corpóreos…. Es el resultado de una elección libre y, por tanto, somos en cierto modo nuestros propios padres, que nos creamos como queremos y, por nuestra elección, nos damos la forma que deseamos”.

Este texto, que a algunos puede parecer tan cercano al pensamiento moderno, es un texto de San Juan Pablo II de 1993, que se encuentra en el nº 71 de la Encíclica Veritatis Splendor – que cumplió 30 años en agosto. Nos creamos a nosotros mismos como queremos”, dice san Juan Pablo II citando a san Gregorio de Nisa (siglo IV d.C.). Nuestros actos libres califican moralmente a la propia persona que los realiza y determinan su profunda fisonomía espiritual.

Es un texto que está en perfecta consonancia con el pensamiento expresado por Fabro unas décadas antes, que a su vez se fundaba en los principios de Santo Tomás.

Evidentemente, no podemos entrar aquí en más detalles; tendríamos que preguntarnos, por ejemplo, qué es lo que lo hace posible, es decir, cuál es la condición de posibilidad de esta autoconstitución existencial de nuestra fisonomía espiritual... Pero esto es una lectio brevis y, como hemos dicho, estos temas son materia de, al menos, un curso de un semestre.

            El tema de la subjetividad constitutiva es sumamente importante de tratar, sobre todo en nuestros días, en los que, para no diferenciar entre las esferas metafísica y existencial, hemos llegado a identificar lo constitutivo de la persona con la libertad o incluso con las relaciones, considerando obsoleta la definición de la persona como sustancia individual de naturaleza racional [o espiritual, si se quiere].

Infinidad de errores sobre subjetividad, moral, ética, antropología, tanto filosóficos como teológicos, derivan de esta falsa concepción de la persona, que a su vez deriva de no saber distinguir adecuadamente, en el sujeto espiritual, los dos planos de los que hemos hablado.

Por esta razón, las distinciones de Fabro entre el yo individual y el yo existencial nos dan una noción correcta de la subjetividad del ser humano, distinguiendo lo que es constitutivo a nivel metafísico de lo que es constitutivo a nivel existencial, y nos permiten abordar con extrema claridad los diversos problemas de orden ético, moral, antropológico e incluso teológico, o teológico-pastoral si se quiere.

Quien afirma que lo constitutivo de la persona es la libertad o las relaciones, en realidad no hace más que disolver la realidad sustancial de la persona, metafísicamente constituida -que tiene una naturaleza y una finalidad bien definidas-, historizándola y reduciéndola a un ser totalmente a merced de su existencia; …porque si la libertad o las relaciones fueran lo constitutivo de la persona, la subjetividad constitutiva a nivel metafísico sería totalmente absorbida por la subjetividad existencial, y el hombre crearía, por su libre acción, no sólo su estructura existencial, sino también su estructura ontológica, su naturaleza … y las leyes inherentes a ella cambiarían continuamente, de ahí los nuevos paradigmas.

Los problemas por tanto -una vez más- no se resuelven simplemente constatando la existencia de desviaciones en el campo ético, moral o teológico, porque de lo contrario seguiríamos estancados en un análisis fenomenológico y epidérmico de lo que sucede… debemos volver a los fundamentos, sólo así podremos proponer con fuerza a las nuevas generaciones el pensamiento de Santo Tomás para resolver los problemas de hoy; por eso Fabro insiste en que no podemos detenernos en un estudio de los textos angélicos que se limite a repetir sus fórmulas, sino que debemos ahondar en sus principios, descubriendo su riquísima virtualidad. Porque sólo a través de una verdadera asimilación de los principios del Aquinate y de un profundo conocimiento del pensamiento moderno es posible afrontar los nuevos retos culturales que apremian en nuestro tiempo.         

Que la intercesión de Santo Tomás, especialmente en este trienio de celebraciones en su memoria, nos ayude en estas profundizaciones, de modo que podamos incidir en la cultura contemporánea para que, con la ayuda de Dios, nuestra evangelización sea realmente eficaz.

 

P. Gianluca Trombini, IVE

Fossanova, 2/10/2023

 

[1] C. Fabro, Tomismo e pensiero moderno, 5.

[2] Giovanni Paolo II, Fides et ratio, n. 83.

[3] C. Fabro, Tomismo e pensiero moderno, 8.

[4] C. Fabro, Tomismo e pensiero moderno, 10.

[5] Cfr. C. Fabro, Tomismo e pensiero moderno, 16-17.

[6] Cfr C. Fabro, Tomismo e pensiero moderno, 17-19.

[7] C. Fabro, El tomismo y el pensamiento moderno, 5.

[8] Juan Pablo II, Fides et ratio, nº 83.

[9] C. Fabro, El tomismo y el pensamiento moderno, 8.

[10] C. Fabro, Tomismo y pensamiento moderno, 10.

[11] Cf. C. Fabro, Tomismo y pensamiento moderno, 16-17.

[12] Cf. C. Fabro, El tomismo y el pensamiento moderno, 17-19.

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